March Madness, via il torneo Ncaa. Talenti da Nba in mostra in 68 squadre

Primavera, finalmente. Ovvero, il periodo più folle dell’anno cestistico. Con l’annuncio del tabellone in diretta televisiva, si è infatti ufficialmente aperto il Torneo Ncaa, la parte finale del campionato universitario di basket. Da qui alla finalissima di Atlanta, il prossimo 8 aprile, si prospettano tre weekend di fuoco, grazie alla formula che ha reso questo evento unico al mondo: 68 squadre, eliminazione diretta, gare secche, campi neutri. E soprattutto un mischione micidiale di fisici e talenti dalle prospettive opposte. Da chi finirà nella lotteria del prossimo draft Nba a studenti che non potranno mai fare del basket la loro professione.

Cody Zeller, centro promettente di Indiana. Reuters

CONCLAVE — Il tabellone - o meglio il bracket - viene partorito in una misteriosa stanza a Indianapolis da una commissione di dieci membri, alcuni con palesi conflitti di interesse. Nel giro di una settimana di riunioni in stile conclave si decide tutto: accoppiamenti, teste di serie e...squadre. Già, perchè mentre 31 università si qualificano vincendo la propria conference, le altre 37 vengono invitate a tavolino dalla commissione a seconda di una serie di fattori: numero di vittorie, qualità degli avversari battuti, cervellotici criteri quantitativi e una sana dose di soggettività della commissione che, al netto di inevitabili borbottii da parte di chi rimane fregato, viene accettata da tutti. Del resto, ci vuole una cultura a prova di teoria del complotto per agire così, considerando anche i clamorosi interessi finanziari che girano attorno alla manifestazione. Di soli diritti tv, l’emittente esclusiva CBS paga quasi 1 miliardo di dollari all’anno.

Coach K ha vinto 4 tornei Ncaa: 1991, 1992, 2001 e 2010. Reuters

FAVORITE — Dopo aver dominato l’ultima edizione, i campioni in carica di Kentucky sono rimasti invischiati in una stagione di transizione, e neanche selezionati tra le 68 ammesse al Torneo. La lotta per la successIone, però, è più aperta che mai. Tra le teste di serie spuntano i nomi di Indiana e Gonzaga. Per la prima si tratta del definitivo ritorno nell’elite cui è storicamente apparenuta, dopo alcune stagioni buie. Per la seconda, alma mater di John Stockton e attualmente pure del figlio David, è il posizionamento più alto di sempre. Un premio all’eccellente lavoro di reclutamento e costruzione tecnica svolto da coach Mark Few, “penalizzato” in termini di popolarità in quanto appartenente a una conference (la West Coast Conference) defilata, geograficamente e come talento. Le altre due teste di serie sono Kansas, sostanzialmente abbonata al ruolo, e la Louisville di Rick Pitino, che gioca un basket offensivamente rivedibile, ma vanta forse la difesa più assatanata. Entrambe arrivarono alle Final Four lo scorso anno. Eppure resta difficile trovare una favorita assoluta, anche perchè chiunque tra le teste di serie n.2 e n.3 sembra in grado di arrivare in fondo. Alcuni nomi? La Ohio State di Amedeo Della Valle (fuori dalle rotazioni), poco profonda, ma fisicamente tosta. La Michigan State di Tom Izzo, monumento all’intensità. La classica Duke di coach Krzyzewski, la cui qualità offensiva è sempre da manuale, a prescindere dagli attori.

Gonzaga, una delle 4 teste di serie numero 1 del bracket. Reuters

SCOUT — Chi invece seguirà tutto questo con occhio distaccato saranno scout e GM NBA, già pieni di lavoro in vista del draft di giugno. Più che per valutazioni tecniche, le partite del torneo servono soprattutto a vedere come reagiscono i giocatori sotto pressione. Mancherà però l’attuale candidato principe alla prima scelta assoluta, il lungo di Kentucky Nerlens Noel. La sua stagione è finita anzitempo con un infortunio al legameno crociato, e non è ancora certo (ma molto probabile) se il giocatore si dichiarerà. Ci sarà invece Cody Zeller di Indiana, un lungo d’altri tempi per comprensione del gioco, e invece assolutamente moderno per la capacità di correre in campo aperto. La sua copresenza con l’esplosiva guardia Victor Oladipo ha spesso prodotto giocate da highlights. Un altro giocatore unico nella sua completezza è Otto Porter di Georgetown: ala ben oltre i 2 metri, sa penetrare, tirare, passare, andare a rimbalzo. Al suo secondo anno, quasi da solo ha trasformato gli Hoyas in una possibile candidata al titolo. Tra i realizzatori, occhio a Ben McLemore di Kansas, guardia dai mezzi atletici esplosivi e dal tiro in costante miglioramento. Tanta attenzione anche per Shabazz Muhammad, guardia iper-celebrata già dai tempi dell’high school, e autore di una solida stagione con UCLA. Ma non fatevi fuorviare. Il torneo NCAA non è solo una vetrina per materiale da lotteria. E’ anche il territorio di caccia di giocatori a loro modo superbi, anche se meno considerati, o addirittura semi-ignorati, in chiave NBA. In passato furono personaggi come Kyle Singler, Jimmer Fredette, Gerry McNamara, Luke Harangody. Quest’anno il testimone passa a Doug McDermott di Creighton. Un’ala con atletismo limitato e istinti realizzativi immensi, in corsa per il titolo di giocatore dell’anno. Se finirà al secondo giro del draft andrà grassa, ma nel suo campus verrà sempre ricordato alla stregua di un eroe. E c’è ancora tempo per un’ultima impresa.

FEBBRE — Da giovedì si parte con il tabellone principale. Chi non può stare nel salotto di casa usa il comodo sistema di streaming, che consente di seguire l’azione da qualsiasi dispositivo. C’è anche il geniale pulsante anti-capo per eliminare la finestra video in caso di visite inquisitorie del proprio superiore. Ma già da oggi, ovunque negli States, si respira la follia di marzo. Le vetrine dei pub con il tabellone disegnato a pennarello. I tifosi che si spostano verso le sedi delle partite. E l’entusiasmo bambino che contagia le famiglie, comprese quelle non appassionate di basket. In queste settimane il legame con la propria università, o semplicemente con quella più vicino a casa, si risveglia all’improvviso, scatenando meccanismi di identificazione che poche squadre NBA riescono ad avvicinare. Senza dimenticare il bracket challenge, il gioco in cui ognuno compila il proprio tabellone, sparando i pronostici dalle partite del primo turno al vincitore finale. Quella del bracket è un’ossessione paragonabile al nostro fantacalcio, un universo di tifo parallelo all’indigestione di partite. Lo fanno sostanzialmente tutti, dal presidente Obama a chi non ne ha la minima idea del valore delle squadre. E’ anche questo un modo per partecipare all’imponderabile.