Tre italiani, tre stagioni molto diverse. Andrea Bargnani, Marco Belinelli e Danilo Gallinari. Facciamo un bilancio del loro campionato.

DANILO GALLINARI — La rottura del legamento crociato anteriore di inizio aprile ha impedito di poter vedere fino in fondo come sarebbe finita, ma non ha impedito che fosse comunque per Danilo Gallinari l’anno della consacrazione. Con la sua intelligenza cestistica e la sua taglia abbinata alla mobilità, si è dimostrato l’uomo perfetto per cavalcare, e allo stesso tempo alimentare, un sistema fatto di corsa, capacità di tenere spaziato il campo ed efficacia nel trovare l’uomo per il tiro migliore. Senza di lui Denver ha vinto cinque delle ultime sei partite di stagione regolare, salvando il terzo posto con cui entra ai playoff. Ma dopo un inizio di stagione complicato al tiro e la mancata convocazione all’All Star Game, è stato tra i protagonisti della svolta dopo la partita delle stelle con una serie di 18 vittorie in 20 partite portando punti, rimbalzi, assist, difesa, tiri liberi, e soprattutto canestri decisivi, leadership e “intangibles”: nulla di inedito nella sua carriera, in cui ha toccato forse a livello numerico anche picchi più elevati, ma mai così tutto insieme e a un livello di competizione così alto. Di una delle squadre sorpresa dell’anno, la quarta migliore della stagione (record alla mano) è stato a lungo il top scorer con il massimo in carriera di 16.2 punti di media, col massimo di 12.3 tiri simbolo del suo totale coinvolgimento, al top anche con 5.2 rimbalzi, aggiungendo il 37.3% da tre che è il top dei suoi ultimi tre anni. “Stava avendo la sua migliore stagione per punti e rimbalzi ed è stato tra le ragioni del nostro successo - ha detto di lui il gm dei Nuggets, Masai Ujiri -. Conoscendo la sua etica del lavoro e il suo impegno per tornare in campo, abbiamo fiducia che tornerà più forte di prima l’anno prossimo”.

ANDREA BARGNANI — La distorsione al gomito destro ha chiuso con oltre un mese di anticipo una stagione che era diventata una via crucis per Andrea Bargnani. Nell’annata più complessa della sua carriera, anche fischiato sistematicamente dai tifosi di Toronto di fronte a cui è arrivato a tirare col 30% di media, il Mago ha detto a fine febbraio: “Adesso mi sento come se non sarò mai più capace di tirare un pallone fino alla fine della mia carriera”. I Raptors hanno perso 19 delle prime 23 partite (21 con lui), poi quando si è fatto male hanno infilato una serie di otto successi su nove gare che ha fatto pensare. Fuori da inizio dicembre a inizio febbraio, Toronto ha avuto un record di 13-13 senza di lui. Dopo il suo infortunio di inizio marzo, ha chiuso la stagione con 9-9. Tolti i primi due anni in Nba, sono il suo minimo i 12.7 punti in 28.7 minuti con 39.9% al tiro su 12.2 tentativi; del 30% da tre aveva avuto avvisaglie già col 29.6% della scorsa stagione, mentre i soli 2.2 tiri liberi e 3.7 rimbalzi sono il minimo in carriera. Da metà dicembre in poi ha giocato solo 14 partite alla media di 7.6 punti in 22.6 minuti, col 40.6% al tiro e un 28.6% da tre (e senza una gara da 5/7 parleremmo del 14%), frutto di quasi due mesi senza allenamenti con la palla. Ma già da prima Toronto aveva parlato apertamente di possibilità di scambio (è saltato il possibile approdo a Chicago per Boozer), aizzando i detrattori già carichi per i suoi problemi in difesa e soprattutto a rimbalzo. “Con Andrea e il suo agente ci siamo detti francamente che di un cambio di scenario avremmo potuto beneficiare tutti – ha detto pochi giorni fa il presidente e gm dei Raptors Bryan Colangelo -. Se rimane, credo che con coach Casey possa ripetere il suo grande inizio di stagione 2011/12, quando giocava a livello da All Star su entrambi i lati del campo”. L’arrivo di Gay e l’esplosione di DeRozan gli permetterebbero in Canada una dimensione da terza opzione in cui si troverebbe più a suo agio, abbastanza in linea col suo stipendio (gli restano due anni da 23 milioni). Altrimenti i “7 piedi” col suo tiro hanno mercato. A patto che torni ad avere “il suo tiro”.

MARCO BELINELLI — Definire la sua stagione positiva sarebbe banale, per quanto corretto. Fermarsi alle cifre – 9.6 punti in 26’ con il 35% da 3 – avrebbe ancora meno senso. Perchè nel sui primo anno ai Bulls Marco ne ha viste di tutti i colori, mostrando in primo luogo di avere una forza mentale inossidabile. Quella, per esempio, che il 28 novembre gli ha permesso di segnare 11 punti in 16 minuti contro i Mavs, giusto due giorni dopo che Thibodeau gli aveva inflitto il “non entrato” più doloroso della carriera, contro Milwaukee. E’ forse stato quello il momento della “svolta”, in cui Beli si è messo alle spalle gli affanni di inizio stagione e ha mostrato di poter stare, e bene, nel sistema dei Bulls. Per farlo, ha dovuto innanzitutto mostrare di saperci fare in difesa, sia a livello di intensità che di concetti (come quello di mandare l’uomo sul fondo). Una volta trovata fiducia lì, il resto è venuto da solo, grazie anche alla capacità di reinventarsi giocatore di pick and roll e di attaccare più il canestro rispetto a prima. A livello di numeri, il periodo più esaltante è stato quello tra dicembre e gennaio, quando il primo infortunio di Hamilton gli ha spalancato le porte del quintetto base. A livello di emozioni, nulla però può battere i quattro tiri decisivi che ha messo: Brooklyn, Boston, Detroit e Utah. Peraltro, quasi sempre arrivati subito dopo degli errori, a conferma di una certa fiducia nei propri mezzi. Non è forse stato un mostro di costanza, ma va anche ricordato che giocare in una squadra come Chicago, con il parco esterni molto profondo e un allenatore che non garantisce minutaggi a nessuno, rende difficile accumulare sempre cifre importanti. Peccato per l’infortunio agli addominali che ne ha limitato l’efficacia nell’ultimo mese. I playoff diranno se l’ha superato o meno.

Marco Belinelli, 9.6 di media in regular season Reuters