L'allenatore bresciano, trapiantato in Kenya dal 2004, racconta la sua esperienza e la sua concezione dell'allenamento
La prospettiva con cui ci approcciamo agli eventi e ai fenomeni del mondo determina il giudizio che abbiamo su di essi. Prendiamo, ad esempio, Claudio Berardelli: uno tra i pi¨´ noti allenatori di mezzofondo e fondo. Molto probabilmente a livello globale. Ci immaginiamo che siano diversi i tecnici che, in qualche modo, provino invidia per le condizioni in cui lavora l¡¯allenatore bresciano. Proviamo a elencarle sommariamente: l¡¯opportunit¨¤ di lavorare con un gruppo di atleti altamente qualificato e piuttosto esteso in termini numerici; il fatto di allenare in una delle migliori aree geografiche del pianeta per quello che riguarda la corsa di resistenza: altitudine, largo bacino di utenza, background motorio superiore (se paragonato a quello dei Paesi occidentali); la possibilit¨¤ di operare in un ambiente sociale senz¡¯altro problematico ma, allo stesso tempo, capace di incidere fortemente e in maniera positiva sulle attitudini (psico-fisiche) e le motivazioni degli atleti. Potremmo andare avanti, consapevoli che non sono solo queste le ¡°fortune¡±, almeno da un punto di vista tecnico, di cui pu¨° godere Berardelli. Dicevamo all¡¯inizio, che ¨¨ sempre una questione di prospettiva a determinare le varie interpretazioni dei fatti o dei fenomeni. Consapevoli che esiste sempre un rovescio della medaglia, sarebbe bello, all¡¯opposto, chiedere al tecnico bresciano quali siano i limiti che sperimenta lavorando in Kenya. Ipotizzando, immaginiamo: la scarsit¨¤ di mezzi e strutture, un certo isolamento almeno da un punto di vista intellettuale-accademico, le grandi difficolt¨¤ legate alla gestione delle entrate economiche da parte dei corridori che raggiungono il successo. In ogni caso, tra pro e contro, possiamo dire che Claudio Berardelli si trova ad allenare all¡¯interno di un ¡°laboratorio naturale di alta specializzazione¡±.
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