Se ne va l'uomo che ha cambiato il calcio. E che ha portato il Milan in cima al mondo
Una volta, ricevuto da Papa Karol Wojtyla, disse: “Santit¨¤, come lei porta in giro per il mondo il nome di Dio, io porto in giro per il mondo il nome del Milan”. E il Milan ¨¨ stato la sua missione, mescolando mistica e fede, business e intuizioni geniali, pallone e politica, bacheche stracolme di trofei (28 in tutto, tra cui 8 scudetti e 5 Coppa dei Campioni-Champions League) e tracce profonde nella storia del calcio.
Trentuno anni da padre-padrone del Milan, declinando un unico verbo: il suo. Se ne va Silvio Berlusconi e il nostro calcio perde l’uomo che - pi¨´ di tutti - l’ha cambiato, nei connotati e nell’anima, per mano sua e per successiva emulazione di altri, spesso incauti avventurieri, che poi hanno provato ad emularlo. Se ne va da proprietario del Monza, club comprato nel 2018 per l’affetto che lo legava ad Adriano Galliani - il suo scudiero, l’amico fidato, il dirigente che pi¨´ di tutti ne conosce i segreti - e portato con un doppio salto dalla C alla A, a un passo dalla utopistica qualificazione in Europa.
Quella stessa Europa che l’aveva visto Re incontrastato con il Milan. Perch¨¦ ¨¨ indubbio che la storia di Silvio Berlusconi - una storia italiana - sia indissolubilmente legata a quella del Milan.
Il suo Milan - padrone del mondo - lo ¨¨ stato per molto tempo. E fin da subito - era il 1986 e si era presentato all’Arena Civica di Milano scendendo dal cielo su un elicottero accompagnato dalla cavalcata delle Walkirie - fin da quando rilev¨° la societ¨¤ da Giussy Farina che aveva riparato in Africa e lasciato una societ¨¤ erosa dai debiti, fin da quando decise dopo pochi mesi che il vecchio Nils Liedholm era antiquariato e la squadra aveva bisogno di un profeta, un astronauta che andasse sulla Luna per piantare bandierine e diffondere il Verbo.
Fu il tempo d’oro di Arrigo Sacchi, il Milan degli olandesi, San Siro sempre strapieno, brulicante di una felicit¨¤ nuova, settantamila abbonamenti, lo scudetto al primo colpo, le due Coppe dei Campioni, la squadra pi¨´ copiata di tutti i tempi, pi¨´ dell’Olanda di Cruijff che aveva aperto orizzonti sconosciuti. Quel Milan. Gullit, Van Basten, Rijkaard.
E Maldini, Franco Baresi, Costacurta, Donadoni, Ancelotti. Il Milan di Sacchi non ¨¨ stata solo una squadra di calcio, ma un fenomeno di costume.
Milan, dunque. Trentuno anni da proprietario-presidente: dal 24 marzo 1986 al 13 aprile 2017, quando cedette il club al cinese Yonghong Li. Eppure: dicono che in giovent¨´ avesse avuto simpatie nerazzurre, e che qualche anno prima del Milan avesse provato la scalata all’Inter. Sandro Mazzola ha raccontato pi¨´ volte - da testimone oculare - di un tentativo di Berlusconi - ad inizio anni ‘80 - di comprare il club da Fraizzoli. Lui ha sempre negato. Milan, solo Milan.
Dopo Sacchi vennero Capello e Ancelotti, altri scudetti, altre Champions, altre coppe, nazionali e intercontinentali. Gli allenatori li ha talvolta inventati (Sacchi e Capello le due pi¨´ felici intuizioni), pi¨´ spesso sopportati. Da Liedholm a Montella, il primo e l’ultimo, escludendo un breve interregno Tassotti-Maldini (2001), Berlusconi al Milan ha avuto quattordici allenatori. Ha conquistato il mondo con Sacchi (1 scudetto, 2 coppe Campioni, 2 Intercontinentali), ha gestito il potere con Capello (4 scudetti, 1 Champions), ha festeggiato senza euforia gli scudetti di Zaccheroni e Allegri, nel mezzo ha goduto con Ancelotti (2 Champions, 1 scudetto), ha infine vissute stagioni di poca gloria con Tabarez, Terim, Seedorf, Inzaghi, Brocchi e Mihajlovic.
Berlusconi ¨¨ stato l’artefice della vera grande rivoluzione - sentimentale, filosofica, economica - del nostro calcio. A trattare, e pagare, i campioni come stelle di Hollywood, ¨¨ stato lui per primo. Da Donadoni, il primo colpo, soffiato (lesa maest¨¤) alla Juve di Agnelli, fino al primo Ibrahimovic rossonero, l’ultimo colpo di coda prima del declino, passando per Gullit e Van Basten, Boban e Savicevic, Papin e Weah, Sheva e Rui Costa, Nesta e Kak¨¤, Pato e Ronaldinho. Con lui i campioni del Milan a vincere il Pallone d’oro sono stati sette.
Gullit 1987; Van Basten 1988, 1989, 1992; Weah 1995; Shevchenko 2003; Kak¨¤ 2007. Oggi gli va riconosciuto il merito di una visione.
Ha avuto la forza - Berlusconi - di costruire una storia epica tra gol e consensi elettorali, sondaggi e pressing, senatori e campioni, tra Palazzo Chigi e San Siro.
Ha sempre avuto un rapporto da zio-amico con i suoi calciatori. Quando li incontrava - in corso di trattativa o con telecamere complici a favorirne la posa - spiegava che “Noi dobbiamo essere padroni del campo e comandare il giuoco”, proprio “giuoco” diceva con una civetteria che oggi fa tenerezza. A quelli del Monza - quando part¨¬ l’avventura - disse: “Voglio una squadra giovane e italiana. I calciatori non dovranno avere nessun tatuaggio, e non dovranno portare orgogliosamente orecchini vari. Voglio dei giocatori che saranno esempi di correttezza in campo”. E vabb¨¦. Ha sempre detestato le barbe, aveva chiarito che tutti sarebbero dovuti scendere in campo glabri e pettinati come bimbi per la Cresima. “C’¨¨ gi¨¤ un parrucchiere di Monza che ha detto che far¨¤ i capelli gratis”. Peccato che il primo acquisto di quel Monza, tale Simone Iocolano, avesse una capigliatura-afro anni 70 e fosse pieno di tatuaggi.
Certo, non sono mancate le cadute di stile. “Se vincete contro la Juve vi prometto un pullman pieno di tr***”. E ancora: vabb¨¦.
Il potere mediatico e sportivo del Milan di Berlusconi ¨¨ stato unico al mondo e - negli anni d’oro - paragonabile a nient’altro. Interveniva su tutto perch¨¦ - ne era testimone lui stesso - tutto sapeva di calcio. “Certo, ha allenato l’Edilnord”, sottolineava con velenosa ironia Nils Liedholm prima di venire scaricato, imponeva a Zaccheroni Boban trequartista, voleva una squadra con “due, tre, quattro attaccanti”, perch¨¦ “il nostro dovere ¨¨ solo vincere”.
E ancora: costringeva Balotelli ad accorciare la cresta, suggeriva ad uno sbalordito Ramaccioni di tagliarsi i baffi (ma il dirigente rifiut¨°), bruciava in partenza allenatori che non aveva scelto lui (“Tabarez chi? Il cantante di Sanremo”), per liquidare Allegri si appoggiava al dialetto veneto (“No el capisse un casso”), degradava Seedorf a badante: “A Cesano (dove lavorava per i servizi sociali, ndr) ho incontrato tante persone che potrebbero tenere in mano lo spogliatoio del Milan”.
Ci sono stati anni in cui disponeva di un potere infinito, che sconfinava persino in territorio azzurro. Comment¨° cos¨¬ la finale persa dall’Italia ad Euro 200, al golden gol contro la Francia. “Il c.t. Zoff ¨¨ stato indegno, si ¨¨ comportato come l’ultimo dei dilettanti. Non si pu¨° lasciare libero Zidane”.
La voce del padrone. Nel suo lungo percorso non sono mancate le zone d’ombra, in tutti questi anni: l’affaire Lentini, con i soldi in nero, il buio di Marsiglia, con Galliani che spegne le luci dello stadio nella notte della Champions, nella pi¨´ grottesca e penosa delle sceneggiate.
Nella sua visione manichea del mondo - i buoni, cio¨¨ lui, di qua, i cattivi, gli altri, di l¨¤ - Berlusconi da neo-presidente rossonero confessava: “Non capisco perch¨¦ a San Siro debbano venire anche i tifosi delle altre squadre togliendo il posto ai nostri”. O manifestava ingenuit¨¤, oppure aveva predetto tutto con trent’anni di anticipo.
Adorato come un dio pagano dal popolo rossonero, ammirato e invidiato dagli altri tifosi che non disponevano di un presidente con la sua generosa liquidit¨¤. Dall’inizio alla fine della sua avventura al Milan, dall’acquisto di Donadoni a quello di Lapadula, ¨¨ stato calcolato che abbia investito quasi 800 milioni di euro. Va detto: non si ¨¨ mai sottratto ai suoi doveri di fronte al Milan. All’ultima curva - alla fine della sua trentennale avventura - il “panem et circenses” non funzionava pi¨´, la curva os¨° persino contestarlo. Ma il ricordo stempera, oggi rimane la gloria. Berlusconi molto ha vinto e molto ha diviso. Ha fatto la storia del Milan.
Resta un fatto: pi¨´ di ogni altro presidente e pi¨´ dei trofei vinti, Berlusconi ha saputo costruire – attorno al suo Milan – una narrazione epocale, le premesse di un mito da tramandare, di padre in figlio, negli anni che verranno, da qui a quell’eternit¨¤ che nel calcio non finisce con il triplice fischio, perch¨¦ c’¨¨ sempre un’altra partita da giocare.
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