Marco Belinelli, 27 anni, è in Nba dal 2007. Usa Today Sports

La sconfitta con gli Heat, un ultimo meeting con coach Thibodeau, poi il “rompete le righe”. E così, dopo sette mesi volati in un baleno, la stagione di Marco Belinelli è giunta al capolinea, e non verrà dimenticata facilmente. La scelta di accettare un contratto annuale con Chicago era stata una sorta di scommessa, un radicale modo di mettersi in gioco. Che Beli ha intrepretato nel modo giusto, conquistandosi spazio e credibilità in un ambiente stimolante, oltre che molto competitivo.

momenti di gloria — Per i feticisti dei record, la stagione di Marco verrà ricordata come quella in cui per la prima volta un giocatore italiano ha vinto una serie di playoff. Il che, preso di per sé, sarebbe paccottiglia da almanacchi, se non fosse che proprio in gara-7 di questa serie l’Italiano in questione ha sfoderato una partita da 24 punti, con la perla di due canestri decisivi negli ultimi minuti. In trasferta. Dopo una serie passata ai margini. Insomma, Marco questo record se lo è conquistato, così come si è conquistato ogni minuto di gioco in una stagione tosta, irta di ostacoli. Le imprese ai playoff, che includono anche la vittoria in gara-1 su Miami, sono state solo il sigillo finale a un lavoro lungo, paziente. Cominciato con il training camp e progredito tra delusioni e soddisfazioni.

tenacia — Del resto, ancora più dei risultati e delle cifre, l’aspetto che ha reso la stagione di Marco memorabile è stata la tenacia. La capacità di stringere i denti e rispondere alle difficoltà con i fatti, aspettando l’occasione buona. E’ stato così nel primo mese di stagione, quando è stato usato poco e a singhiozzo, fino al deprimente DNP-CD (non utilizzato per scelta del coach, n.d.r.) contro i Bucks. La risposta? Un mese di dicembre sontuoso, quando l’infortunio a Rip Hamilton gli ha aperto le porte del quintetto. E’ stato così pure nei playoff, dopo che un paio di acciacchi nel finale di regular season – incluso uno stiramento agli addominali che gli ha dato più fastidio di quanto si potesse credere – gli avevano fatto di nuovo perdere posizioni nella rotazione. Con Deng e Hinrich finiti al tappeto, sono arrivate due splendide partite a chiudere la serie con i Nets, più almeno altre due di buon livello contro gli Heat. Insomma, il modo ideale di parlare con i fatti, incanalando le proprie motivazioni nella direzione giusta. Senza mai proferire lamentele in pubblico.

game-winner — A dare sugo a questi mesi, al netto di exploit realizzativi e notti magiche nei playoff, sono stati i quattro tiri decisivi insaccati di Marco durante la regular season. Una penetrazione contro Brooklyn, un tiro cadendo indietro contro Boston, un canestro e fallo in mischia contro Detroit e una difficilissima tripla dall’angolo contro Utah. Quattro prodezze diverse , e tutte decisive. Curiosamente accomunate dal fatto di essere state precedute a pochi secondi di distanza da un errore dello stesso Beli che avrebbe potuto costare la partita. “Non mi tiro mai indietro, non mollo mai” è stato, più o meno, il commento del giocatore dopo ciascuna di queste giocate. Certamente, alla stampa americana gli episodi sono rimasti impressi. Ancora adesso, nei bilanci di fine stagione dei vari giornalisti al seguito dei Bulls, questi tiri continuano a fare capolino, segno che non verranno dimenticati facilmente. E sebbene altre conclusioni a fil di sirena siano state sbagliate, nulla toglie a Marco il merito di essersi preso queste responsabilità. Soprattutto in una stagione in cui, Nate Robinson a parte, a Chicago è mancato terribilmente un giocatore pronto a gestire i possessi decisivi nei finali punto a punto.

tecnica — Oltre a portare la sua reputazione verso cime inesplorate, la stagione di Marco ha rappresentato un passo importante dal punto di vista tecnico. Non tanto nelle cifre di base – il 35% da tre è la peggior percentuale in carriera, i 9.6 a partita sono meno dei 10.5 del primo anno agli Hornets – quanto nella completezza del gioco offensivo. Percepito a inizio stagione come l’alter ego di Kyle Korver, Beli ha mostrato di essere invece un attaccante completo. Capace di penetrare, giocare senza palla, subire falli (i 168 liberi tirati sono record in carriera) e padroneggiare l'Eurostep, il terzo tempo con passi in direzioni opposte che ancora adesso risulta indigesto a molti difensori americani. Senza dimenticare gli assist, soprattutto negli spezzoni da playmaker aggiunto che Thibodeau gli ha fatto giocare. In sintesi, è giunta l’ora di sbarazzarsi dell’etichetta di specialista del tiro e abbracciare quella della guardia tiratrice a tutto tondo. Che non diventerà forse un All Star, ma sa avere un impatto sulla partita in modi diversi, anche quando il tiro non entra. In mezzo alle luci, il dubbio più grosso riguarda la forbice tra il rendimento partendo in quintetto e quello partendo dalla panchina. Una questione più di sensazioni che di statistiche: Beli è sembrato più sicuro, più sciolto, più affidabile quando sapeva di non dover tornare in panchina al primo errore. In altre parole: ha convinto molto di più come guardia titolare che come sesto/settimo uomo in grado di produrre punti istantanei. Il che sarà oggetto di riflessione per il management dei Bulls nel valutare la sua posizione futura. Soprattutto se, come sembra, Jimmy Butler verrà promosso in quintetto nella prossima stagione, in cui tornerà anche Derrick Rose.

Belinelli con Chicago ha giocato 73 partite di regular season, 27 delle quali da titolare. Afp

futuro — Conclusa la stagione, è tempo di staccare e andare in vacanza. Il futuro con i Bulls è incerto. Non tanto perchè il club non voglia trattenerlo - tutt’altro - quanto perché ora Beli è free agent, e avrà un volume di mercato presumibilmente importante. Le sue possibilità di rimanere a Chicago sono difficili da quantificare ora, anche perché dipendono da una serie di scelte strategiche del club su altre questioni. Quello che è certo è che i Bulls hanno poco spazio di manovra salariale, a meno di scambi – non impossibili - che coinvolgano pezzi grossi (come Luol Deng). Si capirà tutto dopo il primo luglio, data di inizio di tutte le trattative. La morale è che contrattino annuale da 2 milioni scarsi, a questo punto, gli sta stretto. E’ il segno che Marco ha vinto la sua scommessa.