La rivincita della piccola-media impresa. Terza giornata di campionato, in vetrina cinque squadre di seconda o terza fascia. Atalanta, Bologna, Fiorentina e Sampdoria hanno vinto; il Genoa ha perso, ma per un’ora abbondante ha messo alle corde la Juve campione. Tutti italiani i loro allenatori. Del resto sulle panchine della Serie A vige l’autarchia e non da quest’anno: oggi i tecnici stranieri sono appena due su 18, Vladimir Petkovic alla Lazio e Zdenek Zeman alla Roma, e il Boemo è forestiero per modo di dire visto che vive nel nostro Paese dal 1968. L’ultimo problema del nostro calcio sono gli allenatori. La "Fabbrica Coverciano" funziona.

Il realismo di Colantuono — Costretto a partire un’altra volta con la zavorra della penalizzazione, sabato sera Stefano Colantuono si è presentato a casa Milan con un’Atalanta realista, "provinciale", per dirla con l’espressione che ha fatto girare le scatole a Stramaccioni. Non c’è niente di cui vergognarsi, le battaglie si vincono con i soldati e le armi che si hanno. Il "Cola" ha alzato due muri, due linee da quattro uomini, ha chiesto al trequartista Bonaventura il lavoro sporco su De Jong e ha lasciato a Denis il compito di tenere occupati i centrali difensivi avversari. Il Milan non ha trovato la combinazione per aprire la cassaforte. E l’Atalanta con un’azione congegnata bene si è presa i tre punti. Calcio all’italiana, ma aggiornato, versione 2.0.

Gli aggiustamenti di Pioli — Non c’è partita in cui una squadra allenata da Zdenek Zeman non sia vittima di un vuoto d’aria. L’amnesia può durare molto o poco, l’avversario è bravo se la fiuta, se la riconosce e ne approfitta. Domenica all’Olimpico la Roma, sul 2-0 a favore, è entrata in paranoia a metà della ripresa. Blackout agevolato dai cambi del Boemo, che hanno scombinato la Roma, specie sul fianco sinistro. Pioli è stato bravo a infilarsi nel buco nero zemaniano. Ribaltone preparato con abilità. All’intervallo l’allenatore del Bologna aveva cambiato due centrocampisti (Pazienza per Perez; Pulzetti per Guarente), in corso d’opera ha chiesto a Diamanti di scivolare sulla trequarti, da seconda punta che era. Artigianato di precisione, cura del dettaglio.

Montella alla catalana — Non diteglielo, altrimenti si arrabbia o vi prende per pazzi, però non c’è dubbio che il calcio di Vincenzo Montella abbia il Barcellona come modello di riferimento. Non è un caso che la sua Fiorentina giochi col doppio regista, Borja Valero più Pizarro, due tipi che sanno come far circolare il pallone. Lo spagnolo e il cileno non sono paragonabili a Xavi e Iniesta, la coppia al governo nella stanza dei bottoni del Barça. Il "concept" viola assomiglia però a quello blaugrana: possesso palla, tagli, inserimenti. Contro il Catania, Borja Valero e Pizarro si sono mossi sulla stessa mattonella, fin quasi a formare un solo giocatore, il "PizaValero". Non lo diciamo noi, lo dimostra la radiografia delle posizioni medie in campo tratta dal "match studio" della partita. Fiorentina alla barcellonese (e Jovetic sarebbe degna spalla di Messi).

Il senso di Ciro per i risultati — Alla sua prima esperienza da allenatore-capo Ciro Ferrara si scottò di brutto. Accadde alla Juventus, tra il 2009 e il 2010. Da allora non ha più sbagliato un colpo, prima come selezionatore dell’Under 21 e oggi nelle vesti di tecnico della Samp ritornata in Serie A. Marcello Lippi, il suo maestro, deve avergli spiegato che i risultati sono certezze e che il resto è opinabile. A Pescara non si è vista una bella Samp, però i tre punti sono arrivati lo stesso, grazie alle punture di Maxi Lopez e a un centrocampo abile a passare a cinque nella fase di non possesso palla, con gli esterni lesti ad abbassarsi, per un 4-5-1 di fatto. Calcio alla genovese, il pragmatismo come linea guida.

De Canio e la bella sconfitta — Agli antipodi della Samp "ferrarista" sta il Genoa di Gigi De Canio. Rossoblù a viso aperto e con coraggio contro la Juve, ma alla fine in mano non è rimasto niente. Doppio centravanti, Borriello più Immobile, roba che al Genoa non si vide neppure con l’ultra-offensivista Gasperini. Per un’ora rossoblù padroni della scena, vista di rado una Juve "contiana" così in difficoltà. Come pegno una lunga sequenza di gol mancati. Inevitabile finire preda del detto più popolare che ci sia: chi sbaglia paga. Calcio per niente alla genovese e per molto alla genoana. Un pomeriggio da grifoni.