Marco Pinotti, 36 anni. Bettini

Marco Pinotti, uno dei decani del gruppo, è da sempre in prima linea nella lotta al doping. E sull’argomento non le ha mai mandate a dire.

- Cosa pensa del "Manifesto per un ciclismo credibile" sottoscritto dalla Gazzetta e da altri 4 grandi giornali europei?
"Mi sembra una buona iniziativa anche se non vedo grandi novità. L’interesse dei media è importante per tenere alto il livello di attenzione e di pressione sul problema doping. Per la soluzione però non bastano i buoni propositi, bisogna farli rispettare. Un esempio? Il punto 4, quando si dice che i team si devono impegnare a non ingaggiare per altri 2 anni i corridori squalificati per oltre 6 mesi, somiglia molto a quello che era il Codice Etico, che guarda caso è stato rotto proprio in Italia dalla Liquigas con l’ingaggio di Basso (nel 2008, ndr)".

- Nel punto 4 si parla anche di inasprimento delle pene.
"Giusto, ma soprattutto bisogna rendere il doping non conveniente dal punto vista economico. Bisogna trovare una soluzione legalmente sostenibile in modo che ci sia una sanzione pecuniaria molto più alta di quella attuale. E chi non la onora non torna a correre. Ad oggi, spesso i benefici superano ancora in modo enorme i rischi. Se esce un nuovo farmaco non rintracciabile, ma con effetti che migliorano la prestazione, ci vogliono forti valori morali per non farne uso".

- Cioè?
"Prendete un corridore che è senza punti e sa che a fine stagione si troverà senza squadra e senza futuro. Cosa fa? Comincia a doparsi per fare risultati, quindi punti. Se lo trovano positivo lo squalificano, ma tanto sarebbe rimasto ugualmente a piedi".

- Nel punto successivo si propone la "sospensione cautelativa". D’accordo?
"Vorrei esserlo, ma bisogna fare un distinguo. Per chi è coinvolto in un’inchiesta penale i tempi sono molto lunghi e la colpevolezza è tutta da stabilire. Però se uno è positivo, deve essere fermato subito. Contador ha cercato di prolungare i tempi di giudizio dopo la positività al Tour. Aveva il diritto di difendersi, ma nel frattempo non doveva correre sennò si rischia di continuare a riscrivere gli albi d’oro".

- Guercilena (nuovo team manager della RadioShack, ndr) ha parlato di effetto onda lunga del passato, aggiungendo che ora la situazione in gruppo è migliorata. Concorda?
"Sì, c’è stata una forte presa di coscienza. Con il passaporto biologico ci sono più strumenti di repressione e prevenzione, però nel momento in cui si allenta la tensione tutto ritorna come prima, come negli Anni 90. Allora non tutti i ciclisti erano delinquenti, ma sembravano non avere scelta".

- È vero che i giovani hanno una maggiore sensibilità sul problema?
"Sì, ma non perché sono tutti santi. I giovani sanno che quando passano pro’, cioè quando comincia la carriera, non possono barare".

- Molti dicono che sarebbe meglio intensificare i controlli nelle categorie giovanili
"No, i controlli devono essere maggiori dove ci sono maggiori benefici economici".

- C’è un punto secondo lei che vale la pena sottolineare?
"Quello che trovo più interessante è legato all’indipendenza dei controlli antidoping, anche se poi bisogna trovare il modo di finanziarli. Ecco, la sanzione economica servirebbe anche a questo".