Wolves più internazionali
E sono tornati a vincere

Da sempre il clima freddo e nevoso del Minnesota è visto come un ostacolo allo sforzo dei Timberwolves di attirare i migliori free agent della Nba: spesso i giocatori statunitensi sono più affascinati dal sole di Los Angeles, dalla sabbia di Miami o dalle luci di New York. Ma poi scopri che da queste parti i cestisti russi si sentono come a casa loro: è così anche per i montenegrini, e pian piano il discorso inizia a estendersi anche agli spagnoli e ai portoricani. Per molti anni Minnesota ha virtualmente ignorato il fiorente mercato internazionale, e ha spesso esitato nel momento in cui ha avuto la possibilità di prendere nel draft o sul mercato dei free agent alcuni dei più celebrati prospetti europei, preferendo puntare su giocatori indigeni e più conosciuti. Ma adesso, nel giro di poche stagioni, il general manager David Kahn e il responsabile dello scouting internazionale Pete Philo hanno dato al Minnesota, dove uno dei piatti tradizionali è la carne con le patate, un sapore cosmopolita, trasformando Minneapolis in una destinazione gradita ai migliori giocatori europei.

Andrei Kirilenko, 31 anni, è sbarcato a Minneapolis la scorsa estate. US Presswire

cosmopolita — Ricky Rubio, Andrei Kirilenko, Alexey Shved, Nikola Pekovic e JJ Barea sono i cinque giocatori stranieri nel roster di Minnesota, al secondo posto insieme a Cleveland in questa speciale classifica che vede al comando San Antonio con un record Nba di 8 stranieri. "È abbastanza evidente che in questa squadra ci sono molti giocatori che non sono soltanto bravi, ma che sono addirittura tra i migliori arrivati dall’estero – ha spiegato Kahn -. È una conseguenza naturale del nostro processo di scouting: così come non possiamo permetterci di trascurare il mercato statunitense, dobbiamo anche cercare di essere competitivi sul mercato internazionale". Questa nuova attenzione al panorama estero è uno dei principali motivi che hanno permesso ai Twolves di tornare competitivi nella Western Conference: i Wolves hanno scelto Rubio nel draft del 2009 (anche se qualcuno aveva erroneamente speculato sul fatto che Ricky avrebbe preferito giocare in una città più appetibile) e il playmaker spagnolo è diventato uno dei talenti più entusiasmanti della Nba. Quest’estate Minnesota ha firmato anche Kirilenko e Shved, compagni di squadra nella nazionale russa, e i due hanno contribuito a mitigare la terribile striscia di infortuni che ha colpito i Wolves a inizio anno. Il montenegrino Pekovic è stato scelto nel draft da Kevin McHale, che adesso ha lasciato i Wolves, e ha trovato la consacrazione da ottimo centro offensivo con il nuovo coach Rick Adelman, mentre Barea, anche a causa di continui problemi fisici, ha messo in mostra solo qualche lampo di quel playmaker che nel 2010 era stato decisivo per la corsa al titolo dei Dallas Mavericks.

apertura all'estero — Da anni Philo lavora senza sosta per dare visibilità al potenziale cestistico su scala globale: di recente si è dimesso dopo nove anni alla guida dell’Eurocamp, una manifestazione che ha guadagnato molti consensi. Inoltre, durante l’Olimpiade di Londra, ha ricoperto il ruolo di direttore dello scouting per la nazionale cinese e da sette anni lavora come osservatore internazionale per i Wolves. Non sempre la dirigenza dei Wolves ha dato ascolto a Philo: McHale ha spesso esitato al momento di scegliere giocatori stranieri nel draft. Elementi come Rasho Nesterovic, Stojko Vrankovic e Shane Heal sono stati solo di passaggio a Minnesota, mentre altri club Nba portavano a termine acquisti fondamentali grazie alle risorse e alla fantasia che immettevano in questo processo, basti pensare ai nomi dei migliori talenti scoperti in giro per il mondo: Manu Ginobili e Tony Parker a San Antonio, Dirk Nowitzki a Dallas, Yao Ming a Houston, Serge Ibaka a Oklahoma City, Marc e Pau Gasol (Memphis e Lakers). Nel 2009, quando Kahn si è insediato nel ruolo di general manager, ha subito sottolineato l’importanza di una più elevata produttività sul mercato internazionale, senza però apportare cambiamenti significativi nel modo di operare dei Wolves: a Philo e Zarko Durisic spetta ancora il compito di scoprire e valutare i talenti stranieri, ma la differenza sta nel fatto che Kahn sembra più propenso a puntare su questi giocatori rispetto a McHale. "Proprio come me, David è bravissimo a raccogliere informazioni – ha spiegato Philo – e in questo senso siamo molto compatibili. Siamo molto simili da questo punto di vista: nell’ambito dello scouting internazionale le informazioni devono essere estremamente dettagliate e valide, altrimenti non si avrà mai il quadro completo, ma solo una piccola parte". L’esperienza di Philo, che ha giocato all’estero e ha diretto l’Eurocamp, ha aiutato i Wolves ad acquisire una posizione di privilegio al momento di sondare i talenti più promettenti, e Kahn si reca periodicamente in Europa per valutare da vicino i prospetti più interessanti. Secondo Philo, la filosofia dei Wolves è semplice: "Dimenticare la matrice internazionale dei giocatori stranieri". Mentre alcuni dei più tradizionalisti osservatori della Nba tracciano ancora una linea nella sabbia che separa i giocatori statunitensi da quelli stranieri, i Wolves non fanno distinzioni: Minnesota si è impegnata molto per far conoscere le leghe europee agli scout responsabili del mercato americano e ai tecnici, per permettere loro di capire quali delle qualità di questi giocatori possono adattarsi o meno allo stile di gioco della Nba. "Il problema principale dei giocatori statunitensi è quello di rendersi conto del livello dei campionati esteri – ha spiegato Philo -. È come osservare una pellicola poco nitida, il ritmo di gioco è più lento e per questo sembra meno affascinante: in realtà bisogna solo capire a quale livello siamo". E tutto questo è stato fondamentale nel caso di Rubio, che ha esordito a 14 anni nel campionato spagnolo: le statistiche di Ricky non sono mai state troppo appariscenti, anche dopo essere stato scelto alla numero 5 nel draft. Ma i Wolves non si sono mai preoccupati: in lui hanno visto un elemento giovane e creativo, in grado di giocarsela alla pari con giocatori più maturi in una lega molto esigente dal punto di vista fisico. Sono le stesse caratteristiche che Minnesota ha ritrovato in Shved, un talento meno conosciuto che è arrivato quest’estate: in passato si era dichiarato eleggibile per il draft, ma nessuna squadra della Nba lo aveva scelto e di conseguenza molti osservatori si erano dimenticati di lui. Ma i Wolves non hanno perso di vista questa guardia tiratrice di 198 cm, e ne è valsa la pena: Shved si sta imponendo nel ruolo di playmaker, ed in quella posizione è il giocatore di cui Adelman, implicitamente, si fida di più nel quarto periodo. "Alcuni giocatori maturano più tardi – ha spiegato Philo -. Mi diverto molto quando gli scout che solitamente sono responsabili del mercato statunitense arrivano in Europa per la prima volta: li vedi all’aeroporto o in hotel, e magari sono molto nervosi perché non riescono a trovare la palestra. Una volta un osservatore ha messo il carburante sbagliato nella sua macchina, perché gran parte delle auto europee sono a diesel: la macchina si è fermata tra Treviso e Milano. Almeno venticinque auto si sono fermate per aiutarlo, ma ovviamente lui non era in grado di comunicare e quindi è stato costretto a restare per ore al gelo".

lo stile adelman — Il tassello che ha permesso di completare il puzzle risponde al nome di Adelman: da anni la sua fase offensiva, improntata sul gioco in campo aperto e su una continua circolazione di palla, è particolarmente adatta ai giocatori europei. A Sacramento, Vlade Divac e Peja Stojakovic sono esplosi in questo sistema di gioco, mentre Yao Ming, Luis Scola e Goran Dragic hanno giocato per Adelman a Houston, con ottimi risultati. "Gli agenti di Alexey pensano che il sistema di Rick si adatti benissimo allo stile di gioco di Shved, e sicuramente anche Kirilenko ha sempre ammirato Adelman, seppure a distanza – ha dichiarato Kahn -. Questo non significa che la nostra mentalità diventerà totalmente internazionale, ma certamente per noi è tutto più semplice dal momento che abbiamo giocatori che arrivano dall’estero e che hanno abbastanza successo". Forse il clima non sarà mai ideale a Minneapolis, ma il basket può diventarlo: e la presenza nel roster di molti giocatori che sanno cosa vuol dire compiere il salto da una nazione all’altra può essere un aiuto interno per gli elementi che arriveranno in futuro. "Quando è bel tempo, questa città è stupenda – ha spiegato Rubio -. È come essere a casa".