Rwanda, la saga di Ophuis
Dalle piscine alla bicicletta

Dirk Oude Ophuis, vincitore della settima tappa della corsa africana, era uno specialista dei 50 e 100 stile libero. Oggi fa il fisioterapista per la squadra olandese Skil-Shimano: "Dopo tredici anni di cloro, avevo bisogno di cambiare aria e vita"

• Mail
• Stampa
• commenti
• 
• OkNotizie
• badzu
• Condividi su MySpace!
• Facebook
• Gazzatown

NYAGATARE (Rwanda), 23 novembre 2009 - Più che pedalava, mulinava. Più che asfalto, acqua. Più che strada, piscina. Più che ciclismo, nuoto. Fino a quattro anni fa, Dirk Oude Ophuis era uno specialista dei 50 e dei 100 stile libero: rispettivamente, il terzo con 23"50 e il quarto con 52" in Olanda. Gareggiava contro quello squalo di Pieter Van den Hoogenband. "Poi, dopo 13 anni di corsie, di avanti e indietro, di cloro, avevo bisogno di respirare aria, di cambiare vita. E sono salito, si può dire per la prima volta, in bici". Lo sprint gli è rimasto appiccicato addosso. E oggi, settima tappa del Tour of Rwanda, Kigali-Nyagatare, 151,3 chilometri a 37,8 di media, Oude Ophuis ha vinto in volata sul portoghese Edgar Tavares e sul marocchino Ismail Ayoune. Che ci fosse aria di fuga, lo si sapeva già prima di cominciare.

Il ciclista-elettricista Kasoma Moor-Din, 25 anni.

la tappa — Pronti, via, fuochi di artificio. "In ogni tentativo - racconta Tavares - c’era dentro quel marocchino. Ho capito l’antifona: volevano sganciarlo perché entrasse anche lui in classifica tra i primi 20. Non per prestigio, ma per soldi. Così, dopo 4 chilometri, ho attaccato. E quando mi è venuto dietro, ci abbiamo dato dentro, cambi regolari, sicuri di farcela". Oude Phuis è rientrato, da solo, poco dopo. E i tre uomini in fuga sono arrivati al traguardo. "Nessun accordo - spiega Tavares - qui si lotta alla morte, una vittoria di tappa vale come un campionato del mondo. Avrei anche potuto provarci prima dell’arrivo, ma era troppo rischioso. Avrei anche potuto tentare poco prima dell’ultimo chilometro, dove c’era uno strappetto, se solo lo avessi saputo". Invece, volata lunga: ai 300 metri l’olandese è partito di potenza, Tavares si è lanciato alla sua ruota, è riuscito a rimontare qualche metro, non a passarlo.

Dirk Oude Ophuis intervistato all'arrivo.

fisioterapista in sella — Dirk è nato a Denekamp, vicino al confine con la Germania, la stessa cittadina di un olandese che in bici ha navigato a lungo, e spesso davanti: Hennie Kuiper, olimpionico nel 1972, mondiale nel 1975, due volte secondo al Tour de France, vincitore della Sanremo addirittura a 36 anni. "Una leggenda - dice Oude Ophuis -. Kuiper mi conosce. Prima di partire, mi ha detto di divertirmi. Sono certo che sarà contento per me". Dirk si è diplomato fisioterapista, e la squadra olandese Skil-Shimano, che ha partecipato anche al Tour 2009, gli ha chiesto di entrare nello staff. "La proposta mi sembrava di quelle irrinunciabili, ma adesso, lo ammetto, sono un po’ indeciso. Certe volte volo e penso di poter diventare ancora professionista, altre volte sto con i piedi per terra e mi accontento di godermela fra i dilettanti". Ma a giudicare da quello che raccontano i suoi compagni, Dirk ha talento da vendere. "La prima volta che sono uscito in bici, per un allenamento di gruppo - confida Oude Ophuis - alla fine ce la siamo giocata allo sprint, e l’ho vinto. Tutti esterrefatti, anche perché correvo su una bici vecchia e pesante, con il cambio al telaio. Questa è la mia quinta vittoria: due volte da solo, tre in compagnia. Mi alleno fino a cinque o sei volte la settimana, ma la verità è che non ho bisogno di lavorare tanto. Mi basterebbero addirittura tre, al massimo quattro allenamenti, altrimenti rischio di arrivare alle corse stanco, già finito".

Pubblico sulle strade del Giro del Rwanda.

comanda jelloul — In classifica, il marocchino Adil Jelloul ha ribadito la sua superiorità guadagnando una quindicina di secondi sui migliori, adesso ha 3’15" sul compagno Abdelaati Saadoune e 7’37" sul rwandese Adrien Niyonshuti. In coda, stavolta il calzolaio burundese Charles Bucuni è giunto penultimo, precedendo di quasi quattro minuti l’ugandese Matovu, che è Leone di nome ma non sempre di fatto. Però in classifica il vecchio Charles vanta sempre quella mezzoretta di incolmabile distacco.

Nicodem Habiyambere, rwandese con bandana italiana

diario di bordo — Sulla strada, maglie della Roma e della Juve, del Liverpool e del Manchester, la maglia di Weah, T-shirt con la faccia di Obama; passaggio per Rwamagana, la cittadina dov’è nato Niyonshuti, con folla strabocchevole e cartelli di legno a lui inneggianti; il rwandese Nicodem Habiyambere con una bandana, sotto il casco, bianca, rossa e verde e la scritta Italia; bambini vendono uova sode, 100 franchi rwandesi ciascuna, circa 15 centesimi di euro; l’ivoriano Eugène Lokossué, che corre su una bici Decathlon, ha la maglia così larga che, per stringerla, si fa un nodo; l’ho raccontato a Colin Clews, il commissario di giuria britannico, e lui mi ha rivelato che si ricorda benissimo Stephen Roche, l’irlandese che poi avrebbe vinto Giro, Tour e Mondiale nel 1976, che all’inizio della carriera era così magro che la maglia gli si gonfiava come una vela, e allora se la stringeva, la maglia-spinnaker, sulla schiena, con una cerniera fatta di spille da balia. Domani ultimo capitolo di questa corsa romanzesca. Si torna indietro, da Nyagatare a Kigali, 156 chilometri, stessa strada, qualche chilometro competitivo in più.