Nba, Los Angeles Lakers: viaggio nella crisi. È D'Antoni il responsabile?

Mike D'Antoni perplesso, i suoi Lakers ancora non volano. Epa

È difficile superare gli avversari, passare e tirare quando hai una mano premuta sulla fronte e con l’altra cerchi continuamente di controllare se c’è polso. Ma è in questo modo che i Los Angeles Lakers stanno cercando di andare avanti in questa annata 2012-13, senza nascondere le loro difficoltà, e di conseguenza è aumentato anche il senso di frustrazione e disperazione che li circonda. Le premesse si sono viste fin dall’inizio della regular season, quando i Lakers hanno perso quattro delle prime cinque partite, dando adito alle prime preoccupazioni che poi sono scaturite nel panico più totale e hanno portato all’esonero di coach Mike Brown (con lui i Lakers avevano un record di 1-4) e del suo sostituto Bernie Bickerstaff (che aveva ottenuto un record di 4-1). Ai Lakers è arrivato Mike D’Antoni, ma il suo impatto è stato più simile a quello del generale Custer che a quello della cavalleria: sotto la sua gestione Los Angeles ha un record non certo esaltante (12-20), con numerose riunioni tra i dirigenti del club e centinaia di consigli per uscire dalla crisi. L’arrivo di D’Antoni ha diviso lo spogliatoio dei Lakers: da tutte le parti c’è gente che si guarda in malo modo (D’Antoni-Pau Gasol, Kobe Bryant-Dwight Howard) e Los Angeles è attualmente al 12° posto nella Western Conference, a 14,5 partite di distanza dalla prima posizione e a soli tre match di distanza dall’ultimo posto. Dal 23 gennaio scorso, quando hanno toccato il punto più basso con un record di 17-25, i Lakers hanno vinto sei delle ultime sette partite dopo il successo di ieri sera contro i Brooklyn Nets. Le prime due vittorie, contro Utah e Oklahoma City, sono state tanto atipiche quanto fragorose, e Bryant ha firmato più assist (28) che tentativi dal campo (22). Steve Nash si è preso gli stessi tiri di Bryant, ma a tirare più di tutti è stato Metta World Peace (30). Le ultime quattro partite – una sconfitta a Phoenix in cui i Lakers hanno buttato via 13 punti di vantaggio, e i successi contro Minnesota, Detroit e Brooklyn – sono parte di un ciclo di sette impegni consecutivi in trasferta, che si concluderà domenica a Miami dopo i match contro Boston e Charlotte che sembrano alla portata di Los Angeles.

lakers in ripresa — Ci stiamo ormai avvicinando al quarto mese della stagione e i Lakers, che fin da subito erano stati definiti una delle principali candidate al titolo come i Celtics 2007-08, hanno preso confidenza. Ma questo non vuol dire che siano ancora a posto: "Questa è una squadra che ha tutti i tasselli giusti: il problema è che forse non tutti appartengono allo stesso puzzle – ha dichiarato uno stimato osservatore Nba-. Per costruire una squadra non basta mettere insieme alcuni tra i migliori giocatori: da una parte schierando due giocatori come Nash e Howard, in grado di mettere in difficoltà gli avversari con il loro pick and roll, i Lakers avrebbero potuto ottenere dei buoni risultati più velocemente. Ma quando hai anche due elementi come Bryant e Gasol, che sono abituati a giocare in modo diverso e in un sistema diverso, diventa tutto più forzato". Ma D’Antoni – che per la seconda stagione consecutiva è stato costretto a lavorare senza un training camp – ha rievocato anche alcune squadre All Star, soprattutto quando ha sottolineato quanto può essere frammentario e "brutto da vedersi" il gioco di una squadra se tutte le varie componenti non formano un insieme. I Lakers non hanno ancora trovato la loro versione di ubuntu, la filosofia di gruppo che coach Doc Rivers riuscì a trasmettere a Paul Pierce, Kevin Garnett, Ray Allen e ai Celtics sei anni fa.

problema howard — Anche Howard è un grosso problema, e non solo dal punto di vista letterale: "Dwight non è lo stesso giocatore che era prima dell’infortunio alla schiena – ha dichiarato un dirigente di una squadra della Western Conference -. Non è rapido come era in precedenza: ci sono dei giocatori contro i quali prima dominava e che adesso lo sovrastano in area. In passato non c’era nessun lungo nella Nba in grado di avvicinarsi a Howard, ma l’infortunio alla schiena ha condizionato il suo stile di gioco. Per questo i Lakers devono trovare il modo di far convivere lui e Gasol: è folle pensare che Pau debba essere il cambio di Howard. In questo modo Los Angeles non sfrutterebbe due dei suoi punti di forza". Un osservatore della Eastern Conference ha replicato: "Dipende anche da Dwight: da parte sua non vedo ancora l’entusiasmo giusto, sia per far parte dei Lakers che per adattarsi al sistema di gioco. Con Mike Brown Howard sarebbe stato un elemento cruciale: quando cambi allenatore e passi allo stile di gioco che preferisce D’Antoni, non è detto che la palla passi anche da Howard in fase offensiva.

prospettive — Per il momento nessuna speranza: nessuno – almeno tra le autorità della Nba – parla di titolo. Per quanto possa far male, i Lakers hanno ridotto le aspettative e per il momento pensano soprattutto a una più modesta qualificazione ai playoff. Dimenticatevi anche della scadenza del mercato, fissata per il 21 febbraio: il general manager dei Lakers, Mitch Kupchak, ha dichiarato di recente a Newsday che le risposte ai problemi dei Lakers non passeranno dalla cessione di qualche giocatore. "Non cederemo nessuno – ha dichiarato Kupchak –, neppure Dwight Howard. Posso assicurare che nessuno dei nostri migliori giocatori rientrerà in una trade anche perché cambiare ancora a questo punto dell’anno, e in un momento difficile come quello che stiamo vivendo, complicherebbe ulteriormente la situazione. Il talento non ci manca, ma adesso dobbiamo cercare di imboccare la strada giusta".

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