I CONSIGLI
Gestire la crisi e la fatica in gara: cosa fare quando la mente ci dice "non ce la faccio pi¨´"?
Ci¨° che comunemente denominiamo "fatica" si lega in maniera molto stretta alla percezione dello sforzo in cui siamo impegnati nonch¨¦ alla motivazione, ovvero al nostro grado di impegno e tolleranza nei confronti di questo sforzo; in altri termini, a quanta fatica siamo disposti a fare.
Abbiamo cercato di capire meglio cosa succede, da un punto di vista psicologico, quando, impegnati in uno sforzo durante una disciplina di endurance, la mente ci dice: "Non ce la faccio pi¨´!".
L'ESPERTA
¡ª ?Per farlo abbiamo fatto appello a Maria Chiara Crippa, psicologa sportiva che collabora con diversi atleti impegnati negli sport e discipline di resistenza. "Per capire meglio questo fenomeno ¨¨ del tutto utile rifarsi al modello psico-biologico elaborato da Samuele Marcora, ricercatore dell'Universit¨¤ di Bologna specializzato nella?psicobiologia della prestazione di endurance, la percezione dello sforzo e il suo ruolo nel limitare l'attivit¨¤ fisica quotidiana.
Il concetto chiave da tenere a mente ¨¨ legato alle riserve neuromuscolari eccedenti presenti nel nostro fisico. La percezione di fatica, tendenzialmente, inizia a comparire attorno al 70% della resa muscolare, come se fosse un campanello di allarme volto a non portarci all'esaurimento. In questo senso, si deve sfatare il mito che la fatica rappresenti un limite fisiologico. Le ricerche di Marcora, infatti, ci dicono che anche quando arrivano i segnali di fatica, i nostri muscoli possono impegnarsi al 100% del massimo consumo di O2 per altri 7-8 minuti." Davvero un'enormit¨¤ in termini di resa prestativa!
COSA SIGNIFICA FARE FATICA?
¡ª ?Spiegato questo, dunque, ci chiediamo: cosa significa fare fatica? "E' importante capire che quando arrivano i segnali di fatica dobbiamo focalizzare la nostra attenzione almeno su due aspetti:
- se arriviamo a provare quelle sensazioni di disagio e malessere che caratterizzano l'esperienza della fatica significa che ci stiamo avvicinando all'esaurimento della nostra resa muscolare, quindi, da un punto di vista dell'allenamento, il nostro training si sta caratterizzando come efficace;
- stando al modello psico-biologico a cui abbiamo fatto riferimento prima, quando proviamo fatica significa che, comunque, per quanto possiamo avere la percezione di aver esaurito le nostre riserve, in realt¨¤ abbiamo delle riserve in eccedenza non da poco.?
In questi senso la fatica va normalizzata, la sua esperienza non deve metterci in allerta, in ansia e nemmeno farci paura".
LE STRATEGIE PER VINCERE LA FATICA
¡ª ?Una volta giunti nella fase clou della gara o dell'allenamento, cio¨¨ quando la percezione dello sforzo e della fatica iniziano a impattare la nostra capacit¨¤ di performance, ¨¨ la mente che deve intervenire ed essere pronta a gestire questa situazione. Spesso, soprattutto negli sport e nelle discipline di endurance, molte competizioni si giocano sui campi di questa battaglia mentale tra gli avversari. Cosa fare quindi?
- ?La fatica muscolare detiene, comunque, un effetto negativo sulla prestazione. Tuttavia, questo effetto ¨¨ mediato dalla percezione che abbiamo dello sforzo e della fatica. In questo senso, allenare il nostro fisico e quindi ritardare la comparsa di quei segnali ¨¨ un qualcosa di imprescindibile.
- Secondo il modello psico-biologico la percezione di sforzo ¨¨ influenzata dalla fatica mentale. Tutto ci¨° che riduce l¡¯affaticamento mentale migliora la nostra capacit¨¤ di stare sulla fatica. Occorrerebbe evitare, quindi, compiti cognitivi prolungati soprattutto la sera prima della gara ma anche evitare giochi ad alto impegno cognitivo o attivit¨¤ dispendiose dal punto di vista mentale. Da questo punto di vista, anche le emozioni influenzano la percezione di sforzo, quindi sarebbe fondamentale risolvere questioni problematiche prima dell¡¯appuntamento dell¡¯anno (se possibile) e lavorare sui vissuti emotivi.
- Infine, occorrerebbe imparare delle tecniche psicologiche per migliorare performance di endurance: self talk motivazionale, strategie attentive associative o dissociative, respirazione, etc¡
IL SELF TALK MOTIVAZIONALE
¡ª ?Il self talk, per essere efficace, deve avere caratteristiche ben precise. Innanzitutto, andrebbe impostato in "positivo", ovvero evitando gli aspetti legati alla negazione, come ad esempio: "Non mollare", "Non fermarti". In secondo luogo, dovrebbe essere in seconda persona, l'imperativo ¨¨ sempre pi¨´ efficace. In terzo luogo, soprattutto durante le fasi iniziali della fatica, dovrebbe essere un self talk di istruzione, ovvero in grado di portare l'attenzione sul gesto tecnico, piuttosto che sulla postura o il respiro (strategia attentiva associativa) oppure su aspetti esterni alla persona: l'avversario che ho davanti, l'asfalto, il paesaggio e cos¨¬ via (strategia attentiva dissociativa).
Infine, nelle fasi finali, quando si giunge all'apice della fatica, il self talk cede il passo a un'impronta di tipo motivazionale: "Spingi!", "Forza!" "E' fatta!" ecc... oppure, sempre in questa fase, importante risulta visualizzare l'obiettivo, ovvero ricordarsi perch¨¦ si sta facendo fatica, cosa ci spinge a raschiare il fondo del barile e a scoprire che quel limite che credevamo cos¨¬ invalicabile, in realt¨¤, si pu¨° spostare... un p¨° pi¨´ in l¨¤.?
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