il reportage
A passo lento alla scoperta del Cammino di Santa Barbara: qui dove le miniere sono sacre
Le miniere sono sacre. Lo ¨¨ stato il lavoro di migliaia di uomini, donne e bambini, i sacrifici, le malattie, le lotte per conquistare diritti, le morti. Ma lo sono (ancora oggi) pure i cammini. Quei sentieri di chilometri che i minatori facevano per raggiungere i pozzi. Anche 30 al giorno. Ecco, il ¡°Cammino Minerario di Santa Barbara", un periplo di quasi 500 chilometri che inizia e finisce a Iglesias, nella Sardegna sud-occidentale, racchiude una memoria lunga secoli che continua a infiammare ed emozionare. ¡°Le donne camminavano scalze ¨C racconta Iride Peis, l¡¯ultima maestra elementare del villaggio costruito intorno alla miniera di Montevecchio ¨C arrivavano da Guspini, 9 chilometri all¡¯andata e 9 al ritorno, con qualsiasi tipo di condizione atmosferica. Poi, un giorno, una donna ha detto: ¡®Perch¨¦ gli uomini hanno gli scarponi e noi no?' E allora ecco che, con la met¨¤ della paga che ricevevano rispetto agli uomini, si ¨¨ comprata un paio di scarponi. E piano piano, le altre donne l¡¯hanno emulata¡±. Ecco, il valore aggiunto del Cammino, al di l¨¤ dei paesaggi e della natura che restano scolpiti nella mente e nel cuore (¨¨ la Sardegna, bellezza!), ¨¨ proprio questo: la storia, le sue storie. Ma andiamo con ordine.?
le origini
¡ª ?Il Cammino di Santa Barbara ¨¨ un itinerario culturale e religioso che si sviluppa nel Parco Geominerario Storico Ambientale della Sardegna lungo gli antichi cammini minerari del sud ovest della Sardegna. Un Parco fortemente voluto da Giampiero Pinna, uomo visionario e rivoluzionario, che per la sua realizzazione occup¨° il Pozzo Sella, a Monteponi (Iglesias) per un anno. Una protesta a 100 metri di profondit¨¤ conclusa nel novembre del 2001. Con una vittoria. Perch¨¦ Il Parco venne istituito e da quel sogno realizzato, ecco successivamente prendere vita anche il Cammino attraverso la sua Fondazione. Ma qual era l¡¯ideale che stava dietro alla lotta di Pinna? Dare riscatto a un intero popolo, che ha avuto nella storia mineraria la sua ricchezza e che all¡¯improvviso con la crisi dei pozzi e la loro chiusura stentava a trovare un¡¯identit¨¤ e un futuro. E cos¨¬ ¨¨ stato. Il Cammino ¨¨ suddiviso in 30 tappe che hanno un comun denominatore: scenari incantati. Mare, scogli, monti, gallerie e miniere, villaggi abbandonati e le chiese dedicate al culto di Santa Barbara, la patrona dei minatori. Chi scrive ne ha percorse tre e questo ¨¨ una sorta di diario di viaggio.?
Portixeddu-Scivu
¡ª ?? una tappa di 10 chilometri scarsi su un facile tracciato, i saliscendi sono dolci con un dislivello massimo di 200 m. Il percorso non va in costa, si cammina tra grossi massi e tafoni, tipici delle rocce granitiche presenti solo in questa zona. ? un tratto di grande fascino e bellezza, si continua dando le spalle il golfo di Portixeddu e Bugerru e, per magia, ci si imbatte nelle tracce dell¡¯uomo della preistoria: un pozzo sacro di et¨¤ nuragica realizzato per il culto dell¡¯acqua e le tombe dei Giganti orientate verso il tramonto, un luogo di sepoltura collettiva del 1200 a.c. E gi¨¤ soffermarsi ad ammirare luoghi unici come questi vale il cammino. Ma c¡¯¨¨ di pi¨´.
Perch¨¦ proseguendo sul sentiero ben tracciato, dopo la sella della vedetta di Capo Pecora, si apre all¡¯improvviso il panorama ed appaiono in tutta la loro bellezza sfacciata le dune di Scivu-Piscinas. E qui, non c¡¯¨¨ dubbio, vale godersi una pausa meditativa che riempir¨¤ il cuore. Rinfrancati nello spirito, si prosegue scendendo lungo la mulattiera immersa nella macchia mediterranea e l¡¯obiettivo ¨¨ l¨¬ che aspetta di accogliervi, la sabbia di Scivu, la spiaggia ¡°parlante¡± perch¨¦ a ogni passo l¡¯arena emette un suono gracchiante, tipo grammofono. Provare per credere. E ora non resta altro che bagnare i piedi o, se il clima lo permette, immergersi in quest¡¯acqua blu intenso. Tanta roba.?
Piscinas-Laveria Brassey
¡ª ?Il punto di partenza della seconda tappa non pu¨° essere pi¨´ maestoso: le dune di Piscinas. Tra le pi¨´ grandi d¡¯Europa, si spingono verso l¡¯interno per due chilometri e raggiungono un¡¯altezza massima di 100 metri. Ma sono dune ¡°vive¡± che il maestrale modella giorno dopo giorno. E lo sono anche perch¨¦ qui, al contrario di quelle desertiche africane, albergano ginepri coccoloni e fenici, lentischi, ginestre, euforbie che si alternano ad ampie distese di tamerici. E sempre qui prosperano pernici sarde, conigli e gatti selvatici, volpi gheppi e poiane, la tartaruga marina ¡°Caretta caretta¡±, che risale nel bagnasciuga nelle notti di giugno e luglio per deporre le uova e il Fratino, il pi¨´ piccolo uccello nidificante nelle spiagge (a rischio estinzione) che dal 2016 un indicatore della FEE, organismo internazionale che assegna la Bandiera Blu, per certificare la buona qualit¨¤ ambientale dei litorali.
Ma le dune di Piscinas non solo godono di ¡°buona salute¡± sono un incanto. E affascinante ¨¨ anche lo sterrato che risale verso l¡¯interno costeggia tra giunchi e una fitta vegetazione il rio Naracauli.?? un percorso di pochi chilometri facile e rigenerante. Risalendo ci si imbatte in una sorta di paesaggio da Far West, formato da montagne di materiale di scarto delle miniere e carrelli arrugginiti della ferrovia che portavano i minerali al molo di Piscinas (trainati da animali) per poi partire a bordo di bilancelle per l¡¯isola di Carloforte. Ecco, da qui in poi l¡¯ambiente circostante rievoca le storie di fatica e sudore dell¡¯uomo.?
E la Laveria Brassey ¨¨ un esempio superbo di archeologia industriale che, nonostante l¡¯abbandono, mostra pregevoli soluzioni architettoniche. La struttura, inaugurata nel 1900, era destinata all¡¯arricchimento dei minerali (specializzato nella lavorazione della blenda da cui si estrae lo zinco) che arrivavano dai cantieri alti tramite teleferiche. Intorno si ergeva il villaggio di Ingurtosu, dove vivevano fino a 5000 persone.? C¡¯erano le residenze dei minatori, quelle degli impiegati, le bettole, lo spaccio. Ma tutto costava tanto, i prezzi erano pi¨´ alti rispetto ai paesi vicini. Nulla era gratis, ma il vantaggio era che non si doveva camminare decine di chilometri per raggiungere il posto lavoro. Non mancavano l¡¯ufficio postale, l¡¯ospedale, il cimitero, la chiesa dedicata a Santa Barbara. E dall¡¯alto del monte, ecco il palazzo della direzione, il ¡°Castello¡± costruito nel 1870 in posizione strategica per ¡°dominare¡± tutto perch¨¦ quella dei minatori era una societ¨¤ fortemente gerarchica. Il villaggio si spopol¨° interamente durante gli Anni 60, con la cessazione dell¡¯attivit¨¤ produttiva. E quello che ne rimane, spicca come un prezioso esempio di archeologia industriale.?
Pozzo Gal
¡ª ?Poco distante, ¨¨ obbligatorio fare visita al Pozzo Gal. Situato nel cantiere Harold e realizzato nel 1924 misura 200 metri a cui si aggiungono altri 16 di piano inclinato. Oggi il Pozzo ¨¨ stato restaurato per diventare un museo multimediale che racconta la vita dei minatori. Teresa, la guida, parla con occhi lucidi. Figlia di minatore, ha perso il pap¨¤ che lavorava qui molto presto. ¡°L¡¯aspettativa di vita era di 35-40 anni ¨C racconta -. I minatori lavoravano almeno 12-14 ore al giorno, senza potere risalire e senza potersi mai fermare nemmeno per mangiare. Si moriva di silicosi, una malattia respiratoria causata dalla continua inalazione di sabbia e roccia. E quando un minatore moriva, alla vedova veniva data la possibilit¨¤ di poter lavorare nel pozzo come cernitrice. La loro paga era la met¨¤ di quella di un uomo¡±. Ma chi erano le cernitrici? Erano donne addette alla separazione col martello del minerale dallo scarto, dalla roccia che lo conteneva. Lavoravano all¡¯aperto con spesso accanto a loro una cesta, con i figli appena nati perch¨¦ una settimana dopo il parto la donna tornava al lavoro. E poi i bambini che gi¨¤ a 5 anni affiancavano le madri nel loro stesso lavoro, con piccoli martelli fatti su misura per loro. ¡°Dentro il pozzo ¨C continua Teresa ¨C i carrelli con il minerale venivano spinti da muli, animali che non tornavano mai in superficie. Vivevano l¨¬ e per questo senza vedere mai la luce diventavano ciechi ma continuavano a lavorare fino alla loro morte¡±. Nel Pozzo Gal lavoravano 800 persone ed ¨¨ stato l'ultimo della zona a cessare l'attivit¨¤ nel maggio 1991. Oggi il suo compito ¨¨ quello di tramandarne la memoria.?
Miniera di Montevecchio
¡ª ?E a proposito di storia da non dimenticare, altro valore aggiunto del Cammino di Santa Barbara ¨¨ visitare la miniera di Montevecchio (dove si estraevano piombo, zinco e argento) e il suo villaggio. La lavorazione qui inizi¨° nel 1848 per opera di Antonio Scianna a cui Carlo Alberto rilasci¨° la concessione. Nel 1865, con 1100 operai, era la miniera pi¨´ importante del Regno d¡¯Italia, nel 1902 fu la prima a dotarsi di un impianto di produzione di energia elettrica e il palazzo della direzione, oggi museo, ¨¨ una chicca anche dal punto architettonico, lussuoso ed elegante perch¨¦ era qui che si chiudevano gli affari. E per farlo serviva una ¡°vetrina¡± all¡¯altezza. Tutto attorno si era sviluppato il villaggio che era autosufficiente e dove vivevano 3000 persone (oggi ce ne sono rimaste 300 e l¡¯atmosfera che si respira ¨¨ da paese fantasma, ma che fascino!). Ma sono le sue storie a emozionare. ¡°Alla fine del Ventennio, nel villaggio della miniera il giorno di paga era una grande festa ¨C racconta Iride Peis. Da tutta la Sardegna, in quei centri di produzione mineraria, guidati dal faro dell'Autarchia, giungevano venditori ambulanti, saltimbanchi, ballerine, compagnie teatrali da strada, si animavano le osterie, ma si pagavano anche i conti a libretto nelle cantine, gli spacci aziendali. Si pagava cio¨¨ quel che si era acquistato a credito, a libretto appunto, nel corso del mese, e gli uomini nel recarsi a saldare i conti bevevano qualche bicchiere di vino ovunque ve ne fosse la possibilit¨¤. E spendevano¡±. Il risultato? Di quei soldi rimaneva poco o nulla.?
Ma la ex maestra di Montevecchio Iride Peis restituisce alla memoria anche una pagina tragica e dimenticata. Il 4 maggio 1871 nella miniera di Montevecchio morirono in un incidente undici tra donne e bambine. ¡°Una trentina di donne aveva appena concluso il turno di 16 ore di lavoro nel cantiere Azuni e si stava rilassando nel dormitorio ¨C racconta -. L¡¯enorme vasca piena d¡¯acqua che stava sul loro edificio (usata per il lavaggio dei minerali), si ruppe provocandone il crollo e la morte di undici operaie, otto erano poco pi¨´ che bambine. Nessuna donna morta in miniera deve restare senza nome. Nulla deve diventare polvere sospesa¡±. E con il cuore gonfio e gli occhi lucidi, non resta che riprendere la strada verso Guspini: 10 chilometri a passo lento tra greggi di pecore e immersi nella macchia mediterranea. ? il sentiero che facevano gli uomini e le donne che lavoravano a Montevecchio per tornare a casa. Stremati ma con la soddisfazione di poter dare da magiare alle loro famiglie. Le miniere sono sacre, cos¨¬ come i loro cammini. Provateli¡
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