Dopo la prima giornata, la sensazione è questa: Rafa Benitez e Walter Mazzarri sono arrivati al posto giusto. Il Napoli aveva bisogno del calcio ambizioso dello spagnolo, l’Inter della saggia quadratura del livornese. Per capire meglio il concetto torniamo al 19 luglio 2010, quando Benitez, fresco interista, venne a trovarci in Gazzetta. Conserviamo il piacevole ricordo di due ore passate a discutere con un innamorato di calcio, che già a 13 anni riportava su un quaderno i giudizi sui compagni di squadra. A un certo punto, seduto a una scrivania del giornale, Rafa compose l’attacco dell’Inter allineando un telefonino (Pandev), una pinzatrice (Sneijder) e una biro (Eto’o) dietro a uno sgarzino (Milito). "Perché il Principe è una lama: fine e tagliente".

Rafa Benitez, 53 anni. Ansa

meglio di mou — Gesticolava di continuo, spiegava anche con le mani, si divertiva. Rafa Benitez è questo: un elegante, appassionato educatore di calcio, come il suo maestro Sacchi. Ci spiegò come avrebbe fatto giocare l’Inter, fresca di Triplete: "Squadra più alta, possesso palla, nuovo Cambiasso". Nuovo Cambiasso? "Mi piacerebbe portarlo più avanti, perché giocare con due centrocampisti difensivi vuole dire abbassare troppo la squadra e tenere i reparti distanti". Sembravano riforme, in realtà annunciava una rivoluzione: "Vorrei provare a giocare meglio. Ho studiato l’Inter e ho visto che ha vinto soprattutto grazie a ripartenze violente". Alla terza di campionato l’Inter passò a Palermo e si portò in testa al campionato giocando benissimo: pressing alto e possesso palla mai visti con Mourinho, una ventina di tiri in porta. Sembrava l’inizio di una bella storia, invece la rivoluzione fallì presto per due ragioni. Prima: lo spogliatoio, morbosamente legato a Mou, prese male quel "giocheremo meglio". Noi abbiamo conquistato il mondo, gli altri devono migliorare! La squadra non voleva rinunciare alla sua identità: attendere e ripartire. Seconda ragione: Moratti non gli diede i giocatori promessi che invece avrebbe avuto il successore Leonardo. Con l’aiuto di Mascherano (inviso agli argentini nerazzurri) e Kuyt, fedeli soldati a Liverpool, sarebbe stato tutto più facile.

Walter Mazzarri, 53 anni. Ansa

rifondazione — Ostinatamente fedele ai propri decadenti legionari e ai loro gusti tattici, l’Inter si è trascinata di fallimento in fallimento fino alla rovinosa stagione scorsa in cui si è squagliato tutto. E qui arriva Mazzarri, esperto in ricostruzioni da zero. Lo ha fatto benissimo a Napoli, raccogliendo una squadra in zona salvezza e regalandone festose notti di Champions. Ad eccezione della promozione col Livorno e degli ultimi ambiziosi campionati col Napoli, Mazzarri ha sempre allenato squadre preoccupate di fermare i più forti, dall’Acireale alla Pistoiese, dalla Reggina alla Samp. È qui che ha sviluppato il suo grande magistero difensivo che oggi all’Inter serve come il pane; è qui che ha affinato, per necessità, la sua arte nelle ripartenze che è stata accolta volentieri dai nipotini di Mou. Cambiasso schiacciato dietro, a protezione di una difesa traumatizzata, non è un problema per Mazzarri come lo era per Benitez. In questa fase di transizione societaria, senza possibilità di grandi spese e grandi stelle, Walter il duro è l’ideale: con polso e pragmatismo molto "milanese" sa spremere il massimo da ciò che ha. Poste solide basi, potrà poi aggiungere qualità e far crescere l’Inter come un grattacielo dell’Expo. E divertire, magari. Molto più "napoletano" Benitez per il gusto dello spettacolo, il carattere senza spigolosità toscane, pacioso, da curato di campagna. Rafa ha giocato e allenato al Real Madrid, ha conquistato Champions e Mondiale per club, porta quella nobiltà che Napoli sente di avere nel destino.

cine rafa — Un presidente cinematografico desiderava un calcio più hollywoodiano di quello in ripartenza di Mazzarri: non folate, ma risate a raffica come in un cinepanettone. A Napoli, Rafa ha trovato ciò che non aveva a Milano: una squadra entusiasta di seguirlo, perché ad attaccare, invece che attendere, ci si sente più forti; e un presidente che gli ha comprato ciò che voleva. Ora fare la rivoluzione si può. Col Bologna, il San Paolo l’ha intuita con meravigliato piacere: pressing alto, possesso costante. Il telefonino è sempre Pandev, la pinzatrice la fa Hamsik, la biro Callejon, lo sgarzino Higuain, "fine e tagliente". E tagliato, vabbuò... Benvenuto al Sud, don Rafé. Benvenuto al Nord, sciur Walter. Tutti felici al posto giusto, per ora.