Lin a ruota libera: "Ai Rockets per i playoff"

A meno di due settimane dall'inizio del training camp, i giocatori dei Rockets sono già tornati sul campo di allenamento del Toyota Center per prepararsi all'inizio dell'imminente stagione. Per capire come hanno trascorso questa offseason, Jason Friedman di Rockets.com intervisterà uno ad uno tutti i giocatori per parlare con loro di ciò che stanno attualmente facendo, dei loro obiettivi e di come hanno trascorso l'estate dentro e fuori dal campo. Oggi è il turno del playmaker Jeremy Lin. Di seguito troverete una trascrizione della loro conversazione.

Jeremy Lin, vuol portare la Linsanity da New York a Houston. Ap

l'intervistaChe lei ci creda o meno, voglio solo parlare con lei di basket. E mi piacerebbe cominciare la nostra chiacchierata parlando dell'importanza della lettura degli schemi nel ruolo di playmaker o qualsiasi posizione da regista in un altro sport. Immagino sia ovvio che più uno è veloce a riconoscere come si organizza la difesa e tutti quei movimenti impercettibili dei giocatori e il loro significato, più si è abili ad aprire le difese avversarie, sia per un playmaker nel basket che per un quarterback nel football. Qual è per lei il significato di questo concetto e come si applica al suo ruolo di playmaker?
"Giocando in un campionato dove si fa molto pick and roll, la prima cosa è riconoscere e capire quale copertura sta facendo la difesa. A quel punto la strategia cambia in base ai giocatori che ti circondano: sono bravi tiratori, tagliano in penetrazione o giocano in post? Questo può essere un elemento davvero determinante, anche se tutto comincia con la lettura iniziale, la quale più velocemente viene fatta e meglio è. Ed è anche una delle cose in cui dovrei migliorare".

Immagino che funzioni come il resto: nonostante un giocatore possa avere un dono naturale per riconoscere un certo tipo di schemi o meno, avrà comunque bisogno di allenarsi per arrivare al livello desiderato. Essendo lei un giovane giocatore, come fa a rimediare alla mancanza di esperienza?
"Farò sicuramente degli errori e dovrò essere capace di imparare da essi il prima possibile. Per accelerare questo processo guardo filmati delle mie partite e di altri bravi playmaker, poi prendo ogni errore che faccio e lo analizzo dettagliatamente per capire quando e come avrei potuti prendere decisioni migliori. Ovviamente l'esperienza è la miglior maestra ma la velocità con cui si impara dipende, per molti versi, dal giocatore stesso".

Quindi, quando lei si riguarda le registrazioni delle sue giocate dell'anno scorso, cosa non le piace e cosa vorrebbe assolutamente correggere?
"Direi che a volte mi trovo con la testa per aria. Dovrei rimanere più concentrato e non farmi coinvolgere in brutte situazioni. Devo fare meno passaggi scontati. Coach McHale li chiama passaggi "sullo stesso piano", nei quali mi fermo e lancio la palla in linea retta. Dovrei fare più finte e usare angoli diversi. Inoltre devo rinforzare la mano sinistra e il palleggio in modo da tenere lontani gli avversari. Questi sono i fattori che mi hanno fatto perdere molte palle l'anno scorso".

Lei ha detto di guardare anche filmati di altri giocatori. Quali guarda? Ci sono molti playmaker di qualità in questo campionato e sicuramente c'è molto da imparare da ognuno di loro, ma ci sono alcuni su cui lei si concentra particolarmente?
"Io guardo tutti e alcuni dei nomi potranno cogliervi di sorpresa, ma il fatto è che tutti i playmaker fanno qualcosa meglio di me, quindi la chiave è imparare qualsiasi cosa. Alcuni giocatori che ho guardato sono ovvi: Chris Paul, Deron Williams, Steve Nash, John Stockton, Gary Payton. E poi ci sono quelli specializzati in alcune abilità: Juan Carlos Navarro, Chris Duhon e Raymond Felton. Fanno alcune cose in maniera molto migliore rispetto alla mia e magari la gente nemmeno se ne accorge".

Sono curioso, in cosa gente come Duhon e Felton sarebbero meglio di lei?
"Letture veloci, se gli avversari raddoppiano su di loro, riescono a uscirne velocemente. Io invece tengo palla per troppo tempo. Loro leggono il campo e fanno dei passaggi in cui prendono palla molto velocemente e la lanciano. Sono davvero bravi in questo tipo di azioni ed è stata una cosa che ho dovuto vedere e imparare. Non si può sempre affrontare un raddoppio di marcatura, una volta attirati due avversari bisogna chiedersi: come faccio a dar la palla alla persona giusta? Loro ci riescono molto bene".

Qualche giorno fa lei ha detto di adattare il suo programma di allenamento per migliorare la mano sinistra, oltre all'abilità di prendere buone decisioni in fretta. Cosa sta facendo di specifico per fare dei progressi in queste aree?
"Ho lavorato su diversi tipi di passaggi, cercando di usare sia la mano sinistra che la destra. Questo potrebbe aprire varie possibilità. Poi, per quanto riguarda la lettura del campo, durante i miei allenamenti simuliamo situazioni in cui esco da un blocco e lavoro su determinati tipi di passaggio in modo da trovare i compagni di squadra nella loro posizione di tiro. Giusto queste cosette".

E qui torniamo alla mia prima domanda sul riconoscimento degli schemi. Su quali indizi visivi si basa durante un pick and roll?
"Per prima cosa guardo dove sono i miei compagni di squadra per vedere se si trovano al posto giusto, poi cerco possibili buchi in difesa, per esempio, se non è schierata come dovrebbe, o se i piedi di un avversario sono in posizione strana. Cerco in ogni modo di sfruttare ogni buco da attaccare o di oltrepassare velocemente le linee che mi concedono spazio".

Presta attenzione alle statistiche avanzate?
"Giusto un po', guardo soprattutto le mie".

Quindi lei saprà bene l'andamento delle sue Synergy stats. Nel pick and roll si è comportato bene, le sue cifre in isolamento sono alle stelle…
"In ricezione e tiro sono state basse… Comunque si, le abbiamo analizzate attentamente durante l'estate e le abbiamo usate per strutturare la mia tabella d'allenamento. Per esempio, la difesa uno contro uno. Ci sono state alcune sessioni di allenamento in cui abbiamo curato solo la difesa, per esempio, le marcature sul taglia fuori e cose del genere. Ci piace essere creativi nei nostri allenamenti".

Jeremy Lin l'anno scorso con New York Knicks. Afp

Bene, volevo chiedere un'altra cosa. Questa squadra, così come è stata costruita, sembra adattarsi meglio a ritmi alti. Tuttavia, le sue statistiche avanzate dell'anno scorso dimostrerebbero che lei si trova più a suo agio in situazioni di metà campo. So benissimo che ci stiamo basando su un numero di partite piuttosto ristretto, quindi volevo chiederle se si sente a suo agio a giocare in transizione piuttosto che a metà campo.
"Mi piace giocare in transizione. Sono rimasto sorpreso di aver ottenuto cifre basse in transizione perché di solito ho sempre dimostrato di essere un buon giocatore in quelle situazioni. Mi piace giocare a ritmi alti, prendere palla, correre, fare giocate veloci e tirare la palla nei primi secondi a disposizione".

Quindi non crede che queste cifre siano indicative del tipo di giocatore che è o sarà in futuro?
"Penso che raccontino molto ma non tutto. Credo che sarebbe stupido non guardare le cifre ma credo che sia altrettanto stupido pensare che siano tutto".

Dopo aver firmato con i Rockets ha trascorso molto tempo a pensare alla strategia della squadra in modo da capire come poter giocare con i nuovi compagni?
"In realtà non ci ho pensato molto perché credo che, prima di poterlo fare bisogna conoscere bene i compagni di squadra, e io purtroppo non ne conoscevo quasi nessuno. Ma man mano che il feeling aumenta durante gli allenamenti, provo a capire a chi piace ricevere la palla in una certa posizione, cosa sono abili a fare, quando passargli la palla, quando invece non gliela devo dare, quali giocate sono particolarmente efficaci e altre cose del genere".

So che è ancora molto presto, ma c'è qualcosa che l'ha colpita in maniera particolare?
"Omer, la gente davvero non lo apprezza come merita per le sue abilità offensive. È lodato in difesa ma anche in attacco non è male, credo che abbia sorpreso tutti. E questa è la cosa più importante, non ho ancora visto i rookie giocare abbastanza per poter trarre delle conclusioni".

Questa è una domanda un po' casuale che fa riferimento a qualcosa avvenuto ben prima dei tuoi tempi, ma si immagini di essere un po' come in 'In viaggio nel tempo' di Scott Bakula e che, trenta minuti prima di una partita, io dovessi prendere possesso del suo corpo. Cosa mi direbbe per far sì che io mi comporti come il vero e proprio Jeremy Lin? Praticamente, nella maniera più stramba possibile, volevo chiederle qual è il suo approccio alla partita.
"Le direi di aver fede e concentrarsi su cosa sa far bene: attaccare, attaccare, attaccare. Per me è come giocare per Dio, senza doversi preoccupare di nient'altro, delle persone che guardano, dei giornalisti o dei general manager. Solo pensare a giocare la partita e lasciare che tutto scorra naturalmente. Credo sia questo che cerco sempre di dirmi".

Il suo approccio alla partita è cambiato almeno di una virgola durante l'anno scorso?
"Non credo, spero di no. Non gioco da un bel po', ma spero di no".

Ha notato dei cambiamenti durante gli ultimi minuti di partita? La pressione, lo stress e l'emotività aggiuntiva hanno qualche effetto?
"Negli ultimi minuti si pensa solo a vincere. La mia mente è concentrata soltanto sulle giocate. In quei frangenti non riesco a pensare ad altro se non dover fare la giocate che porterà la mia squadra avanti di un punto al suono della sirena. Dipende dal mio ruolo: quella giocata potrebbe essere un rimbalzo, una palla rubata o un passaggio, qualsiasi cosa. Credo che questo si applichi all'intera partita anche se la concentrazione è sicuramente più alta nei minuti finali".

La paura di sbagliare influisce in quei momenti? O è qualcosa che in realtà si manifesta come una motivazione extra?
"Non penso proprio alla paura di sbagliare durante le partite. Credo che una volta scesi in campo bisogna solo pensare alla partita".

Quindi, quando stava prendendo la mira per quel tiro contro Toronto o in tutte le giocate fatte contro i Lakers non stava ragionando in maniera diversa rispetto a qualsiasi altra situazione?
"Beh, se è l'ultimo tiro e ho la palla in mano, penso solo a fare un buon tiro e a metterla dentro. Quel tiro deve entrare. È chiaro che c'è un po' più di pressione data dall'urgenza rispetto al resto della partita, ma credo che i concetti siano sempre gli stessi: attaccare, essere aggressivi e giocare come si sa fare.

Il sorriso di Jeremy Lin durante un'intervista. Ap

In quegli ultimi secondi con la palla in mano, preferisce andare personalmente al tiro o il suo obiettivo primario è quello di ottenere un buon tiro per la sua squadra e basta?
"A Toronto era quello di andare al tiro. Ma in gran parte delle situazioni voglio solo creare un buon tiro per me o per un compagno, nono sono uno di quelli che credono nei tiracci di fine partita. Preferisco passarla a qualcuno che possa tirare aperto invece di tirarla male io".

Questa è solo la sua filosofia personale oppure ci sono ricerche che possono dimostrare che questo sia il modo ideale per affrontare le fasi finali di una partita?
"Credo che sia così che si gioca a basket. Di solito c'è un buon tiro e di solito c'è un brutto tiro alla fine di ogni possesso. Più tiri buoni si fanno e più probabilità ci sono di vincere".

Perché ritiene che il caso di Toronto sia diverso per lei?
"Perché gli avversari non stavano raddoppiando su di me, quindi era un buon tiro. Non è mai un buon tiro se si va uno contro due. Ma se la marcatura è singola allora le cose cambiano. Nella partita contro Toronto ho deciso di interrompere il pick and roll perché non volevo dargli l'opportunità di raddoppiare. Quando si va uno contro uno bisogna fare un gran tiro. E credo che la maggior parte dei giocatori siano abili a fare grandi tiri nell'uno contro uno.

Chiudiamo con un gioco: io inizio la frase e lei dovrà finirla: secondo lei, questa stagione sarà un successo se…
"Se riusciremo a lavorare al massimo come squadra ma anche a costruire la giusta cultura sportiva, per me questo sarebbe un successo. Ovviamente vogliamo arrivare ai playoff. Ma se non ci riuscissimo e ci arrivassimo vicini perché magari siamo stati molto sfortunati o abbiamo avuto molti infortuni o altre difficoltà, ma comunque saremo riusciti a stabilire una buona cultura sportiva e a migliorare, credo che sarebbe comunque un successo.

Cosa fa parte di una buona cultura sportiva?
"Il duro lavoro, la responsabilità, l'assenza di egoismi, il sacrificio e l'integrità. Questa è la base da cui deve partire un successo che dura nel tempo".