La vida loca di "Ringo" Bonavena, in cui la boxe era la cosa meno rischiosa
La verit¨¤ ¨¨ che per Ringo nessun locale chiudeva mai troppo tardi, perch¨¦ tutti chiudevano troppo presto; nessun bordello era poi troppo squallido per non intrattenercisi almeno un po'; nessuna etichetta di bourbon, per quanto scadente, andava sprecata, se nei pressi c'era il tintinnio di un brindisi nel quale inciampare. Poi, tutte queste cose, mescolate o confuse ad arte come si fa con un dito tra i cubetti di ghiaccio, potevano essere utili a far scoppiare una rissa. ? questo il nocciolo della sua storia? No, perch¨¦ si tratterebbe di una sfilza di clich¨¦ che non varrebbe la pena scrivere, n¨¦ leggere. ?, per¨°, la punteggiatura di una vita, votata all'autocombustione quando se ne andava per locali con la giacca di pelle e gli stivali a punta; intensa e indomabile per tutte le occasioni in cui si era trovato nel nido del ring, in quella custodia di sedici corde che a conti fatti era il posto dove Ringo, al secolo Oscar Bonavena, avrebbe corso meno rischi che in tutti quei buchi dove la sua indole gli imponeva di infilarsi.?
Fuori dal ring
Strano tipo di atleta, con la faccia da stopper dell'Atl¨¦tico Hurac¨¢n, la sua squadra del cuore, per la quale avrebbe voluto giocare se non avesse avuto i piedi piatti che lo inibivano per gli scatti di corsa protratti per le medie distanze. Tutto il resto erano muscoli, esplosivi, sotto il collo taurino, distribuiti per cento chili in un metro e ottanta scarsi di statura. Indomito, come la resilienza degli emigranti che a un oceano di distanza avevano trovato soltanto una fatica dal linguaggio pi¨´ ostile; come sua madre e suo padre che in Argentina non avevano trovato la proverbiale fortuna ma una dignitosa sopravvivenza. Lei ciociara, lui calabrese, a impastare cromosomi da tradurre in lineamenti da italiano cos¨¬ come li pretendeva il cinema di Scorsese. Non avrebbe sfigurato come comparsa in "Quei bravi ragazzi" ma ci starebbe afferrando per il bavero, alzandoci da terra, perch¨¦ abbiamo osato soltanto pensare che non sarebbe stato all'altezza di De Niro o Joe Pesci. Perch¨¦ Ringo? Perch¨¦ Oscar, venuto alla luce in un barrio dei sobborghi di Buenos Aires il 25 settembre del 1942, dai vent'anni in poi avrebbe sempre ostentato una chioma esplosiva - come ogni altra cosa della sua vita, in effetti - che faceva venire in mente Ringo Starr, in particolare, il batterista dei Beatles.?Era uno di quelli che anche i pi¨´ grandi pesi massimi dell'epoca leggendaria avrebbero evitato di affrontare, se avessero potuto: per le sue combinazioni a due mani, per l'intensit¨¤ che imprimeva alla sua azione sin dal primo round, per l'inesauribile fondo atletico e soprattutto perch¨¦ ogni volta, pur di non cedere, sarebbe stato disposto a rimetterci la pelle.?Quest'ultimo aspetto decise di metterlo in pratica anche fuori dal ring, con la differenza che nelle ore pi¨´ piccole delle sue notti brave i colpi bassi sembrava che se li andasse a cercare.?
La carriera
Del resto, nei posti che frequentava non c'erano arbitri, a parte il destino. Professionista dal 1964, il suo score di 68 incontri recita 58 vittorie, nove sconfitte, un pari. Tra i nomi di quelli che lo hanno battuto, e che ne sono tutti usciti come se un treno fosse passato sulle loro costole, troviamo Floyd Patterson, Jimmy Ellis, due volte Joe Frazier tra il '66 e il '68 e Muhammad Ali, il 7 dicembre del 1970. Il Madison Square Garden attendeva Ali come un profeta, pi¨´ che come un campione: The Greatest si era lasciato alle spalle la squalifica, il suo nome aveva ormai una risonanza planetaria ben oltre la boxe, c'erano dei dubbi su cosa fosse rimasto della grandezza pugilistica che aveva esibito fino al rifiuto dell'arruolamento per il Vietnam. Fu un test spietato per entrambi, lungo il corso di quindici riprese: per Ali che ebbe modo di prendere coscienza che un accrescimento della potenza dei colpi avrebbe dovuto compensare un gioco di gambe divenuto intermittente, per Bonavena, atterrato tre volte durante la quindicesima ma sempre rialzatosi, che le vite di Ali erano pi¨´ delle proverbiali sette dei gatti. A pensarci bene, con le sue ostentazioni e la sua spavalderia, Bonavena era stato Ali, prima di Ali, solo bianco e con un ciuffo da rockabilly. Forse anche per questo Ali fu disorientato e quasi taciturno durante la conferenza di presentazione: perch¨¦ Bonavena ebbe il carisma per iniziare a provocare per primo, usando proditoriamente il nome "Clay" per l'avversario. Sul quadrato, con le sue proporzioni compatte e l'istinto ad attaccare senza soluzione di continuit¨¤, era una specie di Tyson, fatte le debite proporzioni con l'epoca e...l'epoca di Iron Mike. All'alba del 22 maggio del '76 a Reno, Nevada, il Mustang Ranch, un bordello legalizzato, era l'ultimo posto al mondo dove Ringo avrebbe dovuto e potuto mettere piede. Lui ci era addirittura tornato dopo esserne stato cacciato. Il patron Joe Conforte, origini siracusane, fino a qualche anno prima manager di Bonavena, gli aveva pagato anche il volo per Buenos Aires, purch¨¦ Ringo se ne andasse e la smettesse di corteggiare (a dirla tutta pi¨´ che ricambiato) la moglie del boss. Una pallottola al petto per lui, in circostanze che al processo furono mistificate. Un colpo al cuore per gli argentini, che non avevano smesso di amarlo nemmeno dopo che si era accesa la stella di Carlos Monzon. Duecentomila persone, al funerale di Ringo, che a Buenos Aires alla fine ci torn¨°, ma non certo perch¨¦ glielo aveva consigliato Conforte.
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