Serie-A
Basket
Basket, il derby di Bariviera: “Milano il sogno, Cant¨´ la mia rivincita”
Quell’ala magra e nervosa, specialista del semigancio, che al Mondiale 1970 regal¨° all’Italia la prima storica vittoria sugli Usa, oggi ¨¨ un signore di 70 anni con molti successi da dividere tra Milano e Cant¨´, i club coi quali ha conquistato tutti i 14 titoli del suo palmares. Dalla campagna di Conegliano dove risiede (?qui sto benissimo, tra prosecco e asparagi doc?), Renzo Bariviera ¨¨ il simbolo della sfida che domenica accender¨¤ il Forum. ?Sono tornato in Veneto, nella mia terra, non per fare il pensionato — sorride Barabba, il soprannome che gli affibbi¨° Cesare Rubini perch¨¦ non riusciva a pronunciarne il cognome —. Mi occupo di marketing sportivo e faccio parte di un progetto Fip chiamato “easy basket in classe” con Gek Galanda e Cecilia Zandalasini: insegniamo agli insegnanti delle scuole inferiori come promuovere la pallacanestro tra gli studenti e le loro famiglie?.
Parlando di Milano-Cant¨´. i ricordi s’intrecciano e sgorgano spontanei. ?Sono tanti, molti hanno accompagnato la mia carriera. Parto da Milano. Avevo 19 anni quando arrivai da Padova dove il mio coach era il mitico Aza Nikolic, col quale mi allenavo due volte al giorno tutti i giorni senza un orario preciso. Quelli dell’Ignis, parlo di Meneghin, Zanatta, Ossola, conoscono bene i carichi di lavoro a cui ci sottoponeva l’allenatore serbo. Pensavo che all’Olimpia avrei dovuto sgobbare di pi¨´. Invece fu come bere un bicchiere d’acqua: ci allenavamo solo tre volte alla settimana. Non ci volevo credere. A Milano sono stato in due periodi diversi: nel primo per sei anni. Poi dopo le esperienze a Forl¨¬, Gira Bologna e appunto Cant¨´, tornai per un altro triennio. Allora c’era Peterson. Grandissimo personaggio. Lo avessi incontrato prima sarei diventato un altro giocatore, sicuramente pi¨´ forte?. Nella prima Olimpia non furono propriamente rose e fiori. ?Infatti. Non ebbi mai la sensazione di essere visto bene — continua Bariviera —. Il problema era il club, che in quegli anni non sapeva valorizzare i propri giocatori. C’erano campioni come Jellini, Brumatti, Cerioni, Masini. Tutti ceduti, compreso il sottoscritto, uno dopo l’altro. Giocammo tre spareggi contro la grande Ignis, la pi¨´ forte squadra europea in quel tempo vincendo uno scudetto, eppure eravamo sottovalutati dalla nostra stessa propriet¨¤. Milano mi mand¨° in giro come un pacco postale. Dopo Forl¨¬ e Gira Bologna arrivai a Cant¨´. Ma, sono sincero, speravo di finire a Varese?.
Bariviera in Brianza ha vissuto la sua secondo giovinezza: ?Mi sono trovato benissimo. Grande societ¨¤, la migliore per strutture ed organizzazione. Nello staff medico c’era pure il chiropratico, uno specialista quasi sconosciuto negli Anni 80. A Cant¨´, con l’ultimo Taurisano, ho giocato nella squadra pi¨´ forte tra tutte quelle che ho frequentato. Non vincemmo lo scudetto al mio primo anno perch¨¦ gli americani Neumann e Batton erano completamenti fuori dal contesto dell’ambiente, basato sul concetto di squadra-famiglia voluto da Aldo Allievi. Anch’io all’inizio ero scettico su come mi sarei ambientato a Cant¨´: mi sentivo una persona esuberante tra tanti chierichetti. Poi arriv¨° coach Bianchini, un genio della gestione e della psicologia, che port¨° dentro al club una mentalit¨¤ diversa. Con lui arrivarono i due trionfi in Coppa Campioni. Considero quel periodo come la mia rivincita personale e professionale?. Il secondo successo arriv¨° contro Milano nella finale di Grenoble, ancora oggi molto discussa per un fallo (non visto) di Barabba su Gallinari nel possesso decisivo. ?Confermo tutto. Quella sconfitta all’Olimpia non l’hanno ancora digerita. Gallo senior prese il rimbalzo d’attacco, si chin¨° per risalire in mezzo ad una selva di braccia e mani. Io lo trattenni leggermente per un gomito, quel tanto per sbilanciarlo e lui non riusc¨¬ a tirare. Come ha dichiarato recentemente lo stesso Gallinari, feci proprio una furbata?. La parabola di un campione atipico si ¨¨ conclusa a Milano con l’appendice a Desio. ?Probabilmente era nel mio destino. Peterson mi prese per fare 10-15’ di qualit¨¤, alla fine della prima stagione giocai pi¨´ di Meneghin. Molti ricordano i miei due tiri liberi falliti in gara-3 nella finale scudetto vinta dalla Virtus, ma pochi ricordano che Dino non gioc¨° quella partita per squalifica. Per concludere, gli scudetti arrivarono nei due anni successivi. Milano alla fine ¨¨ stato il sogno di un ragazzo di provincia che si ¨¨ realizzato nella grande metropoli?. Oggi ¨¨ un altro basket, i due club sono molto distanti. ?Vedo per¨° che Cant¨´, tanto bistrattata, ha formato un gruppo di giocatori coeso. Milano ha grande potenzialit¨¤, ma cambia troppi giocatori. Con le risorse che ha potrebbe programmare meglio per avere pi¨´ continuit¨¤ ad altissimo livello?.
© RIPRODUZIONE RISERVATA