Omar Cook, 29 anni, gioca in Europa dal 2006. Ciam/Cast

Se Danilo Gallinari si può considerare la ciliegina sulla torta del mercato dell'Emporio Armani Milano, Omar Cook rappresenta la sua base. Il playmaker di passaporto montenegrino, reduce dall'Europeo in Lituania, è il regista che avrà in mano le chiavi della squadra di Sergio Scariolo, costruita con ambizioni altissime.

Omar, cosa vuol dire per lei essere stato il primo giocatore ingaggiato in estate per un progetto così ambizioso?
“La rapidità di Milano nel firmarmi vuol dire che la società mi voleva fortemente, e che il duro lavoro che ho fatto finora nella mia carriera sta dando i suoi frutti. Ero felicissimo di venire qui, specialmente quando mi è stato spiegato in che direzione si volesse andare”.

Lei è un vero playmaker, di quelli che vedono il passaggio molto prima del tiro: non ne sono rimasti molti di giocatori con queste caratteristiche.
“Ho sempre giocato così, pensando prima a far segnare i miei compagni. Quello che voglio, semplicemente, è fare le cose giuste per vincere le partite, e sappiamo bene che le statistiche non dicono tutta la verità”.

Cook nell'ultima stagione ha giocato a Valencia. Ciam/Cast

Milano ha preso molti giocatori con esperienza di altissimo livello in Eurolega: è così azzardato dire che c’è il potenziale per andare alle Final Four?
“Sulla carta è così, ma ora si tratta di trovare la chimica di squadra, lavorare tutti insieme per mettere ogni cosa al suo posto. In questo momento possiamo dire di avere i pezzi giusti e dobbiamo metterci a comporre il puzzle. Di sicuro il valore della squadra è importante, addirittura migliore di quello che mi aspettassi quando mi sono impegnato con l’Olimpia”.

Il suo nuovo coach, Sergio Scariolo, ha appena bissato il titolo europeo con la nazionale spagnola. Lei viene dalla Liga Acb, dove Scariolo è molto rispettato.
“Infatti ho sempre sentito grandi cose su di lui, in particolare quando ho giocato a Malaga, dove il coach ha lavorato in precedenza. Quello che so è che lui vuole vincere, e il suo lavoro è mirato ad arrivare nelle migliori condizioni possibili per provarci: non vedo l’ora”.

Si cominciò a parlare di lei ai tempi della “Santa Trinità” a New York, quando teneva banco insieme ad altri due playmaker come Andre Barrett e Taliek Brown.
“Sì, avevo i riflettori puntati addosso in quel periodo, anche se poi non sono riuscito a trovare spazio nella Nba e non ho confermato tutte le aspettative. A quel tempo il basket era molto più facile, non era ancora un lavoro ma solamente un divertimento. Crescere e giocare a New York è speciale: il basket lì è diverso, se sei un giocatore tutti sanno dove vivi, dove vai a scuola, e hanno un’opinione su di te”.

Da New York a Podgorica la strada è lunga: eppure ha preso il passaporto montenegrino e ne porta i colori in nazionale.
“Ecco, si può dire che lì mentalità e stile sono decisamente diversi rispetto a New York (sorride, n.d.r.). La squadra fa tutto insieme, mangia insieme, si veste allo stesso modo, non arrivo a dire che si tratta di uno stile militaresco ma sicuramente è molto rigoroso”.

Deluso per i risultati all'Europeo?
“Molto, perché abbiamo bruciato in una settimana il lavoro di un mese e mezzo. E poi è stato strano vincere la prima partita contro la Macedonia per poi fermarci lì, mentre loro sono arrivato fino alle semifinali”.

A proposito, ha potuto affrontare Bo McCalebb, che come playmaker di Siena sarà il suo principale rivale in Italia.
“Bo è stato fantastico in Lituania: gioca duro, sa fare tante cose, è stato un vero leader”.

Cook venne scelto col numero 31 al draft Nba 01. Ciam/Cast

Ha giocato in tanti campionati diversi. In Europa: Russia, Israele, Belgio, Serbia, Spagna, ora Italia. Qual è stata, finora, l’esperienza miglore e quale quella peggiore?
“La migliore è stata certamente l’ultima, a Valencia, perché abbiamo iniziato malissimo ma poi siamo rientrati alla grande rischiando addirittura di arrivare alle Final Four di Eurolega (sconfitta nei quarti di finale per 3-2 dal Real Madrid, n.d.r.). La peggiore in Russia: avevo 24 anni, ero giovane e lì ero solo, a nove ore di fuso orario da casa. Non ero molto a mio agio”.

A proposito di Valencia: con quella squadra ha praticamente eliminato Milano nell’ultima edizione dell’Eurolega, ora invece la sua sfida è portarla più in alto possibile.
“Il nostro obiettivo non è solo quello di far bene in Eurolega, ma di riuscirci ovunque e cercare di vincere qualcosa. Sono venuto qui per questo”.

Cosa le piace del roster di Milano?
“Sono molto fiducioso perché avremo molte armi a disposizione: ci sono tiratori, giocatori di grande taglia fisica, altri molto completi in grado di fare tante cose in campo. Però, ripeto, non è una questione di nomi, ma di chimica: i giocatori impegnati in nazionale sono arrivati dopo, coach Scariolo anche, ci sarà molto da lavorare”.

E il fatto di giocare per Giorgio Armani è uno stimolo anche quello?
“Beh, di certo questo è un elemento particolare, che genera interesse da parte di tutti. Mi piace la moda, così come mi piace la città di Milano che in qualche modo mi ricorda New York: di sicuro è la più grande città in cui ho vissuto finora, in Europa. Penso che sarà una grande esperienza”.

Cercherà di godersela anche fuori dal campo?
“Dipende, quando non sono in palestra mi devo dedicare ai miei due figli: il più piccolo ha nove mesi, la bambina ha tre anni. A casa comanda lei! (sorride, n.d.r.)”.