Phoenix e la fine dell'era Nash
Quanti rimpianti per i Suns

Steve Nash, 38 anni, a Phoenix dal 96 al 98 e dal 2004 al 2012. Ap

Sapevano che questo giorno sarebbe arrivato. Il giorno in cui i Phoenix Suns avrebbero dovuto guardare Steve Nash andarsene. E i Suns sapevano che quel giorno sarebbe probabilmente arrivato quest'estate. A meno di clamorosi rimpensamenti dell'entourage di Nash, i Suns sapevano di non poter offrire abbastanza denaro al due volte Mvp o di mettergli accanto abbastanza giocatori di qualità per tenerlo felice. Come il tenente JG Douglas Roberts, Nash stava osservando la guerra senza poterne essere protagonista, e se c'è una cosa importante da sapere sul canadese, a parte la sua generosità e curiosità verso chiunque lo circondi, è che si tratta di una persona estremamente competitiva, con un desidero di vittoria pari a quello di Kobe Bryant. Ma ormai i Suns non sono più squadra da titolo. Nash invece è rimasto quello di sempre, arrivando secondo nella classifica degli assist nonostante i suoi 38 anni, accumulando l'ennesima presenza all'All Star Game e superando Oscar Robertson al quinto posto della classifica all time degli assist ("finalmente - ha detto ridendo ad aprile, quando aveva quasi eguagliato Robertson - è da quando avevo 13 anni che tutti mi dicevano che l'avrei superato", scherzando sul diverso percorso avuto in carriera rispetto a Big O). Tuttavia, stava cominciando a rallentare il proprio ritmo negli ultimi anni, conscio di non poter più portarsi da solo il peso di una franchigia sofferente sulle spalle.

i rimpianti — Era impossibile per i Suns chiudere questo rapporto senza avere rimpianti: non avrebbero potuto garantire un contratto sostanzioso a Nash e avviare allo stesso tempo la ricostruzione: quei soldi servono a migliorare la squadra. Questo è un dilemma che affligge tutte quelle squadre che hanno avuto la fortuna di avere un grandissimo giocatore: è successo ai Nets con Jason Kidd, ai Kings con Chris Webber e ai Rockets con Hakeem Olajuwon. Nash è come l'altro grande guerriero dell'Nba, Kevin Garnett: deve essere usato a piccole dosi, cinque o sei minuti alla volta, per far sì che abbia ancora le energie necessarie per essere decisivo nell'ultimo quarto. Senza ombra di dubbio, Nash è stato il giocatore più importante dei Suns dopo Charles Barkeley nei primi anni '90, firmando con Phoenix a 30 anni convinto di potersi esprimere allo stesso livello di quanto fatto con i Mavericks. Si sbagliava, ha giocato addirittura meglio, diventando uomo simbolo di Phoenix e anima di una squadra che ha suscitato la simpatia di una nazione intera, diventando la franchigia più divertente da vedere in Nba con i suoi giocatori che attaccavano rapidamente e pressavano a tutto campo. In quegli anni Nash teneva palla e non la passava finché non vedeva qualcuno libero sugli esterni (normalmente uno tra Jason Richardson, Raja Bell o Shawn Marion) per un tiro da tre, oppure la dava a un Amar'e Stoudemire pronto a schiacciare. Quei Suns, con Nash regista, erano una squadra davvero interessante che rendeva la vita difficile alle squadre in visita a Phoenix e che riusciva ad accumulare statistiche spettacolari. Ma adesso è arrivato il momento di mettere la parola fine.

l'addio — Il proprietario dei Suns, Robert Sarver, ha fatto calare definitivamente il sipario su quella squadra il 4 luglio, giorno in cui ha avallato la trattativa con i Lakers (su richiesta di Nash) in cambio di quattro scelte al draft e 3 milioni di dollari. Vedere Nash ai Lakers è molto strano, un po' come se Susan Boyle decidesse di cantare pezzi acid rock. Sarver ha dichiarato di non poter rilasciare commenti sino all'11 luglio, data a partire dalla quale si possono ufficializzare le varie trattative. Ma il dilemma su cosa fare quando un giocatore franchigia comincia a non essere più giovane attanaglia tutti gli sport: come faranno gli Yankees a lasciar andare Derek Jeter come se nulla fosse? Quando arriverà il momento per i Patriots di parlare con Tom Brady su un suo possibile addio? Anche Nash è una grande stella che si sta spegnendo lentamente, e questo mette i Suns in grossa difficoltà.

gli errori — Si potrebbe dire che alla fine devono dare la colpa solo a loro stessi, visti gli errori commessi in quanto ad assunzioni e decisioni prese negli ultimi anni. L'ex general manager Steve Kerr scommise che cambiando la filosofia dei "7 secondi o meno" che i Suns avevano con D'Antoni avrebbe portato al genere di miglioramenti difensivi necessari per vincere un titolo. Prese Shaquille O'Neal, licenziò D'Antoni affidando la squadra a Terry Porter. Ma non funzionò. O'Neal era ancora buono, a volte grande. Gli avversari dovevano comunque trovare un modo per fermarlo, ma il roster dei Suns era diventato un'accozzaglia di giocatori lenti e veloci. Nash per esempio, non è mai stato un come Derek Fisher che riusciva a sfruttare porzioni di campo liberate dai raddoppi su Bryant o O'Neal per poi tirare da tre indisturbato. Nash, insieme agli altri resti della gestione D'Antoni, doveva adattarsi ai ritmi lenti imposti da Porter, pur sapendo che se non inserito in una squadra veloce, non poteva godere di alcun vantaggio sugli altri play con gran visione di gioco ma fisicamente limitati. È per questo che Nash si è allenato molto duramente e si è sempre imposto una dieta molto ferrea, per continuare a essere quello che era. Voleva giocare a ritmi più alti, ma, come ammetteva spesso, doveva rallentare. Si trata di un giocatore molto rapido, ma questa caratteristica diventava inutile se gli veniva chiesto di passeggiare per il campo con la palla in mano. Anche altri giocatori avevano duramente criticato Porter, ma nessuno di loro era diventato due volte Mvp. Nash non ha mai bussato alla porta della dirigenza chiedendo l'esonero del coach, ma ogni buon dirigente che si rispetti capisce benissimo quando il giocatore simbolo della propria franchigia è scontento. Porter durò soltanto metà stagione e fu sostituito da Alvin Gentry, altro esponente dello stile veloce e forsennato di D'Antoni. Dopo poco tempo, Kerr fu rimandato a fare l'opinionista all'emittente televisiva Tnt, mentre Nash, Gentry e Grant Hill guidavano la squadra verso un'inattesa finale di Western Conference contro i Lakers nel 2010. Ma Nash ormai non parlava della destinazione finale della squadra quanto del viaggio fatto per arrivare fin lì, di quanto si divertiva con i suoi compagni di squadra e di quanto avessero ancora da imparare. Amava molto giocare con loro e viceversa, ma ormai tutti sapevano cosa sarebbe successo, lui in primis: l'incantesimo prima o poi si sarebbe rotto e i Suns avrebbero dovuto guardare al futuro, mettendo sotto contratto Goran Dragic per 30 milioni di dollari e offrendone 58 a Eric Gordon, poiché la squadra doveva essere migliorata e ringiovanita, pur dovendo mettere da parte i sentimenti e la riconoscenza.

i nemici — Tuttavia Sarver non avrebbe mai voluto cedere Nash ai Lakers. New York poteva essere una destinazione accettabile, ma non Los Angeles, vista la grande rivalità tra le due squadre costellata da vari episodi come il braccio teso di Raja Bell su Kobe Bryant nel 2006 in una serie del primo turno dei playoff che ha visto la rimonta dei Suns da 3-1. In quella postseason Phoenix arrivò alle finali dell'Ovest dove fu sconfitta dai Mavericks, ex squadra di Nash. Ma i Lakers erano anche la squadra in cerca di un play più vicina a Phoenix, dove i figli di Nash vivono ancora con la ex moglie e a cui il giocatore vuole rimanere il meno distante possibile. Per questo motivo Sarver (che non è una persona insensibile) ha deciso di piegarsi e di avallare lo scambio che non avrebbe mai voluto vedere. Nash giocherà a Los Angeles insieme a Kobe Bryant, l'ultima possibilità per vincere un anello e soprattutto per essere davvero competitivo. "Se ci penso mi viene da ridere - ha detto Nash in quella conferenza stampa di aprile in cui faceva il punto sulla sua carriera -: ho cominciato a giocare a basket da bambino perché lo facevano tutti i miei amici, poi a 13 anni mi sono innamorato di questo sport e successivamente ho avuto la fortuna di ricevere una borsa di studio, essere scelto al draft e fare la mia bella carriera da professionista. E' davvero incredibile che io stia ancora giocando. Mi sento come se non me lo meritassi ma al tempo stesso anche grato. Spero che tutti i bambini capiscano che il duro lavoro prima o poi ripaga".