Il Tour degli italiani
Il ritorno di Ballan

Sabato 3 luglio, da Rotterdam, in Olanda, scatta il Tour de France numero 97. Sarà il Tour di Contador e Armstrong, dei fratelli Schleck, di Cancellara e Cavendish. Sarà il Tour del Tourmalet e di Morzine, della foresta di Arenberg e dei Campi Elisi. E — speriamo — sarà anche il Tour degli italiani. Oggi ne parliamo con Alessandro Ballan

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Mondiali 2008, la gioia di Ballan

MILANO, 23 giugno 2010 - È olandese, è fiammingo, è vallone. È da classiche, è da nord. È da muri, è da pavè. È da vento, è da ventagli. È uno dei nostri ministri dell’Estero, è uno dei nostri ambasciatori e dei nostri consoli. Non a caso è uno di quelli che a Bruges sarebbe rincorso per un autografo, a Gand per una foto, a Liegi per un bacio. Alessandro Ballan verso il suo quinto Tour de France.

Ballan, chi si rivede.
"Due mesi fermo. Ho chiarito la mia posizione nell’inchiesta di Mantova con la squadra e poi con i giudici, ma la prima parte della stagione l’ho dovuta passare giù dalla bici. E ci ho lasciato un pezzo di cuore".

"Due mesi fermo. Ho chiarito la mia posizione nell’inchiesta di Mantova con la squadra e poi con i giudici, ma la prima parte della stagione l’ho dovuta passare giù dalla bici. E ci ho lasciato un pezzo di cuore"

Cioè?
"Al Fiandre non ero andato male, e puntavo tutto sulla Parigi-Roubaix, anche se con quel Cancellara sarebbe stata durissima. Ma fra i primi 10 sarei arrivato. Invece, per il secondo anno consecutivo, sono stato costretto a saltarla, e non avete idea di quanto mi piaccia quella corsa e di quanto mi dispiaccia non correrla. E poi ho dovuto saltare anche il Giro d’Italia. Che, per me, sarebbe stato un esordio assoluto".

L’ha visto in tv?
"E mi è piaciuto moltissimo. Nessuno ha ammazzato la classifica, anzi, la fuga di L’Aquila ha riaperto i giochi. E poi le fughe che arrivavano, e gli attacchi che si prevedevano e si annunciavano, e i tapponi che incombevano. Il giorno in cui ho sofferto di più è stato quello di Montalcino: Baldato mi spediva messaggi tipo ’c’è il tuo fango’, ’c’è la tua pioggia’, ’è la tua tappa’. Avrei dato l’anima per esserci. Poi ho visto il Giro anche sulla strada, ad Asolo e a Verona. E ne ho respirato l’aria, la gioia, la festa".

"Sono rientrato a Gippingen, poi al Giro di Svizzera. Sapevo che avrei fatto fatica, soprattutto nei finali di corsa. L’ultimo giorno ho voluto testarmi nella crono, l’ho fatta al massimo e sono finito tra i primi 15. Niente male."

Intanto solo allenamenti?
"All’inizio mi allenavo perché fino all’ultimo ho sperato di correre la Roubaix. Poi mi allenavo perché fino all’ultimo ho sperato di correre il Giro, come è riuscito a fare il mio compagno Santambrogio. Quindi ho continuato ad allenarmi tre o quattro ore al giorno, ma senza fare lavori particolari, perché non c’ero molto con la testa".

Neanche un test?
"Uno solo. Un giorno mi sono buttato dentro la Granfondo di Breganze: una quarantina di chilometri ad andare al via, poi 180 di corsa, infine un’altra quarantina dietro macchina per tornare a casa, totale fra i 260 e i 270. L’ho interpretata come un lungo".

Il ritorno alle gare?
"A Gippingen, poi al Giro di Svizzera. Sapevo che avrei fatto fatica, soprattutto nei finali di corsa. L’ultimo giorno ho voluto testarmi nella crono, l’ho fatta al massimo e sono finito tra i primi 15. Niente male. Dopo le critiche del Giro, stavolta la squadra è andata benissimo: due tappe con Burghardt, tre maglie, il quarto posto finale con Morabito, e tutto senza Evans".

"Del Tour so poco o niente. Che si parte da Rotterdam con un cronoprologo, che ci sono prima le Alpi e poi i Pirenei, che c’è il Tourmalet, che si arriva a Parigi... Ma è il mio quinto Tour e so già che cosa mi aspetta: tanta fatica, più delle altre volte, perché stavolta c’è anche da aiutare Evans a vincerlo"

Il Tour?
"Avevo visto e studiato il Giro, invece del Tour so poco o niente. Che si parte da Rotterdam con un cronoprologo, che ci sono prima le Alpi e poi i Pirenei, che c’è il Tourmalet, che si arriva a Parigi... Ma è il mio quinto Tour e so già che cosa mi aspetta: tanta fatica, più delle altre volte, perché stavolta c’è anche da aiutare Evans a vincerlo. Vedrò, e vivrò, giorno per giorno".

Sabato, però, c’è il Tricolore.
"Non avrei voluto correrlo. Pensavo che sarebbe stato più utile un periodo di allenamenti in quota in preparazione del Tour. Ma ho anche bisogno di fare ritmo. Percorso duro, da campionato del mondo".

Allora è l’ideale.
"Se fosse in settembre... Non c’è solo il muro di Ca’ del Poggio, 1300 metri al 15%, ma anche una discesa a curve in cui non si respira né si recupera".

Come si corre senza squadra?
"Già, saremo solo io e ’Santa’. Me la immagino così: della Liquigas, Basso e Nibali, e della Lampre, Cunego, Gavazzi e Pietropolli. Correrò e marcherò loro. E sarò più tranquillo di testa".

Si vede in maglia tricolore?
"Non mi vedevo con quella iridata, poi però l’ho tenuta un anno".

Non se l’è fatta prestare neanche una volta dal suo amico Pozzato?
"In Belgio, gara di ciclocross, per beneficenza. Faceva freddo e io ero vestito leggero. Pozzato mi ha prestato il completo nero con la fascia tricolore, me lo sono messo sotto la maglia della mia società, e mi teneva caldo".