Una riflessione di Michele Graglia, amico di Roberto Zanda e vincitore nel 2016 della versione pi¨´ breve della gara in cui l'ultrarunner sardo ha avuto l'incidente che lo ha costretto all'amputazione delle gambe: "Zanda ¨¨ un vero duro"
Il passo era pesante su quel sentiero di neve fresca che si snodava tra le infinite distese di fiumi e di laghi ghiacciati. Un paesaggio tipicamente pre-artico, tanto affascinante quanto pericoloso, dove solo pochi esseri sono riusciti ad adattarsi nel tempo a quel clima cos¨¬ rigido e poco ospitale. Tracce di lupi, alci e bisonti erano facilmente riconoscibili su quel manto bianco, immacolato, che si mostrava monotonamente all'interno del cono di luce emanato dalla torcia che portavo in fronte.
Le luci verdi dell'aurora danzavano ancora decise nel cielo scuro mentre mi avvicinai a quel rifugio, perso tra la nebbia nel mezzo del nulla, che rappresentava il mio tanto sospirato arrivo. Dopo una notte infinita, 21 ore di corsa e 160Km percorsi trainando una slitta di oltre 30 kili con tutto il materiale obbligatorio di emergenza, quel rifugio era come un'oasi nel deserto. Tre dita dei piedi colpite da geloni, la trachea e lo stomaco bruciati dall'aria tagliente a -40 gradi rappresentavano il piccolo prezzo da pagare per l'avventura di una vita, e il compimento di un'esperienza indimenticabile.
(Michele entra nel dettaglio di questa sua straordinaria avventura in uno dei capitoli del suo libro ULTRA - dove peraltro, la sapiente penna di Folco Terzani, descrive la sua metamorfosi da top-model dalle passerelle mondiali dell¡¯alta moda a Ultrarunner)(continua nella prossima scheda)
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