Entra Mario Cipollini e la fama lo precede. Dovunque. Che sia un rifugio della Val Badia dopo una sciata senza allacciare le cinture, un negozio nel centro di Milano, un ristorantino di provincia o la nostra redazione... Mario arriva e tutti lo riconoscono. Cipollini, il Re Leone delle volate, ha smesso di correre da oltre dieci anni, ma il profilo d’attore su un fisico ancor pi¨´ monumentale e la carismatica personalit¨¤ lo rendono sempre molto popolare. E siccome l’uomo ¨¨ abituato a dire quello che pensa, senza sconti, frenando poco o niente, lo abbiamo sentito prima che la stagione del grande ciclismo entri nel vivo. E Mario ha lasciato la sua zampata...
Che cosa fa oggi Cipollini?
?Parte della mia giornata ¨¨ dedicata agli impegni con la Diamant, l’azienda di Federico Zecchetto che mi ha dato una chance dopo il mio ritiro. Insieme produciamo le bici che portano il mio nome. ? un uomo straordinario e vulcanico. Per me ¨¨ un secondo padre, ho per lui un rispetto incredibile e per molte cose ci assomigliamo. Federico punta sempre al massimo e stargli a ruota non ¨¨ facile. A volte mi chiama alle 6 del mattino perch¨¦ vuole confrontarsi su un’idea, una nuova iniziativa. ? sempre un pensiero avanti a tutti?.
In Gazzetta
Cipollini: “Pantani ferita ancora aperta. Avessimo fatto squadra insieme....”
Il Re Leone sul Pirata: "Niente mi toglie dalla testa che con me avrebbe trovato l’ambiente che non ha mai avuto e la sua storia sarebbe andata diversamente". E ancora: “Sogno superteam made in Italy”
E l’altra parte della giornata?
?? dedicata allo sport praticato. Questo ¨¨ il momento dello sci. D’inverno mi trasferisco a La Villa, in Val Badia, ospite di Silvio Belardi e della moglie Daniela, che ormai sono come miei fratelli. Mi fanno sentire come uno della loro famiglia. Scio spesso con Giacomo Erlacher, ex discesista azzurro, e qualche volta mi diverto a metterlo in difficolta. Mi butto in discesa come negli sprint e dicono che me la cavo bene... Tanto che la Rossignol, mi ha voluto come testimonial e sono anche ?Ambassador? di Peak Performance. Amo particolarmente la pista di Forcelles a Colfosco. Mi piace arrivare l¨¬ la mattina presto e buttarmi a tomba aperta sulla pista appena battuta. ? qualcosa di molto vicino all’idea di libert¨¤
?. Domenica con il Laigueglia si apre ufficialmente la stagione italiana. Che anno sar¨¤, chi saranno i nostri protagonisti? ?Si corre gi¨¤ da oltre un mese in ogni parte del mondo, il ciclismo ¨¨ cambiato e noi siamo sempre meno al centro del villaggio globale. Non sapete quanto io soffra a vedere che tutti i nostri migliori corrono per squadre straniere... Io vengo da un ciclismo italiano che dominava il mondo con il sottoscritto, Pantani, Ballerini, Bartoli, Bettini, Tafi... la Mapei era la squadra numero uno al mondo e al Mondiale si andava a comandare! Ora che cosa volete che mi aspetti? Nibali far¨¤ ancora molto bene perch¨¦ ¨¨ un professionista serissimo. E Viviani potrebbe confermarsi re delle volate per puntare anche a una grande classica. Vincenzo punter¨¤ soprattutto al Giro d’Italia e fa bene. Ma fa bene anche a credere nel Tour de France. I grandi campioni, per come li intendo io, si sono sempre confrontati nelle due corse pi¨´ importanti del calendario?.
Viviani ¨¨ il numero uno degli sprint? ?Elia ¨¨ cresciuto moltissimo e pu¨° contare su una squadra straordinaria che lo aiuter¨¤ a crescere ulteriormente. Ma il velocista pi¨´ dotato in assoluto credo che sia sempre Kittel. Gaviria invece non mi convince perch¨¦ cade troppo. ? sempre al limite del rischio?. La “fuga” dei nostri talenti all’estero ¨¨ un tema che le sta a cuore. Su Instagram ha rilanciato una sua vecchia idea: il ritorno di una grande squadra italiana.
?Credo che sia venuto il momento per fare un appello agli imprenditori perch¨¦ investano nel ciclismo. Il nostro resta uno sport bellissimo e molto popolare, e mi fa male vedere che Nibali, Viviani, Aru e tutti i migliori italiani abbiamo sulle maglie marchi stranieri. ? venuto il momento per riavere una grande squadra italiana. Penso all’operazione di Azzurra, la barca che all’inizio degli Anni 80 ci aveva trasformato tutti in esperti di vela e sogno una squadra che si chiami “Azzurri” e “Azzurre” per la declinazione al femminile. A capo di Azzurra c’erano finanziatori privati che hanno creduto in un progetto vincente. Basterebbe che si impegnassero i pi¨´ illuminati dei nostri imprenditori. E se nessuno si facesse vivo, potremmo pensare ad una sorta di azionariato popolare. Il Giro porta sulle strade oltre 10 milioni di tifosi. Se ognuno di loro mettesse 2 euro in questa iniziativa, il gioco sarebbe fatto. In Italia non mancano i soldi. Mancano i progetti! Se ci sono i soldi per portare Cristiano Ronaldo in Italia, ci sono anche per un grande team ciclistico. Gestito bene, con tutti i campioni italiani renderebbe quanto e pi¨´ di CR7...?.
Nel suo messaggio c’era anche un appello a Salvini e alla politica in generale?
?Credo che serva la volont¨¤ politica. In passato avevo chiesto personalmente un intervento a Berlusconi. Ora mi sono rivolto a Salvini perch¨¦ lo vedo attento ai temi legati al riscatto del nostro Paese, ma il messaggio ¨¨ anche per il ministro dello sport Giorgetti, per i Cinque Stelle e per chiunque sar¨¤ alla guida del governo. Servono spinte e magari agevolazioni fiscali per chi crede in un nuovo progetto. Perch¨¦ il fenomeno del ciclismo di lingua inglese nasce dall’impegno del governo che ha fatto investimenti mirati dopo il tracollo dell’Olimpiade di Atlanta ‘96 e in prospettiva Londra 2012. Dal niente la Gran Bretagna, grazie a un manager lungimirante come Dave Brailsford che ha costruito il fenomeno Sky, ¨¨ diventata la prima Nazione su pista, su strada e anche nel ciclocross. Ora ditemi se gli inglesi possono insegnarci il ciclismo... Abbiamo gi¨¤ perso troppo tempo!?.
Avremmo manager all’altezza per fare quello che ha fatto Brailsford con il team Sky?
?Io credo di s¨¬. Dieci anni fa nessuno conosceva Brailsford. Dave ha avuto la personalit¨¤ e il carisma per imporre un progetto che ora fa scuola. Noi avremmo persone all’altezza, e penso ad esempio a Roberto Amadio. Ho chiuso la mia carriera con lui alla Liquigas e so quanto vale. Amadio ha lanciato Nibali, Sagan e Viviani... Diciamo che il ciclismo lo conosce e le sue squadre erano un riferimento per tutti. Ha fatto crescere tecnici come il mio amico Scirea, che sanno prendere per il petto i corridori quando sbagliano. Io sono sicuro che avremmo tutte le competenze per ridare vita a una formazione italiana che torni sul tetto del mondo. Io al progetto “Azzurri” credo molto. E sarebbe il modo per rendere omaggio al Paese di Girardengo e Binda, di Coppi e Bartali, di Gimondi... Al Paese che dopo le Grandi Guerre ¨¨ ripartito da zero sognando anche per i grandi campioni della bici?.
Lei si candida a tornare nel ciclismo? Con quale ruolo?
?Mi piacerebbe trasferire le mie conoscenze ai giovani, non credo di avere capacit¨¤ e voglia di essere sul campo 365 giorni. Non ci riuscirei. Ma lo farei volentieri all’interno di un progetto con un ruolo specifico a supporto dei tecnici. In una squadra di giovani mi piacerebbe molto. Potrei confrontarmi con chi gestisce la squadra, direttori, allenatori. Darei consigli su che cosa fare, sulle varie scelte, ho ancora tanta sensibilit¨¤ per capire cosa avviene in corsa, le strategie degli avversari, e mi piace vedere le corse, mi piace vedere in faccia i corridori e capire di che pasta sono fatti?.
E sul caso “Operacion Puerto” che cosa ci dice?
?Su quel periodo e su quelle vicende ¨¨ stato gi¨¤ detto tutto. Caso chiuso! Sar¨¤ la storia a dare un giudizio. Io so che posso presentarmi a testa alta di fronte a chiunque e sono a posto con la mia coscienza?.
Oggi sono 15 anni esatti dalla scomparsa di Marco Pantani.
?E per me ¨¨ una ferita ancora aperta. Quel sabato 14 febbraio 2004 avevo vinto, a Marignane, la penultima tappa del Giro del Mediterraneo. Stavo festeggiando dopo la cena con Scirea e i compagni della Domina Vacanze quando ¨¨ arrivata la notizia. In pochi momenti sono rimasto cos¨¬ male. Con Marco c’era un rapporto particolare mediato dall’amicizia comune con Fabrizio Borra, il fisioterapista che Marco mi aveva mandato per aiutarmi a rimettermi in sesto, dopo una mia rovinosa caduta alla Valenciana del 2003. In quel periodo stavamo per diventare compagni di squadra. Mi ricordo una sua telefonata dalla Grecia, dove Marco andava a caccia. Mi raccontava dei cani e dei fucili e della nostra supersquadra che poteva nascere. “Ma davvero si pu¨° fare? Mario io mi fido di te”. Mi diceva cos¨¬, lui che non si fidava di nessuno. ? stata l’ultima volta che l’ho sentito. E niente mi toglie dalla testa che se avessimo fatto insieme quella squadra, Marco avrebbe trovato l’ambiente che non ha mai avuto e anche la sua storia sarebbe andata diversamente. Che cosa ¨¨ successo davvero in quella stanza d’albergo dove lo hanno trovato morto non lo so e non voglio saperlo. Per me continua ad essere una presenza: l’ho anche sognato in almeno due occasioni. Mi capita spesso di pensare a Marco. E ogni volta ci sto male?.
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