Rudi Garcia, 49 anni. LaPresse

In uno dei momenti più scuri della sua storia, quando si ritrovava schiacciato dal clamore galattico dei rivali di sempre, il Barcellona si era messo a cercare un nuovo allenatore. Serviva uno in gamba, capace almeno di scheggiare l’egemonia imposta dagli assi del Real. Uno come Guus Hiddink sembrava perfetto: peccato che il maestro olandese dica no, grazie. Assalto a Ronald Koeman, allora, all’epoca in decollo verticale: ma l’Ajax non lo molla. Come terza scelta, alla fine, arriva Frank Rijkaard. In poco tempo l’ex asso del Milan costruisce le basi del miglior Barça di sempre, diventa un idolo del Camp Nou, mette sotto i tacchi i rivali di sempre, vince un paio di campionati, supercoppe, e persino la Champions. Anche Rudi Garcia, nella Roma è stato una terza scelta. A Trigoria inseguivano un nome alto da spendere, un tecnico come Laurent Blanc, già selezionatore della Francia e destinato a guidare grandi squadre: difatti è al Psg. C’era la chance Allegri, simpatico tormentone, che adesso sembra distante anni luce. Il tira e molla, risolto ad Arcore con la conferma del tecnico sulla panca rossonera, aveva aperto un buco nero nel futuro del club giallorosso, alle prese con una delle estati più tristi della sua storia recente. Davanti a un Garcia che vince più di Mourinho e parla come il papa Bergoglio, è elementare pensare che quel no di Allegri sia stato una vera benedizione. Quasi un vulnus da vendicare che si aggiunge alla spinta enorme, alla fame di rivincita seguita alla tremenda sconfitta nella finale di Coppa Italia con la Lazio.

"rudi chi?" — "Rudi chi?" si chiedeva il popolo giallorosso piuttosto inferocito e abbastanza disincantato davanti a un tecnico che sembrava arrivare a Roma per fare il curatore fallimentare di un netto ridimensionamento. Via i big, Lamela, Marquinhos, Osvaldo gente di prospettiva che fa entrare tanti soldi e porte aperte a vecchie glorie tipo Maicon o De Sanctis, nomi da classe media (Benatia, Gervinho, Ljiaic), e una mezza certezza (Strootman). Già, "Rudi chi?". Il cognome Garcia richiamava a molti qualche assonanza con Zorro, piuttosto che la faccia di un tecnico inserito nella lista dei dieci migliori allenatori al mondo nel 2011. Tipo uno Chateau Margaux in una selezione di Wine Spectator, roba da intenditori. l 2011 è stato l’anno della consacrazione di Rudi Garcia, capace di riportare il Lilla al titolo di campione francese, che mancava da più di mezzo secolo, pochi giorni dopo aver conquistato la coppa di Francia contro il Psg. Adesso, a Roma, il record delle 10 vittorie amplifica il tormentone di Garcia non più sergente ma mago, nei tweet si cinguettano i paragoni con Chuck Norris, l’attore ultrasettantenne, specializzato in arti marziali, oggetto sui social e su internet di notizie esagerate, incredibili e un po’ goliardiche. E’ difficile pensare che Garcia possa davvero far perdere i capelli ad Antonio Conte, ma certo è che il francese ha rimesso la chiesa al centro del villaggio, come ama ripetere, di proverbio in proverbio. C’è una forte continuità nella storia di questo allenatore che si chiama come un ciclista tedesco e vuole che tutti i giocatori parlino in italiano perché – da buon figlio di emigrati dalla Spagna – conosce bene il valore dell’integrazione. Il suo Lilla sta alla Roma come la lucertola al coccodrillo, il tipo di calcio è quello e Gervinho è lo stesso giocatore che con 14 gol l’aveva trascinato sul trono di Francia. Un rapido recupero di Totti non può che agevolare l’impresa bis, ma giocarsela con la Juve e questo Napoli è già grasso che cola. Rafa Benitez è un modello per Garcia, gli ha fatto da guru ai tempi del Valencia. Spesso si sentono. E chissà cosa si dicono, adesso, che l’allievo ha battuto il maestro e va avanti sprintando tra record e magheggi.