Roberto Mancini, subito la domanda difficile: oggi il calcio ha ancora un ruolo sociale di educazione dei giovani?
l'intervista
Mancini: "Il calcio dev'essere gioia: per questo voglio i giovani"
Il tecnico della Nazionale: “Dobbiamo essere esempi positivi. Il senso di appartenenza ¨¨ importante"
“Ce l’ha, anche se meno di un tempo, come dovrebbero averlo tutti gli sport. Il calcio di pi¨´: ¨¨ il pi¨´ praticato dai bambini, che vedono nei calciatori un esempio da imitare. Per questo dobbiamo sforzarci ancora di pi¨´ di essere esempi positivi”.
Lei pu¨° dire di essere cresciuto meglio grazie al calcio?
“Sicuro. Anche perch¨¦ il calcio per me era uguale a parrocchia, San Sebastiano a Jesi: la mia vita scorreva praticamente tutta l¨¬, dove ho imparato l’importanza del socializzare e del rispettare le regole. Quelle del gioco sono le stesse della vita, in fondo”.
Il suo primo educatore, nel calcio?
“Beh, anzitutto mio padre, che con mia madre aveva gi¨¤ condiviso la responsabilit¨¤ di mettere un freno ad un bambino, non un calciatore, un po’ ribelle. E poi il parroco, Don Roberto, con tutti quelli che lavoravano nell’Aurora Jesi. Se un sacerdote ha sempre una missione anzitutto spirituale, loro avevano come missione quella di mettere tutta la loro passione per coltivare la nostra: quella di giocare a pallone”.
La strigliata pi¨´ grossa che ha mai ricevuto?
“Ma io da ragazzino facevo solo piccole cavolate - sfott¨° inutili, partite sul sagrato durante la messa - a parte quando andammo a rubare le ciliegie da un contadino. Ma l¨¬ non ci rimprover¨° nessuno: ci prese lui a calci nel sedere”.
Avere buoni educatori l’ha aiutata a diventarlo anche lei?
“Per tanti ragazzi credo di essere stato un buon aiuto: per la crescita calcistica, ma anche umana. Incontro ragazzi, alcuni magari non ricordavo neanche di averli allenati, che mi ringraziano. Vale quanto vedere un talento naturale che diventa pure un giocatore vero”.
E Balotelli la ringrazia? ? esagerato dire che ¨¨ il giocatore che ha aiutato di pi¨´?
“Forse no. Ma ¨¨ cos¨¬ anche perch¨¦ ha l’et¨¤ di mio figlio Filippo: l’ho allenato che aveva 17 anni, ed era al culmine della sua necessit¨¤ di crescere; e poi l’ho ritrovato al City, in uno dei momenti chiave del suo processo di maturazione”.
Ha rischiato di arrendersi, in questa sua ?missione??
“Mario sa che non basterebbe un libro per raccontare tutte le volte che ho dovuto prenderlo da parte per parlare, spiegare, rimproverare. La foto di quando al City lo prendo per il bavero in allenamento spiega tutto: nella mia faccia ci sono rabbia ma pure sconforto, era inconcepibile che non capisse che si trattava di rispettare le pi¨´ normali regole di educazione e convivenza. Ma poi ¨¨ cos¨¬: l’affetto pi¨´ grande lo provi sempre per quelli che ne hanno pi¨´ bisogno. Per questo io e Mantovani, che mi ha avuto alla Samp da giovanissimo, ci volevamo cos¨¬ bene”.
Quella Samp: lo spot di quanto conta un gruppo nel calcio.
“E oggi purtroppo si fa meno gruppo di una volta: ci sono pi¨´ distrazioni, allora ci si divertiva con meno. Per noi il giorno del raduno era sempre un’emozione nuova e il ritiro uno dei momenti pi¨´ belli della stagione”.
Un problema, per lei c.t. della Nazionale?
“Ma io non posso lamentarmi di come sta nascendo il mio gruppo: tutti bravi ragazzi che stanno bene insieme, forse anche perch¨¦ molti sono giovani”.
E lei cerca di educarli a cosa?
“Ad un calcio che sia divertente, per loro e per chi li guarda. E al senso di appartenenza: rappresentiamo un popolo meraviglioso, che vorrei si potesse identificare anche nell’Italia del calcio. Una Nazionale di gente per bene, che prova a giocare bene”.
Ma il calcio oggi ¨¨ ancora gioia, divertimento?
“Deve esserlo, deve continuare a suscitare qualcosa, deve restare un’emozione. Io, da c.t., lavoro per far ritrovare quella passione. E’ anche per questo che punto tanto sui giovani, che sono e devono essere la nostra arma in pi¨´: per il mondo che sar¨¤, e anche per il mondo del calcio”.
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