Borzov, Mr. Velocit¨¤: “Io e Mennea, lo sprint come il suono di un violino”
Nei suoi diari c’¨¨ tutto: 2150 sessioni di allenamento quotidiane, a una media di tre ore al giorno, 143 gare, due medaglie d’oro olimpiche, una d’argento e altre due di bronzo, quattro titoli europei. E tante sfide con Pietro Mennea, l’avversario che ha raccontato Valery Borzov, oggi alla soglia dei 70 anni, in un libro ancora inedito in cui ricorda il fair play della rivalit¨¤ con il grande atleta ucraino. Con parole che luned¨¬ scorso Manuela, la moglie di Pietro, ha letto affettuosamente in occasione della presentazione dell’autobiografia del grande sprinter.
Borzov, quanto ¨¨ cambiato lo sprint dai suoi tempi e quelli di Mennea a oggi?
“La velocit¨¤ ¨¨ una scienza, e la scienza in questi anni ha fatto dei grandi passi avanti. Come lo sport”.
Quanto eravate diversi lei e Pietro?
“Quanto sono diversi un tipico italiano e un tipico slavo. Per¨° avevamo in comune il desiderio di interrompere il monopolio degli sprinter americani. E l’Europa pu¨° essere orgogliosa di noi: ce l’abbiamo fatta”.
Mennea si allenava come forse nessun altro. E lei?
“Quel modo di allenarsi era adatto alla sua persona. Io lo facevo meno, ma con grande intensit¨¤. In pratica l’allenamento valeva come una gara, forse di pi¨´”.
Ma ¨¨ vero che in certe sedute ci infilava anche delle ripetute sugli 800 metri?
“Succedeva questo nelle sedute in cui eseguivo test sulla forza ed esercizi pliometrici, i salti con caduta, “a sfinimento”. A quel punto, correvo tre o quattro volte gli 800 metri in 2’17”-2’18”. Era il modo per aumentare la resistenza alla velocit¨¤”.
E il recupero?
“5-7 minuti fra una prova e l’altra. Ma in realt¨¤ ripartivo quando le pulsazioni tornavano a 120 battiti al minuto”.
Sul serio si allenava “solo” 5 giorni su 7?
“S¨¬, questo era il programma. Naturalmente, quando si avvicinavano le gare le cose cambiavano”.
Con Mennea era anche una sfida di nervi.
“Confesso che a volte provavo a sfruttare l’emotivit¨¤ di Pietro e la mia maggiore freddezza. Quando ci riscaldavamo andavo da lui e gli dicevo: “Mi sembra che il manto della pista sia troppo morbido, qui c’¨¨ il rischio di farsi male”. Giocavo sulla sua emotivit¨¤ che lo portava appunto a evitare di farsi male pi¨´ che a correre veloce”.
Com’¨¨ nata l’idea di scrivere il suo libro “Il Grande Sprint”, pubblicato in Italia dalla Scuola dello Sport?
“Perch¨¦ tanti velocisti hanno scritto libri, l’ultimo che ho letto ¨¨ stato quello di Usain Bolt, e hanno raccontato chi, dove, perch¨¦. Ma il come? Come ce l’ho fatta a diventare cos¨¬ veloce? Ecco, per questo ho pubblicato le mie tabelle, i miei diari, per trasmettere qualcosa”.
Da quando esiste lo sport c’¨¨ sempre il dubbio su quanto valga il talento e quanto l’allenamento.
“Non faccio percentuali. Dico solo che il talento serve, ma se non ti alleni bene non conta niente”.
L’altra grande, eterna domanda ¨¨ dove arriveremo e se un giorno i progressi si fermeranno, il momento in cui, parole sue, non si potr¨¤ andare pi¨´ veloce perch¨¦ “altrimenti si spaccheranno le ossa”.
“Secondo me i tempi di Bolt rientrano ormai in quella zona…Ma non posso dire se ci sar¨¤ spazio per questa ulteriore crescita, dipende dai passi avanti della medicina e della scienza”.
Non le fa paura questo tipo di progresso?
“Parlo naturalmente di progressi leciti della medicina, non di doping”.
Ci dica la cosa pi¨´ importante per uno sprinter. “Uno sprinter ¨¨ come un violino, bisogna saper usare bene tutte le corde. E usarle senza stressarle: a volte non ci si riesce, bisogna saper anche economizzare le risorse nei turni eliminatori”.
Una volta ha addirittura detto che “un record ¨¨ un futuro dispiacere”. Ma possibile che non abbia qualche rimpianto cronometrico?
“S¨¬, avete visto le immagini di Monaco? Quando ho alzato le mani pochi metri prima del traguardo? Credo di aver perso due decimi di secondo, e certo riconosco che vincere in 19”80 sarebbe stato diverso che farlo in 20 netti”.
Nell’autobiografia ha anche fatto cenno al suo modo originale per attendere lo sparo.
“Prima faticavo al via, cercando la concentrazione mi perdevo nei miei pensieri. Il mio tecnico Petrovskij mi consigli¨° di visualizzare la scena della corsa anticipando la situazione che si sarebbe verificata dopo”.
Funzion¨°?
“S¨¬, mai fatto false partenze”.
Ma chi ¨¨ stato il pi¨´ grande sprinter di tutti i tempi?
“Non c’¨¨ un pi¨´ grande di tutti. C’¨¨ chi ¨¨ stato pi¨´ grande nella sua epoca, nel suo tempo: Owens, Hayes, Bolt…”
E del nostro Filippo Tortu che cosa sa, che cosa pensa possa fare a Doha?
“Voglio vederlo ai Mondiali, poi vi dir¨°”.
Che consiglio d¨¤ a lui e a uno sprinter di 20 o 21 anni che si butta nella mischia?
“Di cercare di essere veloce, ma senza fretta”.
Nel suo libro c’¨¨ anche tanta storia. Lei racconta quando a Montreal, nel 1976, dove conquist¨° due medaglie di bronzo, si sparse la notizia che avrebbe potuto subire un attacco da parte di un cecchino. Ebbe paura?
“Paura no, ma ci pensai parecchio, era inevitabile: quel pericolo mi mise ansia. Tutto questo, per¨°, fino alla vigilia, al riscaldamento. In pista, invece, tutto svan¨¬”.
Lei ¨¨ oggi membro del Cio. Che cosa pensa delle discussioni in Italia sulla riforma e sui rischi di un’invasione di campo della politica nello sport?
“La prima regola del Cio ¨¨ che ogni comitato olimpico ¨¨ un’organizzazione indipendente. Deve essere aperto per i rapporti con la societ¨¤ e la politica, per¨° indipendente. In diverse occasioni il Cio ¨¨ sceso in campo per difendere questa autonomia. Ma c’¨¨ tempo per un augurio finale?”.
Prego.
“Sono molto felice che l’Italia, con Milano e Cortina, organizzi le Olimpiadi del 2026. E se serve una mano, io ci sono...”
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