Presidente Urbano Cairo, cos’¨¨ il 4 maggio per lei?
"? il cuore diviso a met¨¤. Il dolore per una ferita che non si rimarginer¨¤ mai ma anche, in un certo senso, il compleanno di un amore che si rigenera ogni volta e aumenta di intensit¨¤. La sacralit¨¤ del ricordo e il rinnovo di una promessa. Il Torino ha due date di nascita, il 3 dicembre 1906 quando ¨¨ stato fondato e il 4 maggio del 1949 quando l’aereo che trasportava la squadra dopo l’amichevole di Lisbona col Benfica si schiant¨° su Superga. Nel giorno in cui sembr¨° che tutto fosse finito, in realt¨¤ esplose ancora pi¨´ violentemente la passione e l’amore per il Torino. Il 4 maggio ¨¨, per ogni tifoso come me, il giorno del ringraziamento: per ci¨° che quella squadra straordinaria ha fatto, per quello che ci ha lasciato, per come ha unito la nostra gente, per aver formato il nostro Dna, per gli esempi, i valori e il connubio tra etica e vittorie. Perch¨¦ il “come si vince” conta: ¨¨ importante".
Gli eroi sono tutti giovani e belli. E giovane muore chi ¨¨ caro agli Dei…
l'intervista
Cairo: "Superga ¨¨ dolore e amore. Il Grande Torino la squadra di tutta Italia"
Il presidente del Torino di oggi intervistato dal vicedirettore della Gazzetta Andrea Di Caro sulla tragedia che segn¨° il calcio italiano: "Una ferita che non si rimarginer¨¤ mai, ma anche il compleanno di un amore"
"I volti di quei campioni immortalati in foto ingiallite e in vecchi filmati restano impressi nella nostra memoria senza aver conosciuto le ingiurie del tempo. Valentino Mazzola, il capitano, con la sua aria fiera, degna davvero di un eroe epico, ¨¨ diventato il simbolo di quella squadra e un’icona senza tempo: perch¨¦ ha avuto la capacit¨¤ di lasciare un segno indelebile in tutti gli amanti del calcio pur essendo scomparso cos¨¬ giovane. ? stato il giocatore pi¨´ forte e completo della storia del calcio italiano. Non era molto alto, un metro e settanta, ma sembrava un gigante: dominava il campo da un’area all’altra. Difendeva, creava, rifiniva, concludeva. Una volta nel 1947 a Vicenza segn¨° tre gol in tre minuti. Un leader carismatico, amato dai compagni e rispettato da tutti. Per raccontarlo voglio utilizzare le parole di un suo avversario, Giampiero Boniperti: “Se devo pensare al giocatore che nella storia ha inciso maggiormente sul gioco della sua squadra, a quello da ingaggiare assolutamente, non penso a Pel¨¦, a Di Stefano, a Cruijff, a Platini o Maradona: o meglio, penso anche a loro, ma solo dopo aver pensato a Valentino Mazzola”
Ha citato le parole di un grande simbolo juventino, vuol dire davvero che il Grande Torino ¨¨ stato, come molti sostengono, un po’ la squadra di tutti?
"Si, ¨¨ stato cos¨¬. E non solo perch¨¦ dieci undicesimi di quella squadra formidabile formavano anche la Nazionale azzurra (record mai pi¨´ avvicinato: Italia-Ungheria 3-2 dell’11 maggio 1947), ma per quello che il Grande Torino signific¨° nella storia dell’Italia appena uscita dalle macerie della guerra. Un Paese diviso, impoverito, a terra, con la necessit¨¤ di ripartire, ma ancora lontano da quel boom economico successivo che ne certific¨° il rilancio. Per quell’Italia il Grande Torino era un simbolo di forza, valori, qualit¨¤ che permettevano di tornare a credere nel futuro. Era l’ambasciatore di una rinascita, un motivo di orgoglio e vanto perch¨¦ si meritava il rispetto di tutti anche all’estero. Per questo Superga non fu solo una tragedia sportiva legata ai colori granata, ma un trauma collettivo che colp¨¬ tutto il Paese, da nord a sud: operai, borghesi e aristocratici, democristiani e comunisti, uomini e donne, vecchi e bambini. Raramente nella storia del Paese il cordoglio fu unanime come quello che accompagn¨° la scomparsa del Torino, salutato - raccontano le cronache - ai funerali da quasi un milione di persone. E ancora oggi non c’¨¨ una citt¨¤ italiana che non abbia intitolato uno dei suoi stadi, un centro sportivo, una palestra, una via o un parco a un giocatore di quel Grande Torino. Non fu solo una memorabile squadra di calcio, ma una vera eccellenza italiana, per questo ¨¨ ricordato ancora nel mondo, a distanza di 70 anni".
Si pu¨° paragonare quella squadra a qualcuna venuta dopo?
"Impossibile. Non ¨¨ paragonabile a nessuna. Per chi ne vide e raccont¨° le gesta ¨¨ stata forse la pi¨´ forte squadra mai esistita, pi¨´ della Honved di Puskas, del Santos di Pel¨¨, del Real Madrid di Di Stefano. Ma al di l¨¤ dell’aspetto sportivo, per ci¨° che ha rappresentato per un intero Paese in un delicato momento storico, fatico a trovare paragoni. E comunque a livello tecnico era un complesso di giocatori fenomenali, una Nazionale con la maglia di un club. Una orchestra perfetta, che creava musica senza la minima sbavatura. E di quella orchestra Valentino era il direttore. Bacigalupo / Ballarin, Maroso / Grezar, Rigamonti, Castigliano / Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola… Lo sente? Anche solo a recitare i nomi, con le pause, quella squadra era musica. I tifosi avversari aspettavano le partite contro il Torino per vederlo giocare. Facevano la fila, proprio come si fa per ammirare un’opera d’arte".
E allora chiuda gli occhi per un momento: si immagini presidente nel 1949, con abiti dell’epoca a bordo campo a vedere i suoi ragazzi allenarsi, al Filadelfia. Le passano accanto Bacigalupo e Mazzola, Ballarin e Ossola: la salutano… Che effetto le fa?
"Da brividi. Sono orgoglioso del nostro presente e impegnato per rendere ancora pi¨´ bello il nostro futuro, ma se ci fosse una macchina del tempo, mi piacerebbe essere il presidente di quel Toro anche solo per un giorno. Il presidente dell’epoca, Ferruccio Novo, era un imprenditore serio, concreto, titolare con il fratello di un’azienda di accessori in cuoio. Un uomo del fare. Aveva giocato nelle giovanili del Torino, poi ne fu consigliere, quindi presidente dal 1939, a lui si deve la costruzione del Mito. Lasci¨° nel 1953 con il dolore e il rimpianto di non essere riuscito in una operazione impossibile: ricostruire una squadra inimitabile. Personalmente, tra le cose che pi¨´ mi riempiono di orgoglio nella mia gestione, c’¨¨ l’aver riportato il Torino ad allenarsi al Filadelfia, in un moderno centro sportivo ricostruito assieme a tante persone di buona volont¨¤".
Il Grande Torino ¨¨ un libro senza fine, pieno di episodi straordinari passati alla storia.
"Dominava ovunque. Vinse 5 scudetti, uno prima della guerra e poi 4 volte consecutive dopo il conflitto. Detiene ancora, a distanza di 70 anni, record e primati. La vittoria casalinga con il pi¨´ alto punteggio nei campionati a girone unico (quindi dopo il 1929): 10-0 all’Alessandria, il 2 maggio 1948, esattamente un anno prima della partenza per la trasferta di Lisbona. E poi 125 gol realizzati nella stagione 1947-48, con una media di 3,1 reti segnate a partita, vincendo 19 partite su 20 in casa. Il Filadelfia non era uno stadio, era un fortino inespugnabile: quei campioni giocarono 100 partite consecutive senza mai perdere, con almeno un gol segnato in 76 gare di fila. Al Grande Torino spesso bastava un quarto d’ora per vincere la partita…".
Il famoso "quarto d’ora granata".
"Uno spettacolo nello spettacolo. Capitava che i calciatori si divertissero a regalare ai tifosi quindici minuti da sogno, magari anche dopo aver dato l’impressione di affrontare il match in maniera un po’ indolente. Poi, improvvisamente, scattava la magia. Dalla tribuna il tifoso Oreste Bolmida, di mestiere capostazione, dava tre squilli di tromba con la sua cornetta utilizzata per fare partire i treni e suonava la carica. In campo Valentino Mazzola, il capitano, simbolicamente si tirava su le maniche della maglia: era il segnale per i compagni che era ora di cambiare marcia. E iniziavano cos¨¬ quindici minuti di fuoco in cui la squadra segnava a raffica e chiudeva ogni partita, per poi rimettersi a gestire l’incontro anche per non umiliare gli avversari. Ma quel gesto di Valentino non nascondeva alcuna arroganza, rappresentava invece la forza di volont¨¤ di chi sa che i risultati si raggiungono solo rimboccandosi le maniche e dando tutto di se stessi".
Che ricordi ha del suo primo 4 maggio da presidente?
"Era il 2006, fu un anno di rinascita. Avevo preso la societ¨¤ fallita e riammessa in B con il Lodo Petrucci. Non c’era nulla, avevamo in fretta e furia messo in piedi la squadra anche con prestiti di cortesia. Grazie anche a un allenatore che si cal¨° perfettamente nella realt¨¤, De Biasi, disputammo un grande campionato trovando quella carica e quell’energia che solo la maglia granata sa regalare. In quel 4 maggio, mentre rincorrevamo la promozione, raggiunta poi ai playoff, sentii fortissima l’emozione della prima volta da presidente del Toro: la gente, l’affetto, l’unit¨¤ di intenti".
Era anche la prima volta che saliva a Superga?
"No, le racconto una cosa che credo di non aver mai rivelato. Prima di prendere il Torino, salii a Superga: da solo, l¨¬ sulla collina, mi convinsi ad assumere la responsabilit¨¤ di ricostruire questa societ¨¤ gloriosa. Ma di Superga sapevo gi¨¤ tutto da quando ero bambino. Dai racconti di mia madre, che mi dette l’altra spinta definitiva".
E che le ha trasmesso l’amore per il Torino…
"Era una grande tifosa. Parlava del Grande Torino e di Mazzola, il suo preferito, come se fossero componenti di famiglia. Mio nonno a Milano faceva il vigile, a volte andava a San Siro per servizio, cercava sempre di esserci quando giocava il Toro e portava con s¨¦ mia madre. Il giorno della tragedia mia mamma era da una sua amica, stava tornando a casa a piedi quando seppe dello schianto. Mi raccont¨° che pianse disperata durante tutto il tragitto. Non l’ho mai dimenticato".
Venerd¨¬ 3 maggio, il giorno prima delle celebrazioni per i 70 anni di Superga, ci sar¨¤ il derby.
"Una partita sentita, molto importante. La giocheremo con tutte le nostre forze. E il giorno successivo andremo a rendere omaggio ai nostri eroi, riavvolgendo il nastro della storia in quello che sar¨¤ sempre un giorno di dolore e di rinascita. La fine di una squadra epica e il compleanno di un amore che si rinnova e non finir¨¤ mai".
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