Il rigore perfetto: Champions 2003, Milan in trionfo con la freddezza di Shevchenko
“E allora? Che cosa c’¨¨ da aspettare? Sono anni che aspetto questo momento. Da quando sono arrivato al Milan e anche prima. Lo sogno da quando ho fatto gol al Barcellona e al Real Madrid, da quando ho respirato l’aria dei grandi stadi. Forse lo sogno da quando Lobanovski mi ha fatto perdere la festa di matrimonio di mia sorella perch¨¦ dovevo stare in ritiro visto che si giocava il giorno dopo. Lo sogno da quando ero bambino e ci portavano via sul Mar Nero, lontano dall’aria mefitica di un disastro nucleare. Non ho voglia di aspettare. Non sono il tipo che si emoziona. Ora tiro”. Tutto questo e molto altro deve essere passato nella testa di Andriy Shevchenko quella sera di maggio del 2003. Old Trafford, fino all’ultimo rigore. Di l¨¤ c’era la Juve, di qua la Champions League da agguantare. Un lungo attimo di attesa fotografato in uno sguardo che ¨¨ diventato iconico per i tifosi del Milan e non soltanto. Tutta l’emozione di una partita un po’ noiosa concentrata l¨¬, nell’impazienza di un ragazzo predestinato, baciato dal talento ma capace anche di lavorare sodo per costruire il successo.
L’attesa
¡ªData: 28 maggio 2003, pi¨´ o meno ore 23. Luogo: Manchester, Old Trafford, detto il teatro dei sogni, e quella sera custodiva tutti i desideri di due squadre italiane impegnate in una finale storica. Mai due italiane si erano trovate in finale prima di allora e non ¨¨ pi¨´ successo dopo. Era uno dei momenti migliori per i club di Serie A, visto che al penultimo atto europeo era arrivata anche l’Inter. Ed era stato proprio Shevchenko a trascinare i rossoneri in finale con un gol pesantissimo: 0-0 all’andata a casa Milan, 1-1 al ritorno a casa Inter. Emozioni fino alla fine, parate decisive, il fattore campo alla fine premia la squadra di Ancelotti. La strada per Manchester ¨¨ tracciata, il match point si profila all’orizzonte, perch¨¦ ¨¨ dall’inizio della stagione che il Milan vive di segni del destino, da quando Sheva, infortunato e ingabbiato in un tutore dopo un’operazione al ginocchio, deve stare ad aspettare il risultato della partita di ritorno con lo Slovan Liberec per sapere se potr¨¤ giocare la Champions. ? un turno preliminare che il Milan passa a fatica, 1-0 a San Siro, 2-1 al ritorno per i cechi. Il fischio finale ¨¨ una liberazione, il Milan pu¨° tornare a correre nella coppa pi¨´ importante. Pochi giorni dopo, Alessandro Nesta va a completare uno squadrone zeppo di talenti. Una squadra che aveva passato anni di peripezie che sono nulla rispetto a quanto ¨¨ accaduto negli ultimi tempi, ma allora vedere il Milan lontano dal top dell’Europa era una cosa strana. E la ricostruzione parte proprio alla fine del secolo. 1999, anno del centenario rossonero. Shevchenko sbuca dall’aeroporto di Malpensa un po’ a sorpresa, perch¨¦ ¨¨ giugno e tecnicamente il suo cammino nel Milan deve ancora cominciare. Ariedo Braida e Adriano Galliani hanno bruciato i grandi club europei, ma quanta fatica. La seconda vita calcistica di Andriy dopo gli anni di Kiev comincia cos¨¬, come una spy story, fra depistaggi e alberghi blindati. Sheva ¨¨ il tesoro della Dinamo e il presidente Surkis, uomo potentissimo, finch¨¦ pu¨° lo nasconde al mondo, ma dopo tre gol segnati al Camp Nou fatica a riuscirci. Le proposte dei grandi club si intrecciano, Lobanovski blinda il suo pupillo, intervistarlo, chiedergli che cosa pensa del futuro ¨¨ impossibile. In Italia ancora guardano con scetticismo a quel biondino che s¨¬, ¨¨ bravo ma non ¨¨ una stella. “A che cosa serve avere una stella che non lavora? Shevchenko ¨¨ utilissimo alla squadra anche se non fa gol”. Parola del Colonnello, dell’uomo severo che ha posto le basi del successo di Sheva. Un padre calcistico. Non a caso quando Lobanovski ¨¨ morto Andriy, appena atterrato negli Stati Uniti per aggregarsi al Milan in tourn¨¦e estiva, richiude la valigia e torna a Kiev per i funerali.
Faccia pulita
¡ªIl legame con quell’uomo burbero, inventore di un calcio che non tutti apprezzano, ¨¨ intenso, ma intensa anche la voglia di buttarsi in acque pi¨´ profonde di quelle ucraine. Sheva ha visto l’Italia da ragazzo, ¨¨ stato al sud per un torneo amichevole. Spesso dir¨¤ nelle interviste che forse era un segno del destino anche quello. E quando arriva a Milano nel giugno afoso sa di avere tutto da imparare sulla Serie A. Comincia dall’italiano, del quale non conosce una parola. Arriva accompagnato da Rezo Chokhonelidze, che sar¨¤ il suo tutor per molto tempo. Rezo parla italiano con un accento da film di James Bond, ¨¨ sempre con lui, traduce le sue prime interviste, la primissima concessa sulla terrazza di un grande albergo del centro di Milano. Sheva ha gli occhi aperti anzi spalancati su una situazione del tutto nuova, impara in fretta e fa breccia nel cuore dei tifosi. Non soltanto di quelli rossoneri, perch¨¦ con quella faccia pulita piace a tutti: la sua gentilezza ¨¨ naturale, in campo ¨¨ correttissimo. All’Inter comanda Ronaldo e i tifosi rossoneri inventano subito un coro. “Non ¨¨ brasiliano, per¨° che gol che fa”. Andriy vince la classifica dei cannonieri al primo tentativo. Ma non si accontenta, non si ferma, i gol al Camp Nou restano nella memoria, l’Europa ¨¨ la sua casa. E la stagione 2002, con tanti campioni ormai maturi al punto giusto, sembra l’ideale per prendersi un trofeo oltre a lasciare un segno. Invece comincia male, con un infortunio. La via al match point pi¨´ bello non ¨¨ mai lineare n¨¦ scontata. Il padre militare, le torte della madre, il legame forte con la terra, le bandiere dell’Ucraina che compaiono sempre pi¨´ numerose a San Siro. C’¨¨ tutto questo sulla strada che porta all’atto finale nel teatro dei sogni. A quel rigore calciato con impazienza, quando il numero sette del Milan diventa leggenda. “C’¨¨ una bella storia sulla mia maglia. Ricordo che arriv¨° Ibrahim Ba e mi disse “Se vuoi ti lascio questo numero”. Io ringraziai, era perfetto. Due giorni dopo mi chiam¨° un amico d’infanzia. “Sai che in lingua ebraica 7 si dice sheva?”. Aggiunse che mi avrebbe portato fortuna. Ed ¨¨ successo questo”.
L’epilogo
¡ª28 maggio 2003, ore 23 circa. Dopo una vigilia agitata e una partita sterile ecco il match point pi¨´ crudele del calcio, i rigori. Con Buffon e Dida in porta e tanti campioni preoccupati. Trezeguet, parato. Serginho, gol. Birindelli, gol. Seedorf, parato. Zalayeta, parato. Kaladze, parato. Montero, parato. Nesta, gol. ?Non avevo mai tirato un rigore in vita mia?, scherzer¨¤ poi il difensore. Del Piero, gol. ?E ora tocca a me. Posso??. Puoi, Sheva. Prenditi la coppa. La aspetti da sempre.
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