La Juventus sta chiudendo un 2012 straordinario. Ha vinto lo scudetto, è in testa al campionato attuale. Si è qualificata agli ottavi di Champions League. Nell'anno solare 2012 ha conquistato 94 punti, in serie A. Meglio della Juve di Capello del 2005, seppure con una partita giocata in più. Ma quello che più stupisce di questa Juve pigliatutto è la velocità con la quale è riuscita ad imporsi sino addirittura a dominare, sul piano nazionale. Facciamo un passo indietro. Se il 2012 rappresenta il top bianconero, la stagione 2010-11 è forse stata il punto più basso della recente storia del club. E siamo solo all'altro ieri. Settimo posto in campionato, e niente Europa, una disgrazia sportiva che (sul campo) alla Juve non capitava dai tempi, mai rimpianti, di Maifredi in panchina. Ah, in Europa League la Juve uscì nalla fase a gironi, eliminata dai polacchi del Lech Poznan. Ma come è cambiata la Juve in 18 mesi, nell'organico, per arrivare a cambiare così tanto, nei risultati?

l'allenatore — Anzitutto è cambiato il condottiero. In panchina ora c'è Conte. Allora c'era Delneri, adesso aggrappato con le unghie alla panchina al Genoa. È cambiato il modulo: quella Juve giocava a 4 dietro (e prendeva una marea di gol, 47 in 38 gare di camponato), questa gioca a tre (e nella stagione successiva, la scorsa, di gol ne ha subìti solo 20, in un torneo chiuso da imbattuta).

Leonardo Bonucci: alla Juve da due stagione e mezza. LaPresse

GLI ITALIANI — Sono naturalmente cambiati gli interpreti. Partiamo dai calciatori italiani. Da quelli che rappresentano la continuità tra i tempi bui e questi illuminati, per la Vecchia Signora. Dietro, naturalmente Buffon, che tuttavia aveva vissuto una stagione travagliata, infortunato, e Storari, come portieri. Tra i difensori c'erano Bonucci e Chiellini. Mentre Barzagli arrivò per un pezzo di pane dal Wolfsburg, colpaccio invernale di Marotta. Insomma, per metà campionato, i tre moschettieri della difesa meno battuta di questa serie A c'erano, eccome, pure allora. Tra i terzini c'era De Ceglie, ma a sinistra giocava soprattutto Grosso, sull'altra corsia, invece, Motta. A centrocampo si disimpegnava Marchisio, ma spesso costretto a partire da esterno sinistro. In mezzo, infatti, giocavano Aquilani e soprattutto Felipe Melo, alla ricerca, mai riuscita, del riscatto dopo i disastri della stagione precedente. Sulla destra, alto, impazzava il cavallone Krasic, uno che invece non si sarebbe poi mai incastrato negli schemi di Conte. Davanti, i trait d'union tra ora e allora sono Quagliarella, titolare insieme a Del Piero sino all'infortunio patito a gennaio al crociato del ginocchio destro, contro il Parma, nel gennaio 2011, e Matri, arrivato in inverno, di rinforzo dal Cagliari. In avanti la Juve aveva tra i protagonisti di casa nostra pure Iaquinta, che ora è ai margini, Amauri (poi ceduto al Parma in prestito), e Toni, arrivato pure lui di rincorsa. Tra i giocatori offensivi c'era anche il jolly tattico Pepe, che ha fatto fortuna (nella scorsa stagione, in questa è stato più in infermeria che in campo) anche con Conte. Insomma, a guardarsi indietro, lo scheletro italiano (ma senza l'innesto fondamentale di Pirlo, va precisato) della Juve vincente di adesso c'era, eccome. Eppure i risultati comparati sono stati così diversi...

gli scandinavi — Se parecchi degli italiani hanno resistito alla bufera, contribuendo a riportare la Juve in posizioni più consone alla storia del club, gli stranieri dell'era Delneri sono da record: via tutti, 12 su 12 hanno cambiato aria. Qualcuno, per la verità, è rimasto nell'orbita bianconera e in serie A: Frederik Sorensen è a Bologna in comproprietà, Albin Ekdal è a Cagliari con la stessa formula. Gli altri, invece, hanno varcato il confine senza far più ritorno.

basta così — Due di loro si sono ritirati, anche se entrambi non escludono un eventuale ritorno in campo. Hasan "Brazzo Salihamidzic è svincolato dopo una stagione al Wolfsburg, Zdenek Grygera ha interrotto il rapporto col Fulham per la rottura di un crociato avvenuta poco più di un anno fa.

Felipe Melo da bianconero. LaPresse

rotolando verso est — In tre sono andati a cercar fortuna nella parte orientale dell'Europa. Qualcuno anche oltre il confine: il Fenerbahçe di Milos Krasic ha sede nella parte asiatica di Istanbul. E la stracittadina con il Galatasaray di Felipe Melo, club europeo della stessa metropoli, è in realtà un derby intercontinentale. Krasic e Melo, nelle intenzioni, sarebbero dovuti essere due pezzi grossi della Juve 2010-11. Un po' come il "Malaka" Jorge Martinez, finito invece in un posto triste quanto la sua esperienza torinese: Cluj, Transilvania, passando, senza lasciar tracce, per Cesena.

i teutonici — Meno pretese aveva Alex Manninger, che ora ha il suo bel da fare a difendere la porta dell'Augsburg, club di Bundesliga, ma non esattamente il più noto e potente di Baviera. Si è tolto delle soddisfazioni, invece, Diego, che però non fece mai davvero parte del progetto di Delneri, essendo stato ceduto prima che iniziasse il campionato. Strana storia, quella del brasiliano: "prigioniero" a Wolfsburg (il club della Volkswagen ne detiene il cartellino), ma felice solo nel periodo passato in prestito a Madrid (vincitore dell'Europa League con l'Atletico).

nelle capitali — Gli altri "esodati" da Torino sono finiti nelle capitali: Mohamed Sissoko cerca minuti nel Psg di Ancelotti e degli sceicchi, Armand Traoré si dibatte in zona retrocessione col QPR in Premier League e David Trezeguet è un idolo al Monumental di Buenos Aires, dove esalta la "barra brava" del River Plate. Avesse qualche anno di meno, quale "top player" migliore di lui si potrebbe regalare a Conte?