C.J. Miles dà gas a Cleveland
"I Cavs sono da playoff"

C.J. Miles è veramente felice di essere un membro dei Cleveland Cavaliers, basta parlarci per un minuto per rendersene conto. Miles, uno degli ultimi giocatori a essere scelto nel draft Nba direttamente dal liceo, si sta avviando verso la sua ottava stagione da professionista nonostante compia 26 anni a marzo (al riguardo, ha dichiarato che Kyrie Irving lo prende in giro e lo chiama "vecchio" in allenamento). Il versatile swingman ha trascorso le sue prime sette stagioni a Salt Lake City, facendo registrare medie da 8.4 punti, 2.2 rimbalzi e 1.3 assist in 389 partite con i Jazz. Due anni fa ha disputato la sua miglior stagione con una media di 12.4 punti a incontro. Nella scorsa stagione Miles ha messo a referto una media di 9.1 punti. Si potrebbe dire che per Miles, alto 198 cm per 100 kg, il meglio debba ancora venire. Miles giocava nella Skyline High School di Dallas quando è stato scelto alla trentaquattresima chiamata del Draft 2005 dai Jazz. Con la firma del contratto da free agent lo scorso 8 di agosto, Miles vuole rilanciare la propria carriera a Cleveland, dove giocherà da 2 dandosi il cambio con il rookie Dion Waiters, oltre a qualche incursione come ala piccola.

C.J. Miles saluta Utah Jazz, adesso ha nuovi tifosi. Reuters

che entusiasmo — Perché ha scelto lo "0" come numero di maglia?
"Un cambiamento, mi sento come se dovessi ricominciare da capo. Appunto, quale numero esprime meglio il concetto di ricominciare da zero? Ma l'ho scelto anche perché in realtà non dovrei essere qui. Se guardiamo le statistiche, non dovrei perché sono stato una scelta del secondo turno. Tutti mi dicevano che non sarei durato due anni in Nba. Poi mi dicevano che alla fine del terzo anno me ne sarei andato. Poi alla fine del sesto. Insomma, adesso sono all'ottava stagione e sono ancora qua. Ho sempre indossato il 34 sin dal primo anno al liceo, mi sembrava fosse arrivata l'ora di cambiare e ripartire da zero".
Quali sono le sue prime impressioni sulla città di Cleveland?
"Lo scorso weekend mi sono trasferito nella mia nuova casa e sono riuscito a fare un giretto in centro. Quel che ho visto mi piace. Non dico che nello Utah alla gente non importasse molto della squadra, ma venendo qui e rendendomi conto che la gente vuole che noi vinciamo esattamente quanto lo vogliamo noi è meraviglioso".
Lei esce dal liceo e il suo primo coach Nba è Jerry Sloan. Come è stata quella esperienza?
"Pazzesca! (ride). È stata molto bella. Voglio dire, ho avuto la fortuna di trovare un coach come lui ad accogliermi quando ero molto giovane. Questo perché mi ha insegnato cosa voglia dire lavorare sodo e prepararmi, due cose fondamentali per rimanere in Nba, specialmente a quei tempi. È stata un'esperienza molto bella, ma molto diversa. Inoltre avevo già giocato con un allenatore vecchio stampo al liceo che aveva un approccio simile riguardo alla corsa in campo e all'allenamento fisico. Addirittura ricopiavamo gli schemi d'attacco di Utah, solo che il linguaggio usato era diverso (specialmente quello di Jerry Sloan)".
A soli 25 anni, pochi in più rispetto ai rookie, lei si sta avviando verso l'ottava stagione in Nba. Si sentirebbe a suo agio a rivestire il ruolo di leader di questa squadra?
"Potrei dare una mano. Credo che i primi siano Andy e Gibb, i quali hanno giocato nella squadra arrivata ai playoff due anni fa, e poi ci sono io. Sappiamo bene cosa dobbiamo fare e come ci si prepara ad essere una buona squadra. E credo che noi dovremo essere capaci di infondere questo pensiero negli altri ragazzi, giorno dopo giorno, lavorando sodo e continuando a migliorare. Perché è proprio per questo che il duro lavoro viene ripagato in partita. Una persona che mi ha insegnato molto, pur non dicendomi nulla, è Derek Fisher. Nel mio secondo anno in Nba lui giocava con noi a Utah e non era uno di quelli che ti sgridava o ti aggrediva quando le cosa andavano male. Semplicemente veniva a parlarti quando doveva farlo. Era uno dei senatori in squadra, ma era anche il primo a presentarsi in palestra, si allenava anche di notte. Faceva tutto ciò di cui aveva bisogno per prepararsi a scendere in campo. E penso che è esattamente così che si dovrebbe fare, non c'è bisogno di urlare contro le altre persone".

C.J. Miles, punta ai playoff coi Cavs. Ap

Cosa la ha convinta a scegliere Cleveland e i Cavaliers quando era free agent?
"Uno dei motivi è quello di giocare con una squadra giovane e poter essere in grado di continuare a essere il giocatore che voglio, per avere l'opportunità di continuare a migliorare ed essere in una squadra in crescita. Allo stesso tempo, mi piace poter arrivare e dare una mano, per quanto riguarda il ruolo di leader e poter mettere la mia esperienza al servizio della squadra. Abbiamo parlato della situazione in squadra. Kyrie ha 20 anni, Samardo ne ha 22. Io ho solo 2-3 anni in più di loro. A volte quando si prende un veterano più anziano i giovani non riescono a legare con lui, perché non pensano alla stessa maniera. Penso che questo non sia il problema di Andy, Gibb e Luke Walton. Ho parlato con coach Scott, abbiamo avuto un paio di conversazioni lunghe ed interessanti e abbiamo parlato di basket. Non mi ha raccontato nessuna storia o altro del genere. Mi ha semplicemente detto: "Ti metteremo in grado di fare ciò che sai far meglio per aiutare la nostra squadra. Sarà un'esperienza speciale". E ho subito pensato che mi stesse dicendo la verità, avendo già conosciuto gli altri ragazzi in squadra. Queste sono le cose che mi hanno convinto. Approdare a una squadra che gioca a ritmi alti - che è l'ideale per me come giocatore di basket - ed avere un coach che tirerà fuori il meglio di noi. Oltre a una giovane stella come playmaker e lunghi giovani di talento. I pezzi ci sono, se riusciremo a metterli insieme, potremmo fare qualcosa di grande".
Lei condividerà il ruolo di 2 col rookie Dion Waiters. Dopo aver lavorato con lui - e anche giocato contro - quali sono le sue prime impressioni?
"Abbiamo avuto modo di allenarci insieme per una settimana a Los Angeles. Subito dopo aver firmato il contratto, mi sono allenato una settimana qua e poi siamo andati a Los Angeles. Eravamo io, Tristan, Dion, Kelenna e un paio di preparatori. Siamo rimasti là per cinque, sei giorni e giocavamo delle partitelle dopo esserci allenati la mattina. Non sono riuscito a vedere molte sue partite al college, purtroppo nello Utah non trasmettono molti incontri di Syracuse. Ma comunque si tratta di un buon giocatore bravo a portar palla sul parquet e a crearsi occasioni da tiro. È più abile nei passaggi di quanto la gente creda. Sarà davvero un ottimo tassello della squadra".
Nonostante si sia allenato con questa squadra solo per poche settimane, dove crede che possa arrivare? I playoff sono un obiettivo realistico?
"Basandomi sul fatto che i ragazzi che erano qui la scorsa stagione adesso hanno un anno in più e che ci sono stati dei nuovi innesti, credo fermamente che la nostra sia una squadra da playoff. Non sto dicendo che questa sarà la fase di transizione più facile della storia, ma che il talento per essere una squadra da playoff c'è. E qui ritorno al mio discorso sul lavorare sodo e competere ogni giorno, siamo giovani e possiamo correre in su e in giù per il campo. E alla fine del "Camp Scott" la condizione atletica non sarà un problema. Finché tutti avremo un obiettivo comune e saremo disposti a lavorare, le cose andranno bene. Questa è l'energia che possiamo trarre da tutti gli altri in questo ambiente. I ragazzi vogliono giocare a basket e vincere le partite".