Il Tour degli italiani
La chiave di Archetti

Sabato 3 luglio, da Rotterdam, in Olanda, scatta il Tour de France numero 97. Sarà il Tour di Contador e Armstrong, dei fratelli Schleck, di Cancellara e Cavendish. Sarà il Tour del Tourmalet e di Morzine, della foresta di Arenberg e dei Campi Elisi. E - speriamo - sarà anche il Tour degli italiani. Oggi ne parliamo con Giuseppe Archetti

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MILANO, 21 giugno 2010 - Un po’ psicanalisti: far parlare, saper ascoltare. Un po’ filosofi: intuire, interpretare. Un po’ medici: curare, guarire. Un po’ artigiani: amanuensi. E un po’ anche artisti: creativi. Giuseppe Archetti è il capo dei meccanici della Liquigas-Doimo e fa parte anche dello staff della Nazionale italiana.

Archetti, il suo primo Tour?
"Nel 1990. Avevo 23 anni. Mi sentivo più debuttante di un esordiente, più esordiente di un debuttante, insomma, per essere chiaro e preciso, più matricola di una matricola".

Era il Tour di...
"...Claudio Chiappucci, della fuga pazza della prima semitappa, degli otto giorni in maglia gialla, del secondo posto sui Campi Elisi dietro a Greg LeMond. Lo affrontai più con incoscienza che con coraggio, più con follia che con lucidità. Quando ho finalmente capito dov’ero capitato, e che cosa mi stava capitando, per la prima volta nella mia vita ho immaginato che cosa fosse l’immensità".

"Il mio primo Tour? Nel 1990, il Tour di Claudio Chiappucci, della fuga pazza della prima semitappa, degli otto giorni in maglia gialla, del secondo posto sui Campi Elisi dietro a Greg LeMond. Lo affrontai più con incoscienza che con coraggio, più con follia che con lucidità "

Poi?
"L’anno dopo era già diverso. Avevo i piedi per terra. E forse era anche un vantaggio: lavoravo meglio. Era il primo dei cinque Tour vinti consecutivamente da Miguel Indurain, con Gianni Bugno secondo e Chiappucci terzo".

Considerazioni?
"Come dicono quelli che non sanno che cosa dire, o non sanno come dirlo, ’il Tour è il Tour’. Con tutto il rispetto per il Giro d’Italia, il vero ciclismo sta là, al Tour".

Perché?
"Più attenzione per i corridori e per il personale, più pubblico, sulle strade e in tv, e anche più organizzazione, probabilmente anche più mezzi economici. Bisogna andarci: ispirarsi là per migliorare qua. Non c’è niente di male. Così fanno tutti. Basta farlo con onestà e intelligenza. Copiare ma adattando, modificando, aggiustando secondo le diverse esigenze".

"Dentro il pullman? Tre meccanici più un jolly, per guidare, lavare, aiutare. Poi le bici: sei per Ivan Basso, cinque per Roman Kreuziger, quattro per Manuel Quinziato, tre per gli altri sei corridori, più un paio di scorta perché nella vita non si sa mai, e non è finita"

Tutti?
"Dagli organizzatori ai giornalisti. Studiare, con umiltà. Come ho fatto anch’io: il piacere e l’onore di studiare Pietro Piazzalunga. Mai stato nella sua squadra. Però andavo nella sua officina, a Bergamo, e non mi vergogno di confessare che gli chiedevo, in continuazione, come fosse giusto fare. E, sotto sotto, lui apprezzava. Così, adesso, quando mi preparo al Tour, anche senza volerlo, penso ancora agli insegnamenti di Piazzalunga".

Sarebbero?
"Trasformare il camion in una sorta di arca di Noè. Perché per un mese quel camion deve contenere tutto, anzi, di più, deve regalarti la completa autonomia, deve trasformarsi in un bunker per sopravvivere contro qualsiasi avversità".

Dentro?
"Tre meccanici più un jolly, per guidare, lavare, aiutare. Poi le bici: sei per Ivan Basso, cinque per Roman Kreuziger, quattro per Manuel Quinziato, tre per gli altri sei corridori, più un paio di scorta perché nella vita non si sa mai, e non è finita: altre nove bici solo per la tappa di Roubaix. Perché le bici normali sono troppo rigide per il pavè, e bisogna usare lo stesso telaio adottato per le classiche del Belgio. Per questo maledico Roubaix, così come ho maledetto Montalcino".

Totale bici: 44.
"Poi cerchi, tubolari, borracce, annessi e connessi...".

"Il corridore più esigente? "Gibo Simoni, però tanto di cappello: aveva la sensibilità di un pianista". Il più rompi...? Mario Cipollini. Ne aveva sempre una. Il più fiducioso?
Basso. Mi lascia fare. Il più accomodante? Totò Commesso. Con lui era un divertimento: gli potevi dare anche un trattore, e lui non fiatava"

Come in guerra.
"Una volta andavamo al Tour con un furgone più un Daily di appoggio. Adesso andiamo con un camion di 11 metri più un Daily di appoggio. Non so se mi sono spiegato".

Si è spiegato. E spieghi ancora: gli orari?
"Da prima della rivoluzione industriale. Al Giro: sveglia alle 6.30 e a cena mai prima delle 21.30. La tappa di Montalcino il cuoco dell’albergo ci ha fatto il piacere di tenere la cucina aperta fino alle 23.15. E la mattina dopo avevamo ancora cinque bici da fare. Posso dirlo? Lavori forzati".

Archetti, il corridore più esigente?
"Gibo Simoni, però tanto di cappello: aveva la sensibilità di un pianista".

Il più...
"...rompicoglioni? Mario Cipollini. Ne aveva sempre una".

Il più fiducioso?
"Basso. Mi lascia fare".

Il più accomodante?
"Totò Commesso. Con lui era un divertimento: gli potevi dare anche un trattore, e lui non fiatava".

"Le tre doti di un buon meccanico? La prima è capire la meccanica, che è in continua evoluzione. La seconda capire i corridori, perché sono loro gli attori protagonisti. La terza farsi rispettare dai corridori, altrimenti ti saltano addosso"

Ha un allievo?
"Roberto Astori, bergamasco, detto ’Mignaghì’, che significa albicocca: lavora alla Flaminia e ha l’umiltà giusta per diventare un grande meccanico. E Tullio Pellicioli, che adesso è alla Cervélo. Se potessi, li vorrei avere sempre con me".

Le tre doti di un meccanico?
"La prima: capire la meccanica, che è in continua evoluzione, perché ogni istante te ne inventano una nuova. La seconda: capire i corridori, perché sono loro gli attori protagonisti. La terza: farsi rispettare dai corridori, altrimenti ti saltano addosso".

Nient’altro?
"Ah sì, avere la patente per guidare i camion. Perché una volta per lavorare come meccanico ti chiedevano se sapevi fare il meccanico. Adesso ti chiedono che patente hai. Io ho la D pubblica. Così, se mi va male come meccanico, posso sempre guidare un autobus di linea".