Dieci anni senza Mangiarotti: ecco chi era la leggenda della scherma
Dieci anni fa, oggi, Edoardo Mangiarotti lasciava la pedana della vita, poche settimane dopo aver scavallato le 93 primavere. Intensissime, esaltanti, straordinarie. Ancora oggi il suo nome ¨¨ davanti a quello di qualunque altro campione dello sport azzurro in una gloriosa e ambita graduatoria, quella del pi¨´ medagliato atleta italiano – e quarto assoluto - della storia olimpica. E anche della scherma mondiale, perch¨¦ nessun erede di D’Artagnan ha conquistato quanto lui sul palcoscenico a cinque cerchi.
Impugnando alternativamente due armi - la prediletta spada e il fioretto - pur con il gap di due edizioni dei Giochi saltate a causa della Seconda Guerra Mondiale, tra il 1936 e il 1960 il grande Edo ¨¨ stato capace di collezionare la bellezza di 13 medaglie olimpiche. Cos¨¬ ripartite: sei d’oro, cinque d’argento e due di bronzo. O, se preferite: cinque d’oro, una d’argento e due di bronzo nella spada; una d’oro e quattro d’argento nel fioretto. O, volendo ancor pi¨´ specificare: una d’oro, una d’argento e due di bronzo individuali; cinque d’oro e cinque d’argento a squadre. Una collezione degna di una gioielleria, a cui vanno aggiunte 26 medaglie mondiali, di cui la met¨¤ del metallo pi¨´ ambito. In una parola: una leggenda.
ICONA
¡ªNato a Renate, in Brianza, il 7 aprile 1919, ma cresciuto di fatto a Milano, Edoardo Mangiarotti ¨¨ stato “La Scherma”. Come sarebbe poi stata Valentina Vezzali, colei che ne ha raccolto il testimone 40 anni pi¨´ tardi. Esord¨¬ giovanissimo, chiuse ultraquarantenne. E tocc¨° il suo zenith ai Giochi di Helsinki, nel 1952. In quei giorni di fine luglio, dopo essersi inchinato al sublime Christian D’Oriola e alla sua Francia nelle due gare di fioretto, sal¨¬ in cattedra nei due tornei di spada. Alla sinfonia azzurra sfoderata in quello a squadre, fece seguito infatti la doppietta individuale. E non una doppietta qualunque, bens¨¬ un affare tutto in famiglia, con Edoardo d’oro e Dario d’argento, quest’ultimo artefice proprio del trionfo del fratello minore in virt¨´ del successo nell’ultimo assalto con il lussemburghese Buck: se lo avesse perso, Edo sarebbe stato costretto allo spareggio con lo stesso Buck. Invece lo vinse, di una sola stoccata. Pi¨´ che una famiglia, quella dei Mangiarotti fu una dinastia. In pedana il capostipite era stato Giuseppe, caposcuola della scherma italiana e olimpico ai Giochi di Londra 1908. Educ¨° severamente i tre figli (c’era anche Mario, l’ultimogenito, a sua volta schermitore azzurro prima di diventare apprezzato cardiologo), avviandoli alla pratica di pi¨´ sport, soprattutto il nuoto, la boxe e il ciclismo.
LA CARRIERA
¡ªMa la scherma era la priorit¨¤. La sala di scherma era al numero civico 26 di via Solferino, a due passi dall’Accademia di Brera, dove Edoardo ha poi vissuto sino alla fine dei suoi giorni. L¨¬ cominci¨° a tirare all’et¨¤ di 8 anni. Era destro naturale, ma il padre lo mutu¨° quasi subito in mancino. L’immenso Nedo Nadi - il dominatore di Anversa 1920 con una cinquina mai ripetuta - diventato nel frattempo c.t. azzurro lo gett¨° nella mischia ai Giochi di Berlino 1936, sacrificando proprio Dario, che aveva 4 anni di pi¨´ ed era campione italiano. Edo era ancora diciassettenne, ma aveva gi¨¤ il talento cucito addosso. Disput¨° solo la gara a squadre, comunque da titolare: disput¨° 23 assalti, infil¨° 19 vittorie. E l’Italia sal¨¬ sul gradino pi¨´ alto del podio. Fu il primo mattone d’oro di una carriera straordinaria, durata un quarto di secolo. Compagni e avversari gli riconobbero la grandezza, la classe, lo stile impareggiabile. Adolfo Cotronei – giornalista, schermitore, soldato, poeta – lo defin¨¬ “un atleta di incomparabile finezza, capace di tenere a bada qualsiasi campione e di insegnare cosa siano la forza e la grazia nello slancio consapevole del combattimento”.
SULLA ROSEA
¡ªAnche Edo si dilett¨° col giornalismo. E i suoi resoconti trovarono spazio proprio sulle colonne della Gazzetta dello Sport. Avvenne anche ai Giochi di Helsinki. “Il giorno della mia vittoria – amava raccontare – la cerimonia protocollare sub¨¬ un ritardo. E cos¨¬ il mio pezzo. Arrivarono Gianni Brera e Gualtiero Zanetti (all’epoca entrambi direttori della rosea, ndr) e mi rimproverarono. ‘Mettiti subito a scrivere’ mi dissero. E poi mi chiesero: ‘Ma chi ha vinto?’ Quando riposi che avevo vinto io mi presero a male parole…”. In tutte le sue cinque partecipazioni olimpiche, Mangiarotti sal¨¬ sempre sul podio. A Melbourne ’56, dove fu anche portabandiera, alla doppietta a squadre aggiunse il bronzo individuale, sempre nella spada, dietro agli altri due azzurri Carlo Pavesi e Giuseppe Delfino. Quella medaglia, per¨°, non gli and¨° mai gi¨´. A Roma ’60, dove fu di nuovo portabandiera, chiuse in bellezza la sua storia da atleta con un altro oro nella spada a squadre. Ma di fatto la sua carriera olimpica ¨¨ proseguita per altre 12 edizioni, sino a Pechino 2008, perch¨¦ Edo ¨¨ stato presente in altre vesti: se non come atleta e giornalista, come capodelegazione, delegato e segretario generale della Federazione Internazionale.
AL FAMEDIO
¡ªOggi Edoardo Mangiarotti riposa al Cimitero Monumentale di Milano nel Famedio, il “tempio della fama”, che ospita la salma dei milanesi (di origine o di adozione) che hanno dato lustro alla citt¨¤. Il suo ricordo - grazie anche all’impegno della figlia Carola, a sua volta arrivata sino al palcoscenico olimpico - si perpetua grazie a varie iniziative, a cominciare dal Premio Internazionale Edoardo Mangiarotti, e attraverso l’attivit¨¤ del Circolo della Spada che porta il cognome della famiglia pi¨´ medagliata della scherma italiana e mondiale.
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