I coach
Il campione e lo sfidante. La nobilt¨¤ Nba forgiata in 8 anelli tra campo e panchina contro il parvenu forgiatosi allenando in Gran Bretagna. Una beautiful mind che qualcuno sogna addirittura di vedere candidato alla Casa Bianca e il meme preferito sui social tra eloquenti espressioni facciali e il massaggino di Drake. Le Finals tra Golden State e Toronto sono anche questo: il confronto tra Steve Kerr e Nick Nurse.
Nurse ha 51 anni, ¨¨ sposato con Roberta, 33enne brasiliana ex pallavolista, e ha tre figli. L’ultimo, Rocky, ¨¨ nato subito dopo gara-3 della serie contro Milwaukee, la sfida vinta dai Raptors dopo due supplementari che ha cambiato la finale a Est. E in gara-6 era gi¨¤ alla Scotiabank Arena a tifare per pap¨¤. Il viaggio di Nurse, nato e cresciuto nell’Iowa, verso la panchina di Toronto ¨¨ quanto di pi¨´ tortuoso si possa immaginare. Vero, prima di essere promosso head coach all’inizio del 2018-19 (battendo in volata Ettore Messina), aveva passato 5 anni nello staff di Dwane Casey, guadagnandosi la stima della dirigenza Raptors. Ma la sua carriera in panchina ¨¨ cominciata in Gran Bretagna, ad appena 23 anni, nei Derby Bucks, una squadra delle Midlands britanniche in cui il futuro tecnico dei Raptors era arrivato col ruolo di giocatore/allenatore. Nurse ¨¨ tornato negli Usa dopo una sola stagione, ma nel 1995 ¨¨ tornato di nuovo in Inghilterra per allenare nella British Basketball League. Dove, fra giocatori che si presentavano tardi agli allenamenti perch¨¦ costretti agli straordinari nel loro lavoro di tutti i giorni, pagamenti in ritardo e autobus di squadra rimasti senza benzina nel bel mezzo della brughiera, ha forgiato quella filosofia che, giura, ha applicato anche nella sua avventura a Toronto. Attorno a Nurse c’era molto scetticismo quando Masai Ujiri lo ha scelto come head coach, in una stagione in cui la presenza di Kawhi Leonard con un solo anno di contratto rimanente obbligava la squadra ad un risultato importante. Come le Finals che sono puntualmente arrivate. Con Nurse che ¨¨ passato in fretta da meme sui social a idolo dei tifosi canadesi, meno importante solo di Kawhi. Tanto che sar¨¤ lui ad allenare al prossimo Mondiale cinese il Canada, che sogna un risultato importante come quello dei suoi Raptors.
Maggio 2014 ¨¨ la data di uno dei pi¨´ grossi “what if” della Nba moderna: cosa sarebbe successo se Steve Kerr avesse mantenuto la parola data a Phil Jackson e si fosse seduto sulla panchina dei Knicks del suo maestro? Una beautiful mind come la sua sembra nata per avere successo. Lo ha avuto da giocatore, vincendo 5 anelli: gli ultimi 3 con Michael Jordan (da cui una volta prese un cazzotto in allenamento) e il Maestro Zen a Chicago, poi i primi due della dinastia Spurs (1999 e 2003) alla corte di Gregg Popovich. Lo ha avuto da telecronista, da general manager a Phoenix (2007-2010). E ora da coach dei Warriors. Lo approcciarono timidamente proprio perch¨¦ si era gi¨¤ promesso ai Knicks. Ma Kerr, che viveva a San Diego e preferiva restare in California, a due ore di volo da casa, chiese a Jackson il permesso di accettare. E lo ottenne. La leggenda in panchina di questo 53enne nato in Libano, figlio di un professore universitario assassinato dai terroristi a Beirut nel 1984, nasce cos¨¬: ha mescolato gli stili imparati dai suoi maestri (oltre a Jackson e Pop, con cui ha cenato qualche sera fa, anche Mike D’Antoni, suo coach quando era general manager di Phoenix), ascoltando i suoi giocatori e creando un sistema capace di esaltare le caratteristiche di chi ha a disposizione. Kerr non ¨¨ mai banale: ha preso posizioni forti contro Donald Trump, sia quando era ancora candidato alla presidenza, poi quando ¨¨ stato eletto alla Casa Bianca, e non nasconde mai la sua voglia di fare la differenza anche nel sociale. Anche se il suo contributo viene spesso sottovalutato, ¨¨ componente essenziale del successo della dinastia Warriors. Senza questo biondino con la mascella squadrata, cresciuto in Medio Oriente e diventato vincente in campo, Golden State non sarebbe una macchina di successi.
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