L'editoriale del direttore della Gazzetta dello Sport, Andrea Monti, sulla scomparsa di Sergio Marchionne
Sergio Marchionne e John Elkann. Ansa
Il lungo addio di Sergio Marchionne lascia un vuoto in cui echeggiano il cordoglio per l’uomo in maglione nero, ruvido e sublime, alla fine irrefrenabilmente simpatico, e il rimpianto per le sue capacit¨¤, per ci¨° che avrebbe potuto essere ancora e fatalmente non sar¨¤ pi¨´. Un grande vuoto, dunque, ma non una voragine.
A 66 anni, dopo un’agonia improvvisa e straziante, se ne va il protagonista assoluto di una stagione in cui il capitalismo italiano ha abbracciato, spesso strascicando i piedi, la sfida della globalizzazione. La sua parabola, iniziata nel 2004 riacchiappando la Fiat dall’orlo del baratro, si chiude con una coincidenza spettacolare, una sorta di arcobaleno del destino, proprio nel giorno in cui Fca annuncia l’azzeramento del debito e una semestrale positiva, nonostante il gran tonfo in Borsa: 2 miliardi di utile al netto degli oneri straordinari. Uno scintillio, lo ripeteva in ogni occasione, che non deve abbagliare: l’evoluzione contorta e impetuosa del mercato dell’auto pone il gruppo di fronte a scelte strategiche se possibile ancor pi¨´ complesse e rischiose che in passato.
Ad allineare i numeri che costituiscono l’eredit¨¤ pi¨´ importante di Marchionne, nella sala di un Lingotto divenuto ormai territorio sovrannazionale, ¨¨ stato Mike Manley, suo uomo di fiducia e successore, l’artefice del miracolo Jeep. Un inglese di 55 anni che vive gran parte del tempo negli Usa ignorando completamente o quasi la toponomastica e le ritualit¨¤ torinesi. Mentre il grande capo che se n’¨¨ andato, figlio di un carabiniere, conservava intatto l’orgoglio dell’emigrante di successo, il nuovo Ceo pare incarnare in modo definitivo il mutamento genetico che ha proiettato il vecchio laboratorio dell’industria e della politica italiana nel mare vasto e incognito della mondializzazione.
Tutto vero. Fino a un certo punto per¨°. A tener legati i destini del gruppo al suo Paese d’origine, cio¨¨ il nostro, concorrono tre elementi essenziali. La cultura e le fatiche degli uomini che ci lavorano: operai, quadri e dirigenti. La volont¨¤ di John Elkann, cresciuto nella sfida del nome di famiglia (“Remember: you are an Agnelli” era il mantra che l’istitutrice ripeteva a Suni, sorella di suo nonno Gianni) e sbocciato come una crisalide fino a trasformarsi in una farfalla di ferro. Il terzo ¨¨ il Cavallino rampante, simbolo assoluto di eccellenza italiana, per cui la Gazzetta e i suoi lettori nutrono una devozione particolare. La Ferrari, giunta a valere in borsa pi¨´ della Fca, doveva essere il terreno di gioco - non la liquidazione, chi lo dice non sa di cosa parla - dello stesso Marchionne dopo la fine del mandato, nel 2019. Appena giunta la notizia dell’irreversibilit¨¤ del suo male, Elkann ha assunto la presidenza e anche questo ¨¨ un segnale forte.
La maggioranza delle azioni Ferrari ¨¨ conservata nella cassaforte della Exor: la rossa ¨¨ una questione di cuore e la famiglia intende continuare a gestirla saldamente. L’impegno di John sar¨¤ in prima persona e, nelle voci che il vento estivo porta a Maranello, potrebbe maturare un ruolo importante anche per l’estroso fratello Lapo, sempre che il genio sappia prevalere sulla sregolatezza. Il compito pi¨´ difficile spetta certamente a Louis Carey Camilleri, abilissimo nel marketing e nella finanza ma digiuno o quasi di automotive, chiamato a portare avanti il piano industriale e il disegno gestionale di un manager di competenze amplissime e apparentemente insostituibile.
A chi si preoccupa per l’esito della stagione agonistica, invece, vanno ricordati alcuni dati di fatto: la rossa, come ogni grande scuderia di Formula 1, programma e investe a lungo termine; le sue sorti sono nelle mani di decine di tecnici e ingegneri di grande talento; Maurizio Arrivabene rimane solido al timone della gestione sportiva; la macchina va come un fulmine e, se Vettel smette di distrarsi, ha ottime probabilit¨¤ di vincere un Mondiale che si decide nelle prossime dieci gare. Marchionne sar¨¤ molto rimpianto, ma in questa corsa all’ultimo respiro il suo compito, almeno per quest’anno, l’aveva gi¨¤ svolto. Un vuoto, si diceva. Non una voragine. Perch¨¦ in ogni grande storia, e quella della Ferrari lo ¨¨ pi¨´ di ogni altra nel romanzo dei motori, tutto cambia, evolve, si trasforma. E a volte finisce. Ma nulla si distrugge. L’uomo con il maglione nero rester¨¤ per sempre in questa epopea, avvolto come milioni di tifosi in una bandiera rossa.
Andrea Monti
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