Erragragui, 1° e incredulo
"Il mio compagno è più forte"

Terza tappa del giro dela Rwanda da Kigali al lago Kivu. Il marocchino vince e stupisce: "La maglia non me la merito". Tanti italiani presenti a vario titolo: ecco le loro storie

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KIBUYE (Rwanda), 18 novembre 2009 - Prima si è messo le mani in testa perché non credeva alla felicità di aver vinto la tappa. Poi si è messo le mani in testa perché non credeva all’infelicità di aver conquistato la maglia di leader della classifica. Infelicità, possibile? "Vincere la tappa, passi. Ma la maglia, no - ha tentato di spiegare Mohamed Erragragui -. Perché non sono il più forte, e la maglia non me la merito. Il più forte è il mio compagno Adil Jelloul".

L'arrivo vincente di Mohamed Erragragui

la prigione — Terza tappa, da Kigali al lago Kivu, 124,2 km di una bellezza potente, prepotente, strapotente. La forza della natura. Addomesticata, mai domata. Assecondata, mai sottomessa. Coltivazioni di banane e maracuja, piantagioni di granturco e canne da zucchero, e poi villaggi color argilla, case pitturate di verde e celeste, mercati della verdura e dei vestiti, di tutto e di niente, panni stesi, colonne di uomini e donne in perenne cammino e trasporto, biciclette impiegate come muli o furgoni o carriole o carretti, perfino il passaggio davanti a una prigione (i detenuti in un camice azzurro, le detenute in un camice rosa, aggrappati alle reti) e a un ospedale (i pazienti in un camice arancione, appoggiati ad alberi o a stampelle). Poi, siccome c’è anche la corsa, ecco la consueta razione di salite e precipizi, sei gran premi della montagna, due di terza categoria, due di seconda, due di prima, di cui uno era l’ultimo, a 38 km di discesa dall’arrivo in un paradiso terrestre.

Un momento di relax in Rwanda

aria italiana — C’è anche aria italiana. L’aria italiana di Flavio Pasquino, 36 anni, papà sassarese e mamma olandese, lui è nato a Seleen vicino a Maastricht, abita ad Amsterdam, parla anche italiano, suo figlio l’ha chiamato Rocco, non in omaggio a Rocco Siffredi, ma in onore di Rocco Granata, cantante, la cui "Marina, Marina" faceva impazzire la mamma olandese. Da ragazzo, Pasquino correva con Boogerd e Dekker, con De Jongh e Knaven, poi quando ha cominciato a vederli solo alla partenza e mai all’arrivo, l’ha piantata lì. Ma siccome la bici è una malattia, un anno fa ha ricominciato da amatore, quest’anno si è laureato campione del mondo master fra i 35 e i 39 anni, e adesso è qui, pagandosi il viaggio (900 euro).

ferrovie — L’aria italiana di Jesper Fiedler, 45 anni, papà danese e mamma siciliana, lui 27 anni fa se n’è andato in Uganda, ha sposato una donna ugandese, ha due figlie e due compagnie specializzate in safari, però gode solo quando scala montagne in bici: dalla Maratona dles Dolomites alla Granfondo Pinarello, dal Ventoux al Colle dell’Agnello, fino a queste qua. Dove però, oggi, ci ha lasciato la clavicola, cadendo. L’aria italiana di Loris Rossi, 57 anni, radici friulane, anagrafe francese di Sallanches, da quattro anni in Gabon come manager di linee ferroviarie. Proprio quattro anni fa, le ferrovie del Gabon sono state chiamate a trasportare i corridori durante la Tropical Amissa Bongo, sei tappe, e lui si è innamorato di quella compagnia pericolante e pedalante. Così, dopo quattro edizione dell’Amissa Bongo, adesso si è preso le ferie ed è venuto qui: durante la tappa, guida una Mercedes e controlla gli arrivi sui gran premi della montagna, poi piomba al traguardo e fa un po’ di tutto, a cominciare dal cronometraggio. L’aria italiana delle biciclette: come la Tommasini dell’ugandese Daniel Alikesente e la Bianchi del rwandese Emanuel Rudahunga, come i pantaloncini Acqua & Sapone del marocchino Mouhcine Lahsaini, come le ruote Vuelta di Jesper Fiedler. Che domani, e per un bel pezzo, non gireranno più.