La nuova terra che ci troviamo a traversare ¨¨ chiamata Garrigues. Sembra di navigare fra i dorsi dolcemente inclinati di colline tenute a vigna dai quali emerge, in distanza, il cuneo aguzzo del Pic-Saint-Loup, sulla vetta del quale, secondo la leggenda, si ritir¨° in romitaggio un crociato la cui bella era morta mentre lui si trovava a combattere in Terrasanta insieme ai due fratelli. [...]
La nuova terra che ci troviamo a traversare ¨¨ chiamata Garrigues. Sembra di navigare fra i dorsi dolcemente inclinati di colline tenute a vigna dai quali emerge, in distanza, il cuneo aguzzo del Pic-Saint-Loup, sulla vetta del quale, secondo la leggenda, si ritir¨° in romitaggio un crociato la cui bella era morta mentre lui si trovava a combattere in Terrasanta insieme ai due fratelli. La sua cima pietrosa non raggiunge i 700 metri, ma spicca con tanto nitore sulle campagne sottostanti che sembra ben pi¨´ insigne, e per un giorno intero ci serve come punto di riferimento, meridiana, cangiante pietra di paragone con le montagne pi¨´ caratteristiche del pianeta: da una certa angolazione appare un Cervino in sedicesimo, da unĄŻaltra richiama lĄŻinconfondibile versante del Sassopiatto affacciato verso lĄŻaltopiano dellĄŻAlpe di Siusi.
Vorremmo raggiungerlo, depositare lo zaino presso la cappella costruita a poca distanza dalla croce sommitale, e invece ci troviamo ad allontanarcene sempre di pi¨´, finch¨Ś non si trasforma in una gobba insignificante e sparisce alle nostre spalle.
Invece di salire, scendiamo su Lod¨¨ve, lĄŻultima cittadina che incontriamo sulla nostra strada prima di inoltrarci nuovamente in montagna. Alle sette della sera ci appare sonnacchiosa e desolata; fatichiamo a trovarvi un bar aperto e un ristorante dove cenare. LĄŻindomani mattina, invece, al momento di ripartire, negozi e caf¨Ś sono tutti aperti: ne profittiamo per infilare nello zaino un pain au chocolat per lo spuntino di mezza mattina e una quiche per il pranzo.
I segnavia biancorossi della Grande Randonn¨Śe 653, ora, ci guidano a prender quota verso il cuore del Parco Regionale dellĄŻAlta Linguadoca, simile a unĄŻisola verdeggiante che si estende per tremila chilometri quadrati sulle estreme propaggini del Massiccio Centrale (che, a dispetto del nome, si trova piuttosto a Sud dellĄŻĄ°EsagonoĄą francese).
La popolazione, assai scarsa, si concentra in piccoli villaggi, presepi di case sprofondati nel mondo vegetale della foresta e distanti parecchie ore di cammino lĄŻuno dallĄŻaltro: non ci sono negozi, n¨Ś posti-ristoro, e la popolazione si affida per i propri rifornimenti alle visite dei venditori ambulanti di cibarie che fanno la spola fra i paeselli a bordo dei propri camion.
Quanto a noi, camminiamo fra le sette e le nove ore al giorno, pause escluse, sotto un cielo talmente terso che riusciamo a distinguere i cerchi disegnati dai rapaci a distanza di chilometri. LĄŻunica traccia della presenza umana ¨¨ costituita da intermittenti selve di pale eoliche, tipicamente assediate da scritte in francese e in occitano che ne contestano lĄŻinstallazione.
Siamo presi da sincera ammirazione quando facciamo la conoscenza di due ragazzi partiti da Arles, che si sono addentrati in questo angolo appartato dĄŻEuropa con la tenda e una scorta di scatolame nello zaino: dormono nei boschi, come facevamo noi a ventĄŻanni, e la sera mangiano sgombro sottĄŻolio, fagioli e mais, tutto rigorosamente freddo.
Il portavoce del gruppo, muscoli lunghi da maratoneta e sguardo franco, ha nome Thibaud; il suo amico, che sfoggia occhiali a fondo di bottiglia e una barba da profeta, diventa subito per noialtri Mos¨¨. Sin qui hanno coperto una quarantina di chilometri al giorno, e la grinta per arrivare di slancio a Santiago, decisamente, non sembra far loro difetto.
Noi come loro, per¨°, ci dovremo presto confrontare con una perturbazione in arrivo, e qualcosa ci dice che, sotto la pioggia, dovremo rivedere le nostre tabelle di marcia...
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