De Stefani, Pietrangeli e Panatta: quando le finali di Slam parlavano italiano
A oltre 45 anni dall’impresa di Adriano Panatta al Roland Garros 1976, l’Italia torna a recitare un ruolo da protagonista aumentando di un’unit¨¤ il contingente delle presenze azzurre nelle finali Slam.
Dopo essere stati quasi un secolo tra le prime 10 nazioni del mondo, l’Italia rialza la testa, guadagna una posizione e si riporta al 16¡ã posto (al pari dell’Irlanda) di una classifica dominata da Stati Uniti (280 presenze nelle finali Slam), Australia (204), Gran Bretagna (95), Spagna (50), Svezia (47), Francia (41) e Repubblica Ceca (36).
Il primo azzurro a giocare una finale Slam ¨¨ stato Giorgio De Stefani nel 1932 al Roland Garros. De Stefani fu l’allievo prediletto di Uberto De Morpurgo, il primo tennista di livello internazionale prodotto dall’Italia. De Stefani aveva un tennis poco ortodosso, ma molto efficace. Era autodidatta, mancino naturale, in grado di diventare il primo tennista completamente ambidestro della storia. Giocava infatti due dritti, passandosi la racchetta da una mano all’altra, con una rapidit¨¤ tale che non gli impediva di eseguire passanti imprevedibili e imprendibili.
Nel 1932 fu il primo italiano a qualificarsi per la finale di un torneo del Grande Slam. Il suo Roland Garros fu una cavalcata solitaria e solo Henri Cochet, dotato di un talento inarrivabile, lo ostacol¨° verso la gloria eterna superandolo in quattro comodi set. Due anni pi¨´ tardi gioc¨° da favorito l’ultima finale milanese degli Internazionali d’Italia, perdendo per¨° in tre set molto veloci contro Giovannino Palmieri. De Stefani era resistente alla fatica, ma non aveva un fisico atletico, era testardo nella tattica, ripetitivo negli allenamenti, ma privo di quell’allure da eroico che avrebbe contraddistinto campioni pi¨´ immortali di lui. L’incapacit¨¤ nel muoversi verticalmente sul campo, la difficolt¨¤ di cambiare mano per eseguire le vol¨¦e e una certa goffaggine nel colpire le palle alte, gli preclusero risultati decisamente pi¨´ grandi. A fine 1934 De Stefani fu classificato numero 8 del mondo quando ai primi tre posti c’erano tre mostri sacri come Fred Perry, Jack Crawford e Gottfried Von Cramm. Sebbene taciturno, introverso e di poche parole, a fine carriera De Stefani si trasform¨° in abile dirigente sportivo divenendo presidente della Fit, membro del Cio e presidente della Itf.
Dopo 27 anni di digiuno ecco che in Italia spunta il talento inarrivabile, e da predestinato, di Nicola Pietrangeli. Bello come un attore hollywoodiano, Nicola esprimeva un tennis molto naturale, simile per certi versi a quello dei virtuosi degli anni Trenta. Giocatore a tutto campo, pi¨´ forte di rovescio che di dritto, Pietrangeli fu un regolarista e un incontrista, capace anche di raffinati tocchi di volo e con facilit¨¤ sconcertante nel variare, con un semplice movimento del polso, gli effetti e le traiettorie dei suoi indimenticabili colpi. Arriv¨° in Italia dalla Tunisia, dove era nato e dove suo pap¨¤ Giulio - sportivissimo con passione sconfinata per il calcio, tennis, rugby e pallavolo - era stato un uomo ricco e rispettato. Ma alla fine del secondo conflitto mondiale, Giulio fu espulso dalla Tunisia e Nic, assieme alla mamma Anna (russa, nipote del medico di famiglia degli Zar), dovette scegliere tra la cittadinanza francese e quella italiana. La scelta cadde su Roma e nella citt¨¤ eterna Nicola impar¨° prima ad amare il calcio e poi a diventare un dio con la racchetta. Si allenava pochissimo ma gli bastava e cos¨¬ nel 1954 esord¨¬ in Coppa Davis. Nel 1955 si mise in luce a Wimbledon con una maratona vinta in cinque set su Tony Mottram che riport¨° l’Italia ai quarti di finale dei Championships 28 anni dopo Uberto de Morpurgo: perse 7-5 al quinto contro il danese Kurt Nielesen, che aveva meno talento di lui, ma pi¨´ armi da erba.
L’anno dopo, questa volta a Parigi, fece ancora i quarti, ma non riusc¨¬ quasi a giocare contro l’impossibile Lew Hoad che lo impallin¨° 6-1 6-3 6-0. Nel 1957 fece i quarti in Australia (22 anni dopo De Stefani) battuto da Mal Anderson e vinse gli Internazionali d’Italia su Beppe Merlo. Fu il preludio alla doppia affermazione del Roland Garros che lo consacr¨° come il pi¨´ forte giocatore al mondo su terra battuta. Nel 1959 super¨° in finale il sudafricano Ian Vermaak 3-6 6-3 6-4 6-1 e l’anno dopo il cileno Luis Ayala 3-6 6-3 6-4 4-6 6-3. Nicola era un giocatore di tocco sopraffino, ma non possedeva le qualit¨¤ necessarie per primeggiare sull’erba: nonostante tutto in quel magico 1960 raggiunse la semifinale a Wimbledon disputando un match straordinario contro Rod Laver. Nel quinto set manc¨° la palla per salire 2-0 che ancora oggi rimane il rammarico pi¨´ grande di una carriera comunque grande. Dopo i Giochi Olimpici di Roma, firm¨° un contratto per passare professionista, ma poi chiese di essere liberato dall’impegno (60 mila dollari di allora) per continuare a giocare i tornei che amava. Nel 1961 rivinse per la seconda volta gli Internazionali d’Italia battendo nella finale di Torino l’australiano Rod Laver. Perse per¨° contro Manolo Santana altre due finali a Parigi: quella del 1961 (6-2 al quinto) e quella del 1964 (7-5 al quarto).
Ed eccoci a Panatta. A rendere immortale Panatta fu il suo tennis di pura fantasia, frutto di un talento eccezionale, di una sensibilit¨¤ nel colpire la palla degna di McEnroe o Federer, unito alla potenza del servizio, alla precisione del dritto e alla solidit¨¤ di una vol¨¦e sempre sicura e profonda. Panatta nacque a Roma nel quartiere Trionfale da mamma Liliana e pap¨¤ Ascenzio che era il custode del vecchio Tennis Parioli, un personaggio cos¨¬ popolare che per anni il suo primogenito fu per tutti “Ascenzietto”. Nel suo apprendistato si segnalarono due incontri che lo maturarono plasmandolo a campione: il primo con Wally Sandonnino, ex campionessa, insegnante di gran polso e acume; il secondo con Mario Belardinelli, tecnico federale che ebbe il merito di intuire il grande talento in quel pigro atleta, divenendo di fatto un secondo pap¨¤. In breve tempo arrivarono grandi risultati: nel 1970 esord¨¬ in Coppa Davis, nel 1971 vinse a Senigallia il primo di 10 titoli Atp superando in finale Martin Mulligan.
Nel 1972 conferm¨° i progressi con i quarti al Roland Garros che ottenne dopo aver eliminato al primo turno il favorito Ilie Nastase. Nel 1973 batt¨¨ Borg a Parigi (sar¨¤ l’unico a riuscirci al Roland Garros, ripetendosi nel 1976) negli ottavi spingendosi fino alle semifinali. Nel 1975 annichil¨¬ Jimmy Connors, numero 1 del mondo, in finale a Stoccolma, meritandosi la qualificazione al Masters di fine anno. Eccoci all’anno di grazia 1976: a quasi 26 anni tent¨° per la settima volta di fare bene agli Internazionali d’Italia, un torneo che gli era sempre andato male (due sconfitte al primo turno, due al secondo e due al terzo). Al primo turno era atteso dall’australiano Kim Warwick che per 11 volte arriv¨° al match point; ma Adriano fu insuperabile. “Ho giocato quei punti sicurissimo di vincerli” fu il suo commento. Nei quarti una chiamata dubbia mand¨° su tutte le furie Harold Solomon che se ne and¨° dal campo avanti 5-4 15-0. In semifinale anticip¨° l’attaccante Newcombe e in finale sfid¨° l’arrotino Guillermo Vilas. Sommerso dalle infide rotazioni dell’argentino, Panatta si trov¨° sotto 3-5 al tie break del secondo, a due punti dall’andare sotto due set a zero. Ma si svegli¨° in tempo, andando a rete per chiudere quattro punti filati, l’ultimo dei quali con una vol¨¦e in tuffo. Gir¨° il match e vinse come aveva fatto Nicola Pietrangeli 15 anni prima. A Parigi, per tentare la storica accoppiata, inizi¨° come a Roma, con un match point annullato con un tuffo spettacolare per salvare il passante vincente del ceco Pavel Hutka, finito per arrendersi solo 12-10 al quinto. Poi tre match semplici prima del quarto di finale contro il due volte campione Bjorn Borg. Panatta gioc¨° divinamente anche con di rovescio, reggendo dal fondo a un Borg un po’ troppo precipitoso. Nel terzo set l’azzurro rifiat¨°, nel quarto manc¨° tre match point sul 5-4 prima di finire Borg al tie break. Semplice la semifinale con Dibbs, pi¨´ complicata la finale con Solomon. Panatta era il favorito e lo dimostr¨° salendo avanti due set: ma quando manc¨° 3 palle di fila per salire 4-2 al terzo, il match cambi¨° direzione. Adriano era stanchissimo, si riprese dopo il riposo, vol¨° avanti 5-2 al quarto, ma Solomon non aveva intenzione di arrendersi. Sul 5-6 Adriano si salv¨° miracolosamente da un lob velenoso di Solomon, arpion¨° il tie break e dopo pochi minuti era il campione di Parigi. In agosto fu numero 4 del mondo, a fine anno chiuse 7¡ã, dopo aver portato a casa la Coppa Davis nella storica finale in Cile. Fu il culmine: gioc¨° altre storiche partite senza tuttavia avere particolare fortuna. Come quando arriv¨° a due punti dalla vittoria contro John Alexander nella finale di Davis del 1977, o come quando perse dopo essere stato avanti 5-3 al quinto contro Connors all’US Open del 1979. E ancora quando gett¨° al vento il quarto di finale di Wimbledon 1979 contro Pat Dupre. Ma mito lo era gi¨¤ diventato in quello storico 1976.
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