polvere di stelle
Jon Ekerold, quella staccata della vita per un titolo da cuore in gola
Prima di salire sulla moto and¨° da Sandy, la moglie, e l'abbracci¨° forte forte. Poi prese in braccio il suo bimbo, lo strinse a s¨¦ e lo baci¨°. Del mastino che tutti conoscevano, dell¡¯ex pugile dalle gambe lunghe e dai bicipiti di acciaio, in quelle immagini, c¡¯era rimasto ben poco: in quei momenti la sua corteccia da duro si era liquefatta. Jon Ekerold quel pomeriggio era atteso a un appuntamento decisivo per la sua carriera di pilota: era l¡¯ultimo duello, il round decisivo. Per lui era la gara che valeva una vita. Dove c¡¯era in palio una posta maledettamente importante. Si sarebbe giocato tutto: passato, presente e futuro. Settembre 1980, Gran Premio di Germania, ultima prova del Mondiale classe 350. Qualche minuto prima di schierarsi alla partenza aveva sussurrato a un amico: ¡°All¡¯ultima curva o mi vedrai uscire per primo oppure non mi vedrai affatto¡±. Parole pesantissime. Da farti venire i brividi lungo la schiena. Anche perch¨¦ si correva sul vecchio N¨¹rburgring, quella pista velocissima di ben 22,850 chilometri e 160 orari di media sul giro, un circuito cosparso di guard rail a filo d¡¯asfalto. Cadendo ci si poteva fare molto male. E anche non rialzarsi pi¨´.
gara da roulette russa
¡ª ?Lui e Toni Mang, due vittorie ciascuno, erano arrivati l¨¬ appaiati in classifica a 48 punti, tutti gli altri erano fuori dai giochi. Il titolo mondiale sarebbe stato di Jon o di Toni. Lo avrebbe vinto chi fosse stato davanti all¡¯altro. Ekerold, ¡°the privater¡±, il privato, correva con una Yamaha TZ 350 standard. Non aveva neanche i cilindri ¡°buoni¡± di Iwata, ma solo uno spicchio di Italia nella ciclistica: il telaio riminese Bimota. Mang, invece, disponeva di una Kawasaki ufficialissima, quella con i cilindri longitudinali, lo schema tecnico che successivamente fu ripreso dalla Rotax e poi anche dall¡¯Aprilia. Due ottime moto, ma nessuna che prevaleva sull¡¯altra; in ogni Gran Premio quell¡¯anno era stato sempre il polso destro a vincere. Ed ora erano l¨¬ uno affianco all¡¯altro in prima fila a giocarsi il titolo. Minuti interminabili. Jon in attesa del semaforo verde, di tanto in tanto faceva dondolare la Yamaha Bimota tra le sue lunghe gambe. Oppure si fermava con gli occhi sbarrati nel vuoto. O puntati verso l¡¯asfalto. Mai, per¨°, rivolgeva lo sguardo all¡¯avversario.
passato da ex pugile
¡ª ?Solo il suo naso non aveva una direzione ben definita, ma solo perch¨¦ a suo tempo quel naso era stato deformato dai pugni sul ring. Gi¨¤: Jon era stato pugile in Sudafrica, ma forse perch¨¦ si era reso conto che con i cazzotti non sarebbe mai diventato campione, qualche anno prima prese la decisione: scese dal ring e sal¨¬ sulla moto. Per comprare quella da corsa aveva speso pure tutti i soldi che gli erano stati donati da parenti e amici per il matrimonio. Quello era il giorno della verit¨¤, appunto. Era arrivato. La gloria per Ekerold era vicina. Ma a una condizione: avrebbe dovuto mettere la ruota davanti a quella di Mang. Un¡¯impresa mica da poco, visto che il tedesco conosceva come le sue tasche quell¡¯asfalto insidiosissimo. Aveva pure il pubblico tutto per lui che lo incitava dalle tribune. Di certo quella per entrambi non sarebbe stata una gara, ma una roulette russa. Il via. Un duello da cardiopalma. Sorpassi su sorpassi. Una volta era in testa Jon, pochi metri dopo era passato Toni. Si toccavano ripetutamente. Al loro passaggio facevano tremare, sfiorandoli, quei micidiali guard rail. Ultimo giro. Si va verso l¡¯ultima curva a sinistra, preceduta da un rettilineo. Davanti ¨¨ Mang. Staccata: ¨¨ il momento della verit¨¤. Chi frener¨¤ pi¨´ tardi dell¡¯altro, chi entrer¨¤ per primo in quella curva, vincer¨¤ gara e titolo mondiale.
carena contro carena
¡ª ??Jon affianca Toni. Le carenature si sfiorano. Passa Ekerold. Vince. Ed ¨¨ campione. Un miracolo che siano rimasti in piedi quei due. Ma forse lass¨´ Qualcuno si era divertito cos¨¬ tanto a vederli, che volle dare qualche deroga alle leggi della fisica. Sul podio, attorno al naso ondulato di Jon scivolano lacrime. Il pubblico tedesco aveva capito bene che in quella gara il sudafricano aveva dato la vita. Aveva apprezzato il suo coraggio e, sportivamente, aveva applaudito anche lo ¡°straniero¡±. Strinse la mano a tutti, meno che ai boss della Yamaha. Respinse le loro congratulazioni: ¡°Voi non mi avete mai aiutato, quindi non ho bisogno delle vostre felicitazioni¡±. E sbatt¨¦ loro in faccia la porta del suo motorhome. Ma fece accomodare tutti gli altri che volevano farsi raccontare quella gara memorabile. E la staccata della vita.
la rivelazione e le lacrime
¡ª ?¡°Quando sono arrivato all¡¯ultima curva ¨C racconter¨¤ poi Jon a fine gara - non ho guardato l¡¯asfalto, ma la manopola del gas di Toni. Ho chiuso soltanto quando ho visto farlo a lui¡±. In quel momento gli occhi gli erano tornati lucidi lucidi. Piangeva. Sapeva bene che in quella staccata aveva rischiato tanto. Tutto. Compreso il sorriso della moglie e del bambino che aveva abbracciato e baciato prima di salire sulla moto.
fortuna a sorti alterne
¡ª ?Jon era uno tosto, tosto davvero, come pilota e come uomo. Un pollice mozzato in una caduta, clavicole fratturate, ma non si arrendeva mai. Eppoi erano i tempi dell¡¯apartheid che lo penalizzava mettendolo in cattiva luce su tutti. Zero sponsor e tanti sacrifici. Al suo arrivo in Europa alla sua prima gara iridata, nel 1975, nonostante i pochi mezzi, ad Assen in Olanda sal¨¬ subito sul podio della 350. Poi dopo il mondiale vinto nell¡¯81, sempre nella 350, sfior¨° il bis giungendo secondo alle spalle del suo grande avversario Toni Mang. Nel 1982 tent¨° la fortuna in 500 con una Cagiva lontana anni luce dalla competitivit¨¤ e con una Suzuki privata con cui al Tourist Trophy fu sfortunatissimo. Era in testa solitario quando la catena inizi¨° a saltellare. Fu costretto a una imprevista sosta ai box e perse la vittoria terminando secondo per soli otto secondi dopo due ore di gara alle spalle di un pilota locale. Un titolo, qualche gioia, ma di certo al sudafricano di Johannesburg, oggi 76enne, la fortuna non gli ha regalato nulla. Anzi, semmai gli ha tolto. E non poco.
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