Jornet: "Scalo di corsa per toccare il limite e ora punto all’Himalaya"
Niente ¨¨ impossibile per Kilian Jornet, nemmeno ora che ¨¨ nata Maj. La paternit¨¤ non ha scalfito la sua voglia di correre fino allo sfinimento, di scoprire i propri limiti, di salire e scendere dalle montagne con una velocit¨¤ e un’agilit¨¤ che nessuno ha avuto mai. Incosciente, asceta dell’allenamento, fenomeno, masochista: Kilian continua a essere il personaggio per eccellenza del mondo della montagna. ? salito sull’Everest per due volte nel giro di cinque giorni, ha corso per 160 km, ha collezionato pi¨´ di 500 pettorali tra scialpinismo e skyrunning. E ha intenzione di continuare.
Da pap¨¤ cambia la percezione del rischio?
“In montagna no. Voglio viaggiare meno e stare pi¨´ a casa, ma la spinta ad allenarmi e ad avere dei progetti in montagna ¨¨ rimasta la stessa. Ecco, forse ora prendo meno rischi alla guida e mangio meglio”.
Su che idee sta lavorando?
“Niente di definito, ma negli ultimi due anni ho fatto test importanti sull’Everest. So di poter passare tante ore in quota senza ossigeno. In Norvegia, poi, ho corso per 160 km su terreno tecnico, arrampicando fino al sesto grado. La combinazione tra quota, lunghe distanze e difficolt¨¤ in solitaria mi interessa”.
Nel suo ultimo libro “Niente ¨¨ impossibile” immagina una finale olimpica di Skimo, sorta di scialpinismo indoor che si disputa a Doha, nel deserto. Non ama i Giochi?
”Le Olimpiadi sono il massimo, ma per me lo scialpinismo ¨¨ viaggiare in montagna e scendere fuori pista. Gi¨¤ ora c’¨¨ una rottura tra ¨¦lite e dilettanti: la gente non ama la Coppa del Mondo, la trova distante. Se il mio sport deve essere stravolto per andare ai Giochi, allora non mi interessa. E poi non credo tocchi a me dire s¨¬ o no allo scialpinismo ai Giochi. Dovr¨¤ pensarci la nuova generazione, non la mia”.
Non ha mai amato i podi.
“A 16-17 anni salirci poteva farmi piacere, ma ora credo che la gerarchizzazione degli atleti non abbia senso. Preferisco l’Hard Rock 100, una corsa in montagna negli Stati Uniti, dove c’¨¨ un riconoscimento per tutti, volontari compresi. Il podio ¨¨ la parte dello sport che non mi piace, troppo capitalista e troppo poco spirituale”.
Non ¨¨ che voi uomini di montagna siate troppo spirituali...
“Lo sport ¨¨ egocentrico, lavori col corpo per trovare soddisfazione in qualcosa di inutile”.
Per¨° nel 2015, dopo il terremoto in Nepal, le sue gambe furono utili eccome.
“S¨¬, diedi una mano a cercare i corpi e a portare cibo nelle valli pi¨´ lontane. Non ci pensai, lo feci e basta”.
Perch¨¦ a casa non ha trofei?
“Sono pratico, non amo tenere cose che non utilizzo. Se una gara ¨¨ stata importante, il ricordo resta nella memoria”.
Cosa la rende felice oggi?
“L’esplorazione. Salire su una montagna, vedere cosa c’¨¨ pi¨´ in l¨¤ e andarci. Questo mi motiva. E poi capire fino a dove pu¨° spingersi il mio corpo”.
Cosa le d¨¤ euforia?
“Non pi¨´ la vittoria. Forse la sento ancora al termine di una discesa ripida con gli sci, guardando da dove sono partito”.
Cinque anni fa diceva che la libert¨¤ ¨¨ scegliere le proprie catene. La pensa ancora cos¨¬?
“S¨¬. La famiglia ¨¨ un vincolo forte ma ti d¨¤ tanto. La montagna ¨¨ ci¨° che mi lega di pi¨´. Poi ci sono le cose che non piacciono ma che si devono fare. Come dormire. Odio il sonno, ¨¨ una perdita di tempo”.
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