lo scenario
Crisi dei chip e auto, come stanno le cose e il ruolo della Cina
Bisogna finalmente intendersi sul senso dell'espressione ¡°crisi dei chip¡±, se cio¨¨ racconta solo di quella mancanza di microprocessori che significa il blocco delle fabbriche e i ritardi nelle consegne di vetture, oppure ben altro. Se insomma a causare la penuria sul mercato mondiale dei semiconduttori cos¨¬ preziosi per il mondo dell'auto sia stata davvero la pandemia, cio¨¨ l'aumento nei consumi di dispositivi di elettronica personale causata dai lockdown e dallo smartworking, aggravata poi dall'aumento del costo dei trasporti. Oppure se la spiegazione sia molto diversa, come suggeriscono in modo eloquente le cifre ufficiali relative alla produzione e alla vendita di chip nel 2021. Non c'¨¨ crisi, ma anzi un aumento esponenziale di consegne e fatturati, con un settore che non ¨¨ mai stato cos¨¬ florido nella quantit¨¤ finora inimmaginabile di microprocessori fabbricati e recapitati. La domanda legittima ¨¨ dove siano finiti, visto che il settore automotive continua a soffrire. La risposta pi¨´ probabile ¨¨ in un indirizzo, quello della Cina.?
il testimone portoghese
¡ª ??Ha 63 anni, ¨¨ nato a Lisbona ed ¨¨ forse l'ultima persona da cui ci saremmo aspettati un indizio chiaro sulla situazione. Le qualit¨¤ del manager hanno portato per¨° concretezza. "I fabbricanti di semiconduttori indicano aumenti di produzione a due cifre. Ma attraverso i fornitori non vediamo i risultati. La conclusione? C'¨¨ qualcuno che sta facendo stock". Carlos Tavares, Ceo di Stellantis, intervistato dal giornale economico francese La Tribune il primo marzo, ribadisce che "anche il 2022 sar¨¤ un altro anno di penuria di semiconduttori", che per¨° tecnicamente non mancherebbero. Sarebbero piuttosto oggetto di un clamoroso e sistematico accaparramento, cio¨¨ prodotti su richiesta di aziende che deliberatamente li starebbero togliendo dal mercato, lasciandoli inutilizzati in magazzino come scorta. Tavares non va oltre, ma l'indizio porta a valutare con ulteriore dettaglio i dati forniti dalla Semiconductor Industry Association, l'organizzazione che raggruppa i maggiori produttori a livello mondiale. Il mercato dei microchip ha toccato nel 2021 un fatturato complessivo di 555,9 miliardi di dollari, con una crescita del 26.2% rispetto al 2020, altro anno nettamente positivo che segnava un +6,8%. Quel che conta per¨° ¨¨ nella cifra colossale di 1.150 miliardi di microchip consegnati nei passati 12 mesi: erano gi¨¤ 1.000 miliardi nel 2020. Da qui in poi, i segnali diventano ancora pi¨´ chiari. Su base regionale, l'area che ha registrato il maggior incremento nelle vendite ¨¨ quella americana, con una crescita del 27,4%, ma ¨¨ la Cina a rappresentare il mercato cruciale e largamente pi¨´ importante per i semiconduttori, con un incremento del 27,1% nel 2021 fino ad un volume di affari pari a 192,5 miliardi di dollari. Una destinazione assai strana per una simile quantit¨¤ di semiconduttori, considerando come tutte le fonti di analisi autorevoli concordano nel descrivere quella cinese come una industria elettronica in transizione, da quella che era la fabbricazione di circuiti per applicazioni piuttosto semplici alla nascita di una filiera che ora si dedica alla componentistica avanzata e all'elettronica di consumo. Con successo, certo, ma comunque svantaggiata dalle sanzioni imposte nel settembre 2020 dal Dipartimento del Commercio statunitense. "Nel breve termine la Cina ¨¨ totalmente dipendente dalle importazioni nel settore dei semiconduttori perch¨¦ non ha la capacit¨¤ produttiva per affrontare i processi pi¨´ avanzati di fabbricazione di chip" sottolinea l'istituto di ricerca Gavekal Dragonomics di Shanghai. "Per riuscirci impiegher¨¤ alcuni anni". Conta allora tutto quello che sta succedendo nel frattempo.?
imperi di sabbia
¡ª ?La Cina ha 18 mila chilometri di coste. Ora sta correndo a farne un business. L'elemento scatenante dell'industria dei semiconduttori ¨¨ quel silicio contenuto nella sabbia pi¨´ semplice, ma anche la materia prima di un percorso complicato che porta al microprocessore attraverso incastri tra aziende, che lavorano a diversi livelli della catena di produzione. Il ruolo chiave ¨¨ quello delle foundries, le fonderie dove effettivamente si purifica il silicio e se ne ricavano blocchi destinati alle lavorazioni successive. Vengono tagliati in dischi circolari da 30 cm di diametro, i wafer, su ognuno dei quali sono incisi decine di processori alla volta, letteralmente scavati con l'utilizzo di solventi fino alla deposizione del materiale conduttivo che costituisce il singolo transistor. Sono cinque le foundries che controllano il mercato mondiale. Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (Tsmc) detiene il 57% del business globale, seguita dalla coreana Samsung che si attesta al 17%. Terza in questa classifica dei veri padroni del mercato dei semiconduttori ¨¨ la United Microelectronics Corporation (Umc), anche lei taiwanese e con una quota del 7%, appena superiore a quella di GlobalFoundries, con sede a Malta e una prima fonderia a Dresda in Germania, ma una seconda assai pi¨´ strategica a Singapore.?
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un record debole
¡ª ?La Cina? Quinta in classifica, con una sorpresa doppia. La China¡¯s Semiconductor Manufacturing International Corporation, anche nota come Smic, ha sede a Shanghai ed ¨¨ di fatto controllata dal governo nazionale, ma soprattutto ha segnato nel 2021 vendite record, cresciute del 39% fino a 5,4 miliardi di dollari di fatturato. Un fatto strano, considerando che c'¨¨ anche Smic nella lista nera di aziende cinesi colpite da un bando commerciale Usa che impedisce loro di acquisire tecnologia statunitense per aggiornare la propria produzione di chip, un passaggio che nel settore deve ripetersi ogni sei mesi. Smic non sembrerebbe pronta a restare competitiva se non ci fosse il mercato nazionale ad assorbire molta parte della produzione.?
goldfinger
¡ª ?Come nel film di James Bond del 1964, nel mirino c'¨¨ dunque una riserva aurea. Non ¨¨ Fort Knox negli States, ma Taiwan, il patrimonio delle sue fonderie e delle capacit¨¤ dell'industria dell'isola di realizzare chip aggiornati per qualsiasi marchio di elettronica del mondo, in subappalto. Secondo i pi¨´ recenti dati forniti dal Parlamento europeo, infatti, in Usa si disegnano il 65% dei microprocessori e a Taiwan il 17%, ma in quest'ultima poi se ne fabbrica una quota del 60% che corrisponde appena all'8% degli Stati Uniti e al 6% della Cina. Che per ora compra. Molto. In un'intervista al mensile Time Magazine ci aveva pensato lo stesso presidente di Tsmc, Mark Liu, a chiarire l'equilibrio instabile. "Possono produrre grandi quantitativi di chip, ma non con la tecnologia pi¨´ aggiornata. Sono cinque anni indietro rispetto ai nostri standard. Nel frattempo, almeno sei societ¨¤ di chip cinesi multimiliardarie sono fallite negli ultimi due anni, inclusa la Wuhan Hongxin Semiconductor Manufacturing Co". Nel frattempo la domanda di semiconduttori non riesce ad essere soddisfatta, e Mark Liu segue un indizio che conosciamo gi¨¤: "Ho ordinato al mio team di triangolare i dati di vendita e scoprire quali nostri clienti stiano effettivamente utilizzando i chip che gli forniamo e chi invece li sta accumulando. Sta succedendo, a questo punto ¨¨ un fatto chiaro".
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