Mor¨¬ esattamente 22 anni fa, troppo presto. Fosse ancora vivo, oggi avrebbe 85 anni. E a ricordarglielo risponderebbe con uno sguardo beffardo e una battuta tipo “Ne ho gi¨¤ fatti cento, che volete ora?”. Un altro avrebbe sparato un sorriso falso, e forse il succo del concetto ¨¨ qui: Wilt Chamberlain non si marcava. ? uno dei 5-6 giocatori di basket pi¨´ forti, di sicuro il pi¨´ forte di un’epoca in cui a un certo punto cambiarono anche le regole quasi a volerne limitare lo strapotere, ma di sicuro ¨¨ il campione meno tifato di sempre, il pi¨´ fischiato, il meno osannato. Chamberlain era l’antagonista, il gigante, il boss dell’ultimo livello dei videogames, odiato dagli avversari per lo strapotere in campo e guardato male dai compagni perch¨¦ averlo accanto voleva dire accettare un ruolo da comparsa. Era quello da abbattere con ogni mezzo, era quello che i tifosi non amavano perch¨¦ gli bastava fare il suo per dominare senza manco metterci la cattiveria di un Jordan o di un Kobe, era quello che il giorno in cui sbagliava una partita su cento le altre novantanove non contavano. Fosse vissuto oggi la grancassa narrativa gli avrebbe cucito addosso il bel vestito da cattivo dei McGregor, degli Ibrahimovic o dei Fury. Magari non l’avrebbe accettata lui, si sarebbe trincerato in un esilio mediatico alla Bielsa. O l’avrebbero crocefisso e reso ridicolo al primo concetto espresso controcorrente. Perch¨¦ Chamberlain era cos¨¬: non si marcava, mai.
L'UOMO DEI RECORD
Ventidue anni senza Wilt Chamberlain, il campione per cui nessuno tifava
Era l’antagonista, il gigante, il boss dell’ultimo livello dei videogames, odiato dagli avversari per lo strapotere in campo e guardato male dai compagni perch¨¦ averlo accanto voleva dire accettare un ruolo da comparsa
La sua leggenda sta scritta nei numeri, e nemmeno ci sta tutta perch¨¦ all’epoca stoppate e palle recuperate non venivano conteggiate. Chamberlain ¨¨ detentore di 72 record Nba, molti dei quali irreali, solo Jordan ha segnato pi¨´ di lui di media a partita ma c’¨¨ il trucco: ai tempi di Wilt non c’era il tiro da tre, in teoria per una lotta alla pari le triple di MJ dovrebbero contarle da due. Il suo dominio sta in un corpo irreale per l’epoca: Chamberlain era alto 2.18 ma dotato di gambe lunghissime e capacit¨¤ atletiche da olimpionico, si muoveva e saltava come un Jacobs o un Tamberi oggi, l’hanno visto staccare per andare a schiacciare dalla linea dei tiri liberi in partita e non all’All Star Game come avrebbero fatto le stelle dopo di lui. E poi la forza, sovrumana: oggi nei film di supereroi uno solleva una macchina come una tazzina e quasi ci siamo abituati, ci sono video di Chamberlain in cui non ¨¨ nemmeno nei suoi anni migliori ma scosta dal canestro gente di cento chili con una mano sola. Li scosta, con la facilit¨¤ con cui si scaccia una zanzara, nonostante quelli provino a restare l¨¬ puntando i piedi. L’hanno visto schiacciare cos¨¬ forte che la palla cadendo ha fratturato un piede all’altro sotto canestro. L’hanno visto sollevare gente per il bavero della camicia cos¨¬ da guardarle negli occhi o buttare in aria come un fantoccio il suo amico Lemon degli Harlem Globetrotters - s¨¬, ha giocato anche l¨¬. L’hanno visto sfidare l’amico pugile Floyd Patterson, campione del mondo dei massimi, a una gara di flessioni sui polpastrelli: Floyd si ferm¨° a 158 in un bagno di sudore, Wilt si alz¨° dopo 200 fresco come una rosa, giusto per non umiliare l’altro. L’hanno visto, perch¨¦ negli anni ‘60 il grosso delle imprese sportive si tramandava oralmente o sui giornali. Come la pi¨´ grande impresa di Chamberlain.
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Darrall Imhoff, l’uomo che marcava Wilt
Della serata del 2 marzo 1962 non ci sono video, solo qualche testimone e una radiocronaca del terzo quarto. Chamberlain gioca con i Philadelphia Warriors, la notte prima ¨¨ stato a New York e ha fatto serata, prende il treno per tornare in Pennsylvania alle 6 di mattina senza aver dormito. Arriva, pranza, e se ne va in sala giochi dove inizia a capire che non ¨¨ un giorno comune. Freccette? Le vince tutte. Biliardo? Palla in buca a ogni colpo. Lo avvisano che ¨¨ tardi mentre ¨¨ attaccato al flipper, alla quinta partita gratis. Lo portano alla Hershey Sports Arena, stadio da hockey riconvertito, ottomila posti di cui solo la met¨¤ occupati, della sfida contro i Knicks frega poco. A pochi minuti dal via si scopre che Phil Jordon, quello che avrebbe dovuto marcarlo, non c’¨¨: influenza o postumi di una sbornia, non s’¨¨ mai capito. L’unico lungo degli ospiti ¨¨ Darrall Imhoff, medaglia olimpica due anni prima. A fine primo quarto Chamberlain ¨¨ a 23 punti, con 9 su 9 ai liberi: un evento, erano il tallone d’Achille del suo gioco, c’era gente che preferiva aggrapparglisi alle braccia piuttosto che farlo schiacciare. Imhoff fa il terzo fallo, va in panchina e s’incazza con l’arbitro: “Fagliene fare cento, cos¨¬ ce ne andiamo tutti a casa”. Profetico. Chamberlain non si tiene, i compagni capiscono che stanno scrivendo la storia e iniziano a passargliela sempre. A 8’ dalla fine ¨¨ a 75, dagli spalti si alza il coro “Give it to Wilt!”, l’annunciatore smette di annunciare il punteggio della partita e conta solo i suoi punti. A 30’’ dalla fine Joe Rucklick rinuncia a un lay-up e la passa al compagno. Schiacciata, cento. Gli spettatori si riversano sul parquet per toccare l’alieno, Rucklick va dagli ufficiali per assicurarsi che gli abbiano conteggiato l’assist. Finisce 169-147 per i Warriors. Della partita non ci sono nemmeno foto, eccetto una: la scatt¨° Paul Vathis, fotografo della AP che aveva chiesto un giorno di ferie per andare alla partita col figlio, fu preso dagli spalti e trascinato a forza in spogliatoio dal pr Harvey Pollack. Questi prese un foglio, scrisse 100, lo mise in mano a Wilt e gli disse di sorridere, e Vathis scatt¨°. Negli ultimi trenta secondi Wilt avrebbe potuto farne anche altri due ma non volle: “100 ¨¨ pi¨´ bello di 102, no?”.
Come fanno le persone normali a identificarsi in star cos¨¬ mostruose?
Il Daily News
Ora, immaginatevi uno che fa cento punti di questi tempi. Copertine, breaking news, interviste, tweet, meme, foto, la corsa a piazzargli un marchio addosso, gente che spiega il perch¨¦ e il percome. Per Wilt no. Nonostante gi¨¤ all’epoca ci fosse gi¨¤ la percezione di una cosa unica nel mondo dello sport, i giornali di Philadelphia riportarono la cosa in un piccolo riquadro in copertina. Il New York Times mise la cronaca della partita a pagina 14, l’Herald Tribune alla 11, il Daily News prese l’impresa come il pretesto per parlare del basket come di uno sport senza futuro perch¨¦ “la gente di dimensioni normali come fa a identificarsi in star cos¨¬ mostruose?”. Nel suo mondo, lo stesso coro. Chi parlava di codice d’onore rotto perch¨¦ non si umilia cos¨¬ l’avversario, chi di partita farsa, chi come Johnny Kerr sdottorava: “Facile da spiegare, il peggior tiratore di liberi al mondo ha trovato una serata da 28 su 32...”. Insomma, Chamberlain era talmente forte che la forza quasi non gliela si poteva riconoscere, quello che faceva era percepito come scontato o persino irritante. Anzi, la maledizione pi¨´ grossa di quella partita ¨¨ stata proprio la legacy: dici Chamberlain e pensi a quello dei 100 punti, non a uno dei pi¨´ grandi interpreti di sempre di questo gioco. Non a caso quando gli hanno chiesto quale fosse la sua pi¨´ grande impresa ha sempre citato i 55 rimbalzi contro Bill Russell, la sua nemesi. O meglio il buono, perch¨¦ lui per definizione doveva essere il cattivo. Bill Russell, il centro dei Boston Celtics, tosto, cattivo, quello che secondo la vulgata migliorava davvero la sua squadra e non come Wilt che fa solo punti e rimbalzi per s¨¦. Red Holzman: “Uno contro uno Wilt uccide Bill, cinque contro cinque il contrario”. Paul Seymour di St. Louis: “Alto ma senza talento”. Dolph Schayes: “Qualsiasi ragazzo delle superiori tira meglio”. A Chamberlain hanno rinfacciato pure di non essere un leader, di essere egoista e basta, di non rispettare gli allenatori, gli hanno anche ricordato fin troppo spesso che a quei numeri irreali siano seguiti solo la miseria di due titoli Nba, sottolineando anche come almeno un paio di volte sia arrivato ai playoff da favorito per poi soccombere. Vero, ma c’¨¨ arrivato senza un cast di supporto adeguato. Jordan aveva Pippen e Rodman, Magic aveva Jabbar, Bird aveva McHale, Bill Russell aveva Cousy o Havlicek. Wilt Chamberlain no. Era il gigante, doveva pensarci da solo. Frank Deford, columnist di Espn, inquadr¨° bene la cosa: “Chamberlain vince? Logico, ¨¨ cos¨¬ grosso. Chamberlain perde? Ma come fa a perdere uno cos¨¬?”.
Avere mille donne ¨¨ bello. Ma avere una donna mille volte diversa ancora di pi¨´
Wilt Chamberlain
Il grande sogno americano, negli anni 60, prevedeva famiglia, figli e tavola sempre imbandita. Wilt Chamberlain no, non si ¨¨ mai sposato n¨¦ riprodotto. Anzi, non ha mai fatto mistero di collezionare donne. Ventimila, per la precisione: la cifra emerge dalla sua biografia A view from above (Vista dall’alto), ¨¨ esagerata tanto quanto le sue statistiche in campo ma a differenza di queste non verificabile. La cifra suscit¨° scalpore nel 1991, anno di uscita del libro: l’Aids era il nuovo male del secolo, e la promiscuit¨¤ sessuale era vista come un rischio sociale. Apriti cielo, dunque: “Facevo una cosa naturale - fa lui nel libro -, inseguivo belle donne”, aggiungendo di non essere mai stato con una sposata. E di lui le donne hanno spesso parlato come di un gentleman, che viveva in una villa a Bel Air che si era fatto costruire apposta in base alle sue dimensioni e che vista oggi sembra ancora uscita da un film di 007. Soffitti altissimi, pietra alle pareti, biliardo su misura e una camera da letto con il talamo circondato da una vasca da bagno e un telecomando per aprire il soffitto. “Stanotte ti regalo il cielo”, pareva dicesse alle sue conquiste prima di azionarlo. Pi¨´ tardi avrebbe confessato che solo 4-5 donne stavano per farlo capitolare, ma che quel “ti amo” no, proprio non gli veniva. Anzi, c’¨¨ una frase che quasi suona come di pentimento: “Nella mia vita ho imparato che avere mille donne ¨¨ piuttosto bello. Ma avere una donna mille volte diversa ¨¨ ancora pi¨´ soddisfacente”.
Muhammad Al¨¬ ¨¨ un mio buon amico. Ma togligli boxe e religione, e due frasi intelligenti non le mette insieme
Wilt Chamberlain
Il Chamberlain playboy per¨° non andava gi¨´ alla comunit¨¤ femminista, e men che meno agli attivisti black, che lo accusavano di diffondere stereotipi da barzelletta sulle comunit¨¤ nere e con cui peraltro aveva gi¨¤ un conto aperto. Quelli di Chamberlain erano tempi duri negli Stati Uniti, da questo punto di vista. Bill Russell, per esempio, figlio della Louisiana a cui anche da campione Nba capit¨° di vedersi negato il servizio al ristorante, era icona e attivista del movimento Black Power. Wilt Chamberlain no, almeno all’inizio. Si disinteressava abbastanza alla vicenda, nonostante lui e il rivale fossero le prime, grandi vere icone nere in un basket in cui c’era una regola non scritta per cui di “quelli l¨¬” dovessero essercene al massimo quattro per squadra. Gli fece cambiare idea l’assassinio di Martin Luther King, il 4 aprile del 1968. Il giorno dopo sarebbe stato di nuovo Russell-Chamberlain, cio¨¦ Boston-Philadelphia, finale della Eastern conference, ma l’America era in subbuglio. Russell e Chamberlain fecero una cosa che solo i grandissimi fanno: seppellirono l’ascia di guerra, si incontrarono e chiesero a gran voce di spostare la partita, il paese aveva altro a cui pensare. Non furono ascoltati: il 5 aprile si gioc¨°, il 9 erano entrambi al corteo funebre. L¨¬ Chamberlain fece un’altra cosa controcorrente: si avvicin¨° a Nixon e gli chiese di poter supportarlo nella campagna elettorale. Al leader dei repubblicani quasi non pareva vero, visto che i voti neri erano storicamente tutti dall’altra parte. I due si erano conosciuti in aereo qualche anno prima, e Chamberlain era stato colpito perch¨¦ sentiva di avere qualcosa in comune con un altro personaggio che l’opinione pubblica percepiva storicamente male. Non gli andavano gi¨´ quelli che parlavano tanto e si vendevano bene: “Muhammad Al¨¬ ¨¨ un mio buon amico - diceva - ma togligli boxe e religione e due frasi intelligenti non le mette insieme”. Chamberlain vedeva nel capitalismo nero, uno dei capisaldi della campagna di Nixon che prevedeva aiuti economici e fiscali alle comunit¨¤ black, una speranza di riscossa per il suo popolo. Solo che Nixon dalla stragrande maggioranza della comunit¨¤ nera era visto come un razzista e il capitalismo nero come un’altra ghettizzazione. E cos¨¬ da un lato l’immagine di Wilt subiva un altro colpo durissimo, dall’altro lui stesso inizi¨° a defilarsi. Troppo tardi per¨°. Il New York Post parl¨° di “scelta incredibile, sar¨¤ diventato cos¨¬ benestante da potersi permettere di fare il repubblicano”, Bill Russell lo batt¨¦ 4-3 nella serie dopo essere stato sotto 3-1 e qualche anno dopo segn¨° altri due punti: “Il capitalismo nero ¨¨ come la bella addormentata che aspetta il principe. Per averlo devi gestire una parte dell’economia, ma i bianchi non lo lasceranno mai fare ai neri”.
Vorrei che non mi vedessero sempre come il cattivo, che qualcuno tifasse davvero per me
Wilt Chamberlani
Di Wilt Chamberlain dicono molto i soprannomi. Quello pi¨´ comune, “The stilt”, il trampoliere, non gli piaceva perch¨¦ non voleva essere considerato solo alto. Meglio “The big dipper”, il mestolone - risaliva ai tempi del college perch¨¦ doveva piegarsi per passare sotto le porte e lo faceva ridere - oppure “Goliath”. Golia era il paragone ultimo della forza, gli piaceva. I soldi guadagnati in carriera li ha investiti bene nel mercato finanziario e immobiliare, cos¨¬ ha continuato a fare vita da nababbo e filantropo. Ha giocato a pallavolo da pro, ha avuto squadre di atletica con medaglie olimpiche, ha gestito in prima persona il pi¨´ famoso night di Harlem, lo Smalls Paradise, ha passato notti a suonare il sassofono o a discettare di filosofia con gli amici. L’hanno voluto al cinema per fare, guarda caso, il ruolo del cattivo: era il guerriero Bombaata in Conan il distruttore, nelle pause lui, Schwarzenegger e Andre the Giant (s¨¬, c’era anche lui...) si dilettavano in sfide alla panca piana che Wilt regolarmente vinceva. Si vantava di essere ancora imbattuto nel lancio del disco, correva la maratona con tempi discreti, a 40 anni Magic Johnson lo fece innervosire in partitella e inizi¨° a stoppargli ogni singolo tiro e a 50 ebbe un’offerta dai New Jersey Nets per giocare i playoff: “Non lo faccio per rispetto, ma mi alleno ogni giorno con giocatori professionisti e so di cosa sono capace”, declin¨°. Mor¨¬ 22 anni fa di infarto, nel letto col telecomando di cui sopra. Uno dei primi ad accorrere fu Bill Russell, erano amicissimi ma non lo davano a vedere. “Vorrei non essere sempre visto come il cattivo - disse una volta -. Anzi, almeno una volta vorrei che qualcuno tifasse davvero per me”. Come diceva Jerry West, e come la Bibbia testimonia, nessuno fa il tifo per Golia.
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