“Perché la sesta rotonda è la sua preferita, senor Bearzot? Senza Boniek, la Polonia era la squadra più umana del mondo. Voi eravate dei”.
“Proprio per questo, hombre. Dovevamo tornare uomini. Ti sembra impresa facile?”
“Non so. Non sono mai stato dio”.
“Mandi sotto terra la gente. Ci sei vicino. Se solo impari a farli spuntare da un’altra parte, è fatta”.
Il Vecio ha piegato la giacca e ci ha appoggiato sopra il sacchetto di plastica con le quattro biovine. Cisco guarda il mare piatto con un malinconico senso di solidarietà. Gli sembra che abbia scaricato a riva troppo in fretta tutte le sue onde.
“Sai quando ho cominciato a spaventarmi? Quando sono entrato in conferenza stampa dopo il Brasile”.
“Che cosa è successo?”, chiede Cisco.
“I giornalisti si sono alzati in piedi e hanno cominciato ad applaudire. Avevano già cominciato a caricare i moschetti di melassa. Brutta storia, ho pensato subito, domani i miei ragazzi si ubriacheranno d’incenso. Mi spaventava anche la faccia di Gentile: si era tagliato i baffi per un voto, sembrava tornato un candido raccoglitore di margherite. E comunque Gentile era squalificato. Per la prima volta ci mancava la carica degli insulti e degli insultati. E poi lo Shuttle”.
“Cosa c’entra lo Shuttle, senor Bearzot?”
“Era atterrato in California il 4 luglio luglio. Un tempo gli astronauti cascavano nell’oceano come cagate di gabbiano, adesso li vedevamo atterrare in pista belli e puliti come angeli. Logico che poi un uomo si senta un dio. I miei ragazzi avevano mandato a casa Maradona e Zico, addirittura. Come gli spiego che il piccolo Buncol era un pericolo anora maggiore? Avessi avuto ancora l’aiuto dei giornalisti che ci chiamavano ratti, ladri, maricones… Invece si erano messi a sparare melassa. Brutta storia. Mi daranno una mano i miei dirigenti, ho pensato. E’ il loro mestiere. Contavo soprattutto sul barese, quello che a Vigo ci avrebbe presi tutti a calci nel sedere. Finita la partita col Brasile, è entrato in spogliatoio e Gentile ha aperto la finestra arricciando il naso: “Sento puzza di merda…” Tardelli ha fatto volare gli zoccoli. Almeno il barese avrebbe dovuto risparmiarci la melassa. Ci contavo. Invece apro il giornale e leggo: “Matarrese: ‘Abbiamo già vinto il Mondiale. Essere nei primi quattro è un grande risultato’”. Ah, bene. Bel modo di evitare il rilassamento… Grazie tante. Come glielo spiego adesso che il piccolo Buncol è un gigante? Enzo, chiama a raccolta Quintiliano, Cicerone, Catone e tutti i tuoi classici. Qui ci vuole una catilinaria, parole calde e forti per riportare a terra i tuoi uomini”.
“Gli azzurri erano diventati dei, ma la Polonia era pur sempre la squadra del Papa”.
“Non solo, Cisco. Il caldo era aumentato. Ci sentivamo in paradiso, ma al Camp Nou avremmo trovato l’inferno e probabilmente non avrei avuto Collovati, stopper del Diavolo allenato al torrido, e Tardelli, il coyote che urlava in faccia al demonio”.
“E così ha aperto di nuovo il libro di Quintiliano.”
“No. Una sera ho visto Gheddafi che dava consigli a Bergomi in un angolo del bar del “Castillo” e ho capito non ce n’era bisogno. Quella sera Boniek era alla discoteca “Up and down” di Barcellona in compagnia della bella Elisabeth, interprete della nazionale polacca. Spiegava ai giornalisti: ”Tanto io non gioco. Pensavo di trovare qui anche Gentile, squalificato come me”. No, Gentile era al bar a dare buoni consigli al ragazzino che doveva sostituirlo. Roba da uomini. Un dio basta a se stesso, non ha bisogno di consigli. Infatti la Polonia l’abbiamo battuta senza miracoli, con un lavoro da impiegati del lunedì che si danno da fare dopo una bella domenica. In una ventina di minuti abbiamo sbrigato la pratica. Non per rabbia, rivincita o chissà cosa. Semplicemente per senso del dovere. Una vittoria da uomini al lavoro. Per questo, se ho poco tempo per la passeggiata, e devo scegliere una sola rotonda, mi siedo alla sesta”.
“Ancora Pablito”.
“I suoi due gol spiegano tutto”.
“Mi aiuti, senor Bearzot”.
“Il primo rasoterra, il secondo in ginocchio. Nessun volo da Shuttle. Grande umiltà, grande devozione. Giovanni Paolo II aveva annunciato che avrebbe visto soltanto il secondo tempo alla televisione. Nel secondo tempo Rossi si è messo in ginocchio. L’umiltà non la impari a scuola. Vittorio, il padre di Paolo, aveva seguito Italia-Brasile alla radio, in fabbrica. Era troppo emozionato e l’accendeva ogni tanto. Si è accorto dei gol di suo figlio dalle urla dei colleghi di reparto. Quello dei nostri che più sembrava un dio, dopo il Brasile, era figlio di un brav’uomo. Potevo stare tranquillo. Lavorava in una fabbrica di tessuti. Prato è la capitale degli stracci. Quando scrivevano che era ridotto a uno straccio, Pablito mica si offendeva. Era il primo a sapere che tanta gente con gli stracci ci campa”.