"Ivan, guarda che ti preoccupi solo tu. A noi va bene quello che sei e quello che ci dai". Poche parole, decise ma pronunciate con tono pacato, gli hanno acceso la lampadina. Roberto Amadio, il team manager della Cannondale, ha saputo toccare il tasto giusto e quello ora che ci troviamo di fronte è un Ivan Basso nuovo. Lo incontriamo in una tiepida serata valenciana. La prima impressione è quella di trovarsi di fronte a un corridore più atleta, più sano, meno emaciato. Con un paio di chili in più di muscoli, che in questa stagione non guastano. Del suo look colpiscono tre dettagli. Una sciarpa di seta "boy lost" con stampata la foto a grandezza naturale della sua gioia sul podio di Verona nel giorno del secondo trionfo rosa, una T-shirt bianca con impressa una prima pagina della Gazzetta e una borsa, pure questa con la grafica che riporta al ciclismo. "Disegnata dallo stesso stilista (Paul Smith, ndr) che ha disegnato la nuova maglia rosa. Mi porto avanti", dice sorridendo.

L'idea, per questo incontro, è quella di fare una chiacchierata a tu per tu, attorno a un tavolo, per cena. Come antipasto — poteva essere diversamente da queste parti? — un piatto di pata negra. Qui Ivan commette un "delitto" togliendo quello squisito grasso dalla carne. Ogni tanto pilucca una squisita olivetta. Si prosegue sul classico, chuleton, per poi tornare — colpo a sorpresa — al pata negra stavolta consumato in maniera ortodossa. "Mi sono allenato forte — spiega — e ho una fame tremenda", commenta. Nel bicchiere finisce solo acqua gassata. Passa la mano sul sorbetto, per evitare il goccio di alcol del cava, lo spumante spagnolo, e si concede un caffè. "Ma sino a fine anno, poi stop perché contiene caffeina". Tra un boccone e l’altro, le domande.

Basso, come sta?

"Sto bene perché ho chiuso bene (vittoria alla Japan Cup, ndr) una stagione molto travagliata, dove non sempre le cose sono andate come avrei voluto. Ho smesso di pensare alle cose negative e al perché sono andate così. Un ruolo importante, anzi fondamentale, lo ha avuto Amadio. Da lui ho avuto appoggio incondizionato e questo mi ha dato la tranquillità per ripartire bene. Mi ha tolto l'assillo di dovere recuperare".

Qual è stato, durante la stagione, il momento particolarmente difficile?

"Dopo il Giro, da cui sono uscito molto male, ero distrutto. Avevo uno scenario molto diverso nella testa, specie per gli ultimi tre giorni. Sullo Stelvio ho espresso 350 watt, un dato schifoso. Era la testa che mi bloccava le gambe. La delusione enorme me la sono trascinata per parecchio tempo, ma continuare a pensare in negativo peggiorava le cose. Finché ho smesso di martoriarmi, di cercare le cause. E ora sono sereno".

Però è cambiata anche la sua preparazione. Ci spieghi il distacco dalla Mapei.

"È stata una decisione sofferta, ma obbligata. Ne ho voluto parlare prima con tutto lo staff, con la vedova di Aldo Sassi e con Giorgio Squinzi. Quando ho deciso di rinnovare il contratto con la squadra che ora è Cannondale sapevo bene che l’esigenza e la volontà del team era quella di gestire l’atleta al cento per cento. Come atleta di riferimento era giusto che condividessi anche questo aspetto che non riguarda solo il discorso preparazione. Comunque il binomio Basso-Mapei ha dato risultati eccellenti, compresa la vittoria al Giro del 2010, nonostante gli ultimi due anni, cioè dopo la morte di Aldo, siano stati molto particolari. Andrea Morelli ha comunque svolto un ottimo lavoro. Non è mancata la qualità, ma principalmente un pizzico di fortuna. È solo colpa mia se quando ci sono stati problemi non ho saputo contrastare subito la negatività. Facevo allenamenti e test da manuale, ma in gara mi bloccavo".

Lei non si sposta mai molto volentieri da casa. Come mai la decisione di questa vacanza-lavoro a Valencia?

"Qui c’è un clima neppure paragonabile con quello delle nostre parti e i percorsi sono stupendi, appena esci dalla città il traffico sparisce, quindi la qualità del lavoro è migliore. In più, qua ho un amico che si chiama Stefano Garzelli che a quasi 40 anni ha ancora l’entusiasmo di un neopro'. Sono certo che sarà ancora protagonista, che lascerà il segno. La sua non sarà una stagione "passerella". Domani (oggi, ndr) arrivano anche Viviani e Marangoni, così il gruppo sarà ancora più numeroso".

Nibali e Basso tra Amadio e Dal Lago a inizio 2012. Bettini

Dopo la partenza di Nibali tutta la responsabilità della squadra per le corse a tappe torna su di lei. Le pesa?

"Nibali è una perdita importante perché è l’atleta che dà più garanzie in Italia per le corse a tappe. Ora me lo trovo come avversario numero 1 italiano. Ma nessun problema: ho ben chiaro come affrontare la situazione".

Mai stato tentato di cambiare squadra?

"Le richieste per un atleta bravo ci sono sempre e gratificano anche la squadra. Ma ho sempre avuto fiducia incondizionata in questo gruppo. Non ho mai cambiato molto, non mi piace, mi affeziono. Questo gruppo si è creato una sua anima, una sua identità che si respira e a cui io ho contribuito. Sento questa squadra come un vestito su misura. Cambiano gli sponsor, ma l'anima è sempre quella".

A capo di tutto e tutti c’è Paolo Zani. Chi è?

"Zani è una persona a cui dobbiamo essere grati per quello che ha fatto per noi. Ci ha garantito la continuità. In più, nei miei confronti ha sempre parole squisite. Dal momento in cui sono arrivato, sono riuscito a dare quello che lui probabilmente si aspettava da me".

In squadra, si sente la nuova impronta americana?

"Eravamo molto fortunati perché la gestione Liquigas aveva un marketing di altissimo livello, quello aziendale trasferito allo sport. Non ci siamo accorti perché già eravamo a un livello super e a livello sportivo non è cambiato nulla".

Facciamo le carte al 2013. Numero 1 al mondo?

"Contador nelle corse a tappe, Sagan nelle classiche".

Chi vincerà il Giro?

"Dipende chi lo corre. Wiggins, Nibali..."

E Basso?

"E' nei tre, ma per battermi gli altri dovranno essere al centodieci per cento".