Giorni del coraggio: io c'ero
1957, lĄŻaddio alle corse delle Case italiane: fine di unĄŻera. Il perch¨Ś di quel forfait
Sessantadue anni fa, il 10 ottobre 1957, i delegati della Federazione motociclistica internazionale, dopo un incontro a Milano con esponenti di Guzzi, Gilera, Mondial, capirono che da parte delle tre Case italiane non cĄŻera possibilit¨¤ di ripensamento rispetto al loro "Patto di astensione" dalle corse siglato pochi giorni prima e che un'era del motociclismo era irrimediabilmente finita. Le tre Case lombarde, da anni impegnate con successo nelle competizioni, dominatrici del Motomondiale 1957 e trionfatrici in tutte le classi, un mese prima, nel 35Ąă GP delle Nazioni di Monza, abbandonavano le grandi corse seguendo quel che gi¨¤ aveva fatto la pesarese Benelli nel 1951 dopo la morte ad Albi di Dario Ambrosini, il vessillifero della Casa del Leoncino iridato delle 250.
Il dietrofront MV Agusta
ĄŞ ?Quel patto di "addio alle armi" era stato ufficializzato il 26 settembre 1957, sottoscritto anche dalla varesina MV Agusta, che poi, non senza strascichi polemici, far¨¤ dietrofront e ritirer¨¤ il proprio forfait dominando dal 1958 la scena per molte stagioni (quellĄŻanno fece il poker con Ubbiali nella 125, con Provini nella 250, con Surtees nelle 350 e 500), con i propri bolidi marcati sui serbatoi con lĄŻambigua e opportunistica dicitura "privat".
Lucchetti
ĄŞ ?Cos¨Ź, mentre si inneggiava ai trionfi dei piloti e delle Case italiane, fra i simboli di un Paese capace di rialzare la testa dopo gli eventi bellici e tornare protagonista a livello internazionale anche nello sport, arriv¨° la doccia gelata del forfait. Ai reparti corse furono messi i lucchetti, con i bolidi accatastati in polverose soffitte e molti piloti ¨C per lo pi¨´ italiani ¨C appiedati, a cominciare dal ternano Libero Liberati, neo campione del Mondo della 500 proprio su quella Gilera 4 cilindri, messa sotto un telo in un angolo della fabbrica di Arcore. Fu una mazzata che travolse come una valanga il motomondiale e il motociclismo sul piano agonistico, tecnico e imprenditoriale. La clava del ridimensionamento cal¨° sullĄŻindustria motociclistica italiana, apparentemente in grande splendore, ma gi¨¤ corrosa alla radice da una esiziale miopia tattica e strategica e dalla colpevole mancanza di indirizzi e di supporti politico-istituzionali di cui paghiamo ancora oggi le conseguenze.
La domanda
ĄŞ ?La domanda si ripropone: perch¨Ś le nostre grandi Case si ritirarono dalle competizioni proprio al culmine dei loro trionfi, con strutture e professionalit¨¤ al top mondiale e con moto di raffinata e ardita tecnologia come dimostrato dalla portentosa 500 8 cilindri 4 tempi della Guzzi, emblema di bolidi straordinari frutto dellĄŻingegno e dellĄŻintraprendenza del Made in Italy, lasciando campo libero agli avversari, in primis allĄŻindustria del Sol Levante? AllĄŻepoca, la prima motivazione del forfait, "abbandoniamo perch¨Ś i regolamenti dal 1958 proibiscono le carenature integrali", fu una trovata maldestra quanto beffarda. Peggio ancora la seconda supponente motivazione: "Abbandoniamo per mancanza di avversari", considerando la partecipazione di altre Case italiane ed europee e, soprattutto, lĄŻannunciato arrivo nel Motomondiale delle Case giapponesi, gi¨¤ nel 1959 presenti in forza al TT inglese con Honda, seguita poi da Suzuki, Yamaha, Kawasaki, Bridgestone, anticipando i grandi successi ¨C tutt'ora in pieno svolgimento dopo 60 anni ¨C in pista e nei mercati. Anche in questo caso, non si pu¨° incolpare il destino cinico e baro.
Errata valutazione
ĄŞ ?? stata una questione di sottovalutazione delle aziende concorrenti e di scelte sbagliate dovute a una errata analisi della situazione generale nazionale e internazionale con le ripercussioni negative sullĄŻeconomia, sullĄŻindustria e su quella motociclistica in particolare. Passata la guerra, dopo il primo decennio di espansione, l'industria motociclistica (ad eccezione della Piaggio con la rivoluzionaria Vespa) fu incapace di interpretare la nuova Italia in arrivo con il miracolo economico chiudendosi nel proprio orticello. Invece di rapportarsi con nuovi prodotti e con nuove strategie di marketing al potenziale dei nuovi mercati internazionali e al nuovo che avanzava anche nei confini nazionali e cavalcare lĄŻonda di una maggior disponibilit¨¤ degli italiani a spendere anche rispondendo alle esigenze di mobilit¨¤ per lavoro e per svago, le Case motociclistiche ritennero chiuso il ciclo di espansione della motocicletta.
La Fiat 600 spariglia
ĄŞ ?La moto veniva considerata, infatti, solo come mezzo di trasporto "povero" per utenti "poveri", sostituito oramai dallĄŻautomobile utilitaria, come le prime economiche Fiat 600, pagate quanto un Guzzi Falcone 500 ma con comode rate, non in contanti o con montagne di cambiali. LĄŻauto invadeva il mercato (nel triennio dal '57 al '59 la Fiat 600 veniva consegnata al cliente dopo un anno di attesa) ma non "copriva" lo spazio della moto nelle sue varie declinazioni: ciclomotori e scooter come mezzo utilitario di trasporto personale specie per recarsi al lavoro muovendosi anche meglio nel traffico gi¨¤ in aumento, e motociclette di livello superiore come mezzo di divertimento, sportivo, di identificazione per la scalata sociale e per i giovani.
basta valore aggiunto
ĄŞ ?LĄŻindustria motociclistica italiana, abbandonata da chi teneva il potere politico ed economico anche perch¨Ś tutti presi dalle lusinghe del mercato automobilistico, fu colta alla sprovvista ed entr¨° nel panico. A onor del vero, le Case impegnate nelle corse lasciarono il campo, non solo e non tanto per le grandi risorse umane e finanziarie necessarie per le competizioni, ma perch¨Ś non credevano pi¨´ che la motocicletta avesse un futuro. In tale prospettiva le corse diventavano non pi¨´ un valore aggiunto e una risorsa, bens¨Ź un lusso non pi¨´ sostenibile anche per grandi Case: le vittorie non avevano (pi¨´) una ricaduta diretta sulle vendite, non erano (pi¨´) il fiore all'occhiello ma un deleterio cappio al collo.
Incapacit¨¤ di adeguarsi
ĄŞ ?Questa, almeno, la valutazione di Guzzi, Gilera, Mondial che le port¨° allĄŻaddio alle corse. Ma furono davvero le corse e tutto lĄŻambaradan conseguente, a mettere in crisi quelle aziende? O non fu lĄŻincapacit¨¤ di adeguare il prodotto "motocicletta" alle nuove esigenze dei mercati e al rapporto con la travolgente automobile, e di non valutare appieno il "valore" delle corse nel nuovo contesto, non solo quale banco di prova per la produzione di serie, ma insostituibile strumento per l'identit¨¤ del Marchio aziendale? Invece di cogliere le nuove sfide e di rilanciare, innovando, si decise di alzare bandiera bianca, recidendo il ramo dellĄŻeccellenza e dellĄŻimmagine, il pi¨´ appetibile per lĄŻappassionato-consumatore, quello che pi¨´ stimolava la stessa pianta a dare i suoi frutti migliori. Di certo, quel "patto di astensione" del '57 fu una sconfitta, una grande occasione perduta. Non solo per il motociclismo.
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