pezzo unico
La Ducati Apollo e il mostruoso 1260, la nonna della Panigale
LĄŻApollo era una moto Ducati a quattro cilindri a Ą°LĄą di 1260 cc, progettata dallĄŻingegner Fabio Taglioni per conquistare il mercato statunitense e fu battezzata cos¨Ź in onore del programma spaziale americano lanciato da John Fitgerald Kennedy che a luglio 1969 port¨° gli uomini sulla Luna. Venne costruita nel 1963 e fu modificata e aggiornata fino al 1965. Negli anni successivi poi la Ą°met¨¤Ąą di quel motore anzich¨Ś la sola America conquist¨° il mondo intero. Fece man bassa di vittorie in gare nazionali e internazionali, tra cui una doppietta nella 200 miglia di Imola con Paul Smart e Bruno Spaggiari, ed ¨¨ tuttora uno dei pezzi pi¨´ apprezzati dai collezionisti amanti delle moto di Borgo Panigale.
TROPPO POTENTE PER LĄŻEPOCA
ĄŞ ?La quattro V non fu mai avviata alla produzione: troppa potenza per gli pneumatici dellĄŻepoca. Ma il suo motore, diviso in due su un piano verticale longitudinale, diede vita al bicilindrico ad Ą°LĄą, che anzich¨Ś la sola America, ha conquistato il mondo intero.?La Ducati di bicilindriche a Ą°LĄą ne realizz¨° anche una versione di 500 cc che per¨° agonisticamente ebbe ben poca fortuna e il progetto fu ben presto abbandonato. Ą°LĄŻApollo - spiega Livio Lodi, il responsabile del Museo - lĄŻabbiamo avuta nel 2000 per alcuni mesi, ma dopo averla restaurata lĄŻabbiamo dovuta restituire al collezionista giapponese che ce lĄŻaveva prestataĄą.?Di V4 ne esiste solo un esemplare al mondo: uno del collezionista giapponese mentre lĄŻaltro di cui si vocifera non si sa n¨Ś dove sia, n¨Ś chi lo abbia e addirittura n¨Ś se esista veramente. Ą°A me risulta che ce ne sia soltanto una ¨C sottolinea Alessandro Altinier, grande esperto, nonch¨Ś uno dei pi¨´ importanti commercianti europei di moto dĄŻepoca ¨C ed ¨¨ quella del facoltoso collezionista giapponese. Di una eventuale seconda Apollo si sono sentite solo voci, prive peraltro di alcun fondamentoĄą.
IL MANICHINO DEL MOTORE
ĄŞ ?Il Museo, invece, ha solo un manichino del motore che conserva gelosamente da quasi 40 anni. Manichino perch¨Ś dentro ¨¨ privo di organi. Il motore dellĄŻApollo 1260 ¨¨ un poderoso propulsore per una moto che fino ad oggi il visitatore del museo Ducati poteva solo immaginare.?Racconta ancora Livio Lodi, il responsabile del Museo Ducati: Ą°Il mio primo approccio con questa moto, della quale fino a quel momento ignoravo lĄŻesistenza, risale al 1995, quando Giuliano Pedretti (un personaggio che della Ducati conosce ogni granello di polvere) mi mostr¨°, durante una pausa di lavoro, alcun oggetti polverosi in un magazzino interno allo stabilimento. Il mio sguardo fu attratto da un motore enorme a quattro cilindri a Ą°VĄą, e Giuliano mi spieg¨° che si trattava del motore dellĄŻApollo 1260, senza aggiungere altroĄą.?Tre anni dopo, Livio Lodi, diventato assistente di Marco Montemaggi presso il neonato Museo Ducati, si ritrov¨° ad osservare quel grosso motore, ripulito e lucidato, dallĄŻarchitettura cos¨Ź simile a quella dei Ducati bicilindrici attuali.
PROGENITRICE DELLE DUCATI MODERNE
ĄŞ ?Ą°La mia curiosit¨¤ nei confronti di quel propulsore ¨C aggiunge Lodi - era sempre viva, perch¨Ś avevo pi¨´ volte sentito ripetere che lĄŻingegner Taglioni aveva scelto il bicilindrico ad Ą°LĄą per non disperdere lĄŻesperienza fatta progettando lĄŻApollo, e che quindi quella specie di monumento era in realt¨¤ la progenitrice delle Ducati di oggiĄą.?La Ducati aveva sempre conservato quel motore, proprio come un monumento ad un progetto sfortunato. Francamente nessuno a Borgo Panigale sperava che un giorno una sarebbe riemersa dalla nebbia. Invece, quel giorno di maggio del 2000, mentre fervevano i preparativi del World Ducati Weekend, Livio Lodi conobbe a Bologna un giornalista giapponese, Miyata Yoji, arrivato a Borgo Panigale per visitare il museo Ducati. Giunto al cospetto del grosso propulsore a quattro cilindri, il giornalista, invece di manifestare stupore come tanti altri, per lo strano e sconosciuto motore, dichiar¨° di sapere che un suo amico collezionista giapponese possedeva una Apollo completa. Livio Lodi era un poĄŻ scettico, ma il giornalista giapponese non diceva bugie, cos¨Ź la Ducati si mise subito allĄŻopera per cercare di recuperare quel prezioso cimelio. Mirko Bordiga, general manager della Ducati-Japan, e il suo collaboratore Yuzuru Yamane, chiesero a Iwashita di vendere lĄŻApollo al museo Ducati, ma ricevettero un diniego perentorio. Il collezionista giapponese si dichiar¨° per¨° disposto a lasciare alla Ducati la moto per qualche mese anche perch¨Ś voleva che a Borgo Panigale la restaurassero, pure nella certezza che sarebbe stato compiuta unĄŻopera certosina di restauro, di cui la moto necessitava, soprattutto per la mancanza di diverse parti originali.
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QUANDO LĄŻAPOLLO ARRIV¨° A BOLOGNA
ĄŞ ?Cos¨Ź, con un volo speciale, lĄŻenorme cassa contenente lĄŻApollo atterr¨° a Bologna. Poco dopo era gi¨¤ nellĄŻofficina di Giuliano Pedretti e di Primo Forasassi. Attualmente ¨¨ ritornata alla condizione in cui era quando fu esibita alla fiera di Daytona del 1965. A Bologna proposero al collezionista giapponese uno scambio con un paio di gloriose 888 Racing. Ma no era e no rimase.?La vicenda della Ducati Apollo ¨¨ legata per gran parte del suo sviluppo al nome dellĄŻamericano Joe Berliner, che nel 1958 era diventato lĄŻunico importatore di moto Ducati negli Stati Uniti.?AllĄŻinizio degli Anni 60, quando pochi avevano intuito che il futuro della motocicletta non sarebbe stato nei veicoli onesti ed economici, ma in quelli ad alte prestazioni per il tempo libero, e quando molti miravano al Nord America, come ad un grande mercato motociclistico da conquistare, Berliner ebbe il merito di saper convincere la Ducati dellĄŻopportunit¨¤ di proporre una maximoto studiata sia per la polizia americana, sia per i motociclisti Usa abituati alle dimensioni e alle prestazioni delle Harley Davidson.?Sul carter si leggeva "Ducati Berliner 1260", a testimonianza dello stretto coinvolgimento dell'importatore americano in questo progetto.?Cos¨Ź nacque lĄŻApollo 1260, una moto a quattro cilindri, quando due sembravano gi¨¤ unĄŻesagerazione, una moto da 100 Cv, quando le Harley arrivavano a malapena a 60; una moto da 200 km/h, quando le Harley passavano di poco i 150 allĄŻora; una moto da 270 chili, mentre le Harley superavano i 310.
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TROPPO POTENTE E VELOCE
ĄŞ ?Troppo potente per quel periodo, e anche troppo veloce. Infatti, come detto, nessun pneumatico del tempo era in grado di sopportare tutti quei cavalli e quella straordinaria coppia motrice. Nessun fornitore era in grado di garantire pezzi adeguati alle esigenze di una simile motocicletta, soprattutto in previsione di una produzione in numeri elevati. L'ing. Taglioni ritenne che una catena standard non avrebbe retto allo sforzo impostole dai 100 cavalli, cos¨Ź per la trasmissione finale scelse una duplex. Ad ogni modo la sua eccezionalit¨¤ fu la sua condanna. Si tent¨° pure di ridurre la potenza ad appena 65 cavalli, ma a quel punto la moto era troppo pesante e il rapporto peso-potenza era troppo sfavorevole. Senza contare che sarebbe stata troppo costosa in relazione a ci¨° che effettivamente era in grado di offrire in termini prestazionali.?LĄŻApollo acquistata da Iroaki Iwashita per 17.000 dollari nel 1984 era stata modificata in diversi particolari: il serbatoio originale, lo stesso della Ducati Mach 1 250, risultava sostituito con una della 750 S; il fanale non era il suo, gli pneumatici non avevano la banda circolare bianca; tutta la moto richiedeva un restauro accurato; la frizione in particolare, che aveva ben 17 dischi, era bloccata.
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IL SUO RESTAURO
ĄŞ ?Cos¨Ź con il generoso aiuto di Andrea DellĄŻOmo, un collezionista italiano di Ducati, lĄŻApollo venne restaurata riportandola allĄŻultima versione del 1965. Esteticamente lĄŻaspetto ¨¨ quello di una moto italiana americanizzata con la semplice applicazione di parafanghi pi¨´ pronunciati e avvolgenti, con un manubrio a corna di bue, e soprattutto con un sellone americaneggiante con al posteriormente un grande maniglione cromato. Completavano il restyling due larghissimi (per lĄŻepoca) pneumatici di tipo automobilistico arricchiti dalla banda bianca tipica delle berline yankee Anni 50 e 60.
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LE CARATTERISTIHE TECNICHE
ĄŞ ?Protagonista assoluto della tecnica, ma anche dellĄŻestetica, ¨¨ comunque il propulsore, davvero enorme non tanto per la presenza dei quattro cilindri a Ą°LĄą longitudinale di 90Ąă, quanto per lĄŻimmenso carter tagliato su un piano orizzontale inclinato e per la grande scatola del cambio a quattro rapporti. LĄŻalimentazione invece era fornita da quattro carburatori DellĄŻOrto TT con diffusore da 24 millimetri e due vaschette separate; gli scarichi erano 4 in 2 con i classici e affusolati silenziatori Silentium che equipaggiavano la quasi totalit¨¤ delle moto italiane dellĄŻepoca. LĄŻaccensione era a spinterogeno e per lĄŻavviamento elettrico fu utilizzato il motorino di una Fiat 1100 collocato dietro i cilindri verticali.?Decisamente anticonvenzionale la trasmissione finale a catena duplex, chiaramente scelta per il timore che una catena standard non riuscisse a resistere a tanta potenza. Lo stesso scrupolo non si era avuto per i freni, due tamburi a camma singola, che oggi basterebbero a malapena per una 125. Mentre per la ciclistica lĄŻApollo disponeva di un telaio monoculla aperta anteriormente in tubi di acciaio, integrato da elementi in lamiera stampata. Che bello sarebbe averla in Italia, purtroppo per¨° non la vedremo mai.
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