Un giorno in palestra col coach-mito di Torino. “Il messaggio pi¨´ importante? Insegno a essere una squadra. Voglio che la gente venga a vederci perch¨¦ giochiamo duro e insieme”. Giocatori in adorazione. Poeta: ?? qui per mettersi in discussione?
Lo Sport Club di Venaria Reale, incastrato tra i palazzi alla periferia nord di Torino, ¨¨ l’ultimo posto in cui ti aspetteresti di trovare un Hall of Famer. La palestra ¨¨ piccolina, i bambini imparano a giocare a calcetto nei campi subito fuori, poi si intrufolano curiosi a vedere i ?grandi? che giocano a basket. A Larry Brown l’Italia, e la sua nuova avventura da head coach di Torino, piace anche per questo. A quasi 78 anni, dopo due senza panchina (“Sono stati terribili” confessa), il leggendario head coach si ¨¨ tuffato con entusiasmo nella prima avventura in quel basket europeo che tanto ama. E con un’energia inattesa. Brown ¨¨ gi¨¤ una leggenda, comunque finisca con Torino. Eppure ha deciso di rimettersi in gioco. “Non mi mancavano le partite ma gli allenamenti : l’odore della palestra, essere accanto ai giocatori” confessa dopo due ore intense di lezione con la sua Auxilium.
la lezioneBrown non sta seduto un attimo. Torino non ha ingaggiato un monumento solo per il suo nome, una figurina che poi lascia ad altri il compito di fare il lavoro. Ha preso un coach perennemente innamorato del basket che ha voglia di mettersi in discussione. “Voglio insegnare tutto quello che ho imparato, condividerlo con gli altri perch¨¦ voglio aiutare questo gioco a crescere — racconta —. I nostri allenamenti saranno aperti: ai bambini, agli altri coach, a tutti”. Una seduta con lui ¨¨ un corso intensivo all’universit¨¤ del basket, tenuto da un professore che ha fatto la storia e che ha ancora tanta voglia di spiegare. “Ogni allenamento ¨¨ un clinic — racconta Peppe Poeta, capitano di Torino —. Gli piace interrompere per correggerci (“si chiama allenare” spiega poi Brown, ndr), non d¨¤ nulla per scontato. E’ un insegnante a tutti gli effetti”. Coach Brown ripassa la lezione con i suoi assistenti ben prima che i giocatori comincino ad ascoltarlo. Cura ogni dettaglio: come si porta un blocco, come si difende, il posizionamento, gli schemi offensivi e difensivi da ripetere fino alla perfezione, ¨¨ attento persino a come viene lasciata la palestra dopo l’allenamento (“Deve essere pi¨´ pulita di come l’abbiamo lasciata” dice ad un assistente invitandolo a raccogliere le bottigliette d’acqua vuote lasciate dai giocatori). Brown interrompe spesso: non gli sfugge nulla, dal pi¨´ piccolo movimento all’errore di piazzamento. “Non puoi sempre sottolineare le cose sbagliate, ma nemmeno permettere che un tuo giocatore faccia errori. Se penso che qualcuno stia facendo qualcosa di sbagliato o che non gli ¨¨ stato chiesto, voglio correggerlo. E assicurarmi che tutta la squadra ascolti, perch¨¦ tutti devono imparare qualcosa. Quando fanno qualcosa bene, o quando fanno qualcosa che hai chiesto loro di fare, ¨¨ altrettanto importante farglielo sapere, ricompensarli, lodarli”.
maestro e allievoPoeta spiega: “Ha carisma e personalit¨¤ importantissimi e cammina con un’aura attorno. Allo stesso tempo ¨¨ alla mano e vuole ascoltare ed ¨¨ sempre disponibile al dialogo. Il suo ¨¨ un modo di allenare e di intendere il basket completamente diverso da quello cui siamo abituati”. Brown per¨° non si sente un professore: ripete che sta imparando ancora, anche qui in Italia, come ha imparato dai suoi maestri e dai suoi allievi (Bill Self, John Calipari, Gregg Popovich, Doc Rivers e tanti altri) che gli hanno permesso di osservare il loro lavoro quando era lontano dal campo. “E’ qui per mettersi in discussione — racconta Poeta —: la prima cosa che mi ha detto ¨¨ stata che qui il rookie ¨¨ lui e che dovevo dargli una mano. Mi ha emozionato”. “Sto imparando da tutti — rilancia Brown —: da Peppe, da Marco Cusin, da Carlos Delfino, dai miei assistenti a cominciare da Dante Calabria che ha giocato qui 12 anni. Sono in una situazione unica, in gruppo con veterani e giovani: imparo dai vecchi e insegno ai nuovi”. Proprio Delfino, di cui Brown ¨¨ stato il maestro nel 2004-05, all’inizio della carriera Nba dell’argentino, ¨¨ con Poeta uno degli uomini chiave per quello che il coach ha in mente: “Voglio che Carlos trasmetta al gruppo tutte le cose incredibili che ha fatto con l’Argentina: lui, Poeta e Cusin non insegnano solo a me, ma anche agli altri. Carlos poi pu¨° spiegare ai giocatori che dovessero stancarsi di me la mia personalit¨¤, spiegare loro che mi importa ancora quello che faccio. Lui sa bene come sono”.
il credo di brownIl professor Brown ¨¨ partito dalle basi ma vuole forgiare una squadra, che costruita a sua immagine somiglianza riparta dalla Coppa Italia vinta lo scorso anno per crescere. “La cosa pi¨´ importante che sto insegnando ¨¨ a giocare come una squadra. Sulla lavagna scrivo sempre: giocare duro, intelligente, insieme e divertirsi. Coach Smith mi permette anche di aggiungere che sarebbe bello se difendessimo e prendessimo pure dei rimbalzi. Questo ¨¨ il mio messaggio: se giochi duro e in maniera altruista avrai una chance per vincere; se non lo fai, se non difendi o non prendi un rimbalzo, qualche tuo compagno sar¨¤ nei guai per colpa tua, perch¨¦ tu non ti sei impegnato. Il nostro record non mi interessa: per me la stagione avr¨¤ successo se sapr¨° che la gente vuole venire a vederci perch¨¦ giochiamo duro e di squadra, perch¨¦ mostriamo emozioni e ci preoccupiamo gli uni degli altri. Ho rispetto per i nostri avversari, ma se i giocatori saranno sani (al momento la lista infortunati ¨¨ lunghissima) e avremo tempo di lavorare insieme staremo bene”. E’ la lezione pi¨´ importante, quella che il professor Brown vuole che la sua squadra sappia a memoria. Si concede una pausa solo dopo due ore di lezione intensa, si siede e ascolta i pareri dei suoi assistenti su quello che ¨¨ appena successo in campo. Il professor Brown ha finito di spiegare. Ora ascolta per migliorare ancora. Anche per questo ¨¨ una leggenda.
Davide Chinellato
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