Ancelotti-Guardiola, sfida titanica tra gli allievi di Sacchi. E poi Pioli-Inzaghi
Real-City: i violini di Carletto contro l’orchestra di Pep. I tecnici di Milan e Inter meritano la scena
Luigi Garlando
Il Brasile, paradiso del gioco, per tornare a vincere un Mondiale dopo oltre 20 anni, ha pensato a Carlo Ancelotti e Pep Guardiola. Una ragione ci sar¨¤. Lo scontro titanico tra i due allenatori del Real Madrid e del Manchester City lancia spettacolarmente le semifinali di Champions League. Semplicemente l’incrocio tra due dei tecnici pi¨´ vincenti e carismatici della storia. Con la recente Copa del Rey, Carletto ¨¨ arrivato a 26 trofei, di cui 10 vinti al Real che, come club, ¨¨ arrivato a 100.
In questi due anni, Ancelotti ha conquistato tutte le competizioni cui ha partecipato: 6. Ora punta una nuova Champions. Da giocatore ne ha vinte 2, da mister 4, pi¨´ di chiunque altro. Non servono cerimonie a Westminster per chiamarlo Re Carlo. Guardiola ne ha vinte una da centrocampista e due da allenatore, tutte a Barcellona, l’ultima nel 2011. Quindi un buco di 12 anni e nessun trionfo a Monaco di Baviera e a Manchester. Chi sospetta un’allergia del Pep per il trofeo dalle grandi orecchie, tenga presente per¨° che un solo mister ha raggiunto 10 volte la semifinale di Champions: lui. Con 32 trofei, il catalano ¨¨ il quinto pi¨´ vincente della storia, dietro a Ferguson (49), Lucescu (37), Stein (35), Lobanovskyj (33).
Ovviamente, il derby tra Stefano Pioli e Simone Inzaghi, esordienti a queste altezze, ¨¨ meno iconico e planetario. Ma non sono due imbucati illegittimi. C’¨¨ un filo tricolore che lega i quattro candidati al trono d’Europa, una patina d’italianit¨¤ che li rende omogenei. Tre semifinalisti su quattro sono italiani, il quarto ha giocato nel nostro Paese dal 2001 al 2003 (Roma, Brescia) e ha infilato nel suo bagaglio professionale la saggia umanit¨¤ di Carlo Mazzone. Ma, soprattutto, Ancelotti e Guardiola sono fratelli, in quanto figli del calcio di Arrigo Sacchi.
Carlo per via diretta, Pep attraverso la mediazione di Cruijff. L’idea ¨¨ la stessa: un gioco di dominio e bellezza, offensivo e collettivo. Entrambi sono ancora legati a Sacchi da un filo di telefonate. Arrigo ricorda a Carlo l’importanza dello sviluppo di squadra, quando il Real sembra troppo dipendente dalle giocate individuali di Vinicius e Rodrygo; a Pep, Arrigo fa notare che il palleggio del City si fa sterile, se manca il movimento e la palla arriva solo sui piedi e non viaggia negli spazi.
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Ma se Ancelotti e Guardiola sono arrivati cos¨¬ lontano, come nessuno dei tanti emulatori di Sacchi, ¨¨ perch¨¦ hanno saputo arricchire la lezione con idee proprie, in sintonia con i tempi nuovi. Carletto ¨¨ partito da un rispetto religioso al dogma tattico che lo portava a diffidare dell’anarchia dei numeri 10, tanto da chiudere la porta del Parma in faccia a Zola e Baggio. Col tempo, ne ha intuito la magia e ha conquistato il mondo con un Milan zeppo di numeri 10. Ne aveva uno dietro (Pirlo), uno in mezzo (Seedorf) e uno davanti (Rui Costa-Kak¨¤). Col tempo, Ancelotti, fermo restando la sapiente intelaiatura tattica, ¨¨ diventato il miglior sviluppatore di talenti su piazza. Non c’¨¨ giocatore che non l’abbia adorato, perch¨¦ valorizzato al massimo delle proprie potenzialit¨¤ e compreso nelle proprie esigenze. Non esiste allenatore pi¨´ empatico di Carlo. L’umanit¨¤ ¨¨ il suo vero talento, il suo superpotere.
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Il talento di Guardiola ¨¨ la sensibilit¨¤ con cui ha aggiornato di continuo la propria idea, per renderla imprevedibile, tenendo fermi i principi. Barcellona, Bayern Monaco, Manchester City sono mondi diversi, firmati dalla stessa mano. Pi¨´ dogmatico, meno empatico, Pep ha fatto pi¨´ fatica di Carletto a rimpicciolirsi davanti alla grandezza di una stella. Esemplare il fallito trapianto di Ibrahimovic nel suo Barcellona. A Guardiola piaceva molto di pi¨´ lo spazio vuoto, liberato dal falso 9 Messi. Amava pi¨´ l’idea di un centravanti divo. Ibra lo chiamava il Filosofo per sottolinearne l’aridit¨¤ di cuore, prosciugato dal pensiero e cos¨¬ lontano dall’empatia ancelottiana. Ma anche qui il catalano ¨¨ cresciuto, sulla strada di Ancelotti, e ora non d¨¤ segni d’insofferenza per la popolarit¨¤ di Erling Haaland che griffa inesorabilmente il City. Sa bene che, se molti pronosticano la sua banda di palleggiatori, dopo tanti assalti vani, ¨¨ grazie al mostro norvegese. Il Pallone d’oro Benzema contro Haaland che lo diventer¨¤; il vertice di visionari Modric-De Bruyne; i violini di Ancelotti contro l’orchestra di Guardiola; il Real Madrid, che ha vinto pi¨´ Coppe dei Campioni (14) di tutti, e che in Champions gioca in pantofole, come nel salotto di casa, contro il Manchester City, che non ne ha mai vinta una: prepariamo gli occhi. Spettacolo migliore, non esiste.
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Ma ci divertiremo anche mercoled¨¬. Pioli ¨¨ un altro figlio di Sacchi. Ha vinto uno scudetto inaspettato come fece Arrigo nell’88: con un gioco coraggioso, di qualit¨¤, che ha reso il Milan pi¨´ forte della somma delle individualit¨¤ e superiore a squadre pi¨´ attrezzate. Sacchi ¨¨ stato spesso critico con Inzaghi, per una presunta, esagerata, dipendenza dalle ripartenze. In realt¨¤, la direzione del lavoro di Simone ¨¨ stata proprio sacchiana: un gioco sempre pi¨´ dominante e di qualit¨¤, grazie alla valorizzazione di Mkhitaryan e Calhanoglu; sempre pi¨´ intenso e aggressivo, grazie alla potenza atletica della rosa nerazzurra. La striscia di quattro vittorie in campionato ha appena confermato questa evoluzione virtuosa. Pioli e Inzaghi non sono imbucati. Ci stanno bene nei Fantastici 4.