Nei giorni scorsi abbiamo ripercorso alcuni momenti della vicenda della supposta seconda positivit¨¤ di Schwazer: l’oscuro sfondo istituzionale, i tanti indizi di complotto, la discussa figura del potente presidente dell’atletica mondiale, il Barone Sebastian Coe. Ma ci sono altri elementi che vanno richiamati per capire il clima in cui questa macchinazione si ¨¨ messa in moto e le sue sponde italiane, che siano state consapevoli o no.
Il retroscena
Caso Schwazer: quel danno di immagine e le indagini sottovalutate
Gli elementi della macchinazione e i cavilli contro il marciatore azzurro. Il ping pong tra Italia e Svizzera
Torniamo al 2016, a pochi mesi dalla scadenza della prima squalifica del nostro marciatore (quella del tutto meritata, come Alex confess¨° nell’imminenza dei Giochi di Londra 2012). Schwazer si allenava da mesi con Donati, che l’aveva accettato dopo averlo torchiato per settimane ed aver ricevuto da lui l’impegno a continui test antidoping privati (poi effettuati a decine). Tutto questo avveniva letteralmente per strada perch¨¦ a un atleta squalificato, questa ¨¨ la norma, ¨¨ interdetto l’uso degli impianti federali anche per gli allenamenti. Ma ci fu chi si mise in moto per accusare il marciatore di aver infranto quest’ultima regola in occasione di test pubblici: incredibile ma vero, qualcuno avrebbe voluto squalificarlo di nuovo per questo cavillo, per altro completamente falso. Si misero in moto la federatletica internazionale e la Nado, cio¨¨ l’agenzia antidoping del nostro Paese. Anche la Fidal venne allertata ed entr¨° in agitazione. L’aria era evidentemente quella: tenere lontano l’appestato. Ma tutto rimase sottotraccia e questo aspetto fu “dimenticato” quando, a fine giugno, venne comunicata la positivit¨¤ di Schwazer. L’obbiettivo grosso era stato comunque raggiunto e dunque la prima strada non serviva pi¨´, ma rimane altamente indicativa delle ostilit¨¤ implacabili che agivano contro il ragazzo.
Altro caso curioso. A positivit¨¤ comunicata, siamo a fine giugno 2016, Schwazer fece subito ricorso alla prima sezione del tribunale sportivo antidoping del Coni. Risposta: non siamo competenti, dovete rivolgervi al Tas di Losanna. Quindi (e intanto passano giorni e settimane) la palla passa all’organismo svizzero, che, esaminando il caso, fa una prima domanda: scusate, perch¨¦ non vi siete rivolti al tribunale antidoping in Italia? Un bel ping pong sulla pelle di un atleta.
Infine, tre interrogativi, per i quali ameremmo avere un riscontro. Il primo: di fronte alla montagna di indizi che si andavano accumulando, la Nado Italia avrebbe potuto mobilitarsi per proporre una propria indagine?
Il secondo: perch¨¦ il Cio, Comitato olimpico internazionale, suprema istituzione sportiva che tutto dovrebbe controllare, non ha mai mosso un dito in questa vicenda che, comunque letta, non soltanto costituiva un grave vulnus per l’Olimpismo, ma anche un discredito d’immagine evidente?
Il terzo. A fine marzo 2021 il Parlamento italiano vot¨° all’unanimit¨¤ una risoluzione che chiedeva, alla luce dell’ordinanza del Gip di Bolzano Pelino, che la squalifica al nostro marciatore fosse annullata. Risposta della Wada: “Non se ne parla proprio”. Giusto incassarla semplicemente, alla luce di tutto quanto era emerso, senza proporre altro, considerato fra l’altro che i contribuenti italiani finanziano in modo notevole la Wada stessa?
Trincerarsi dietro le proprie competenze, agire con i paraocchi, voltarsi dall’altra parte invocando le cosiddette “autonomie” di questo o quello ente: nella realt¨¤, nessuno ai piani alti ha voluto scendere dal proprio piedistallo e cercare di capire davvero. Senza contare che le autonomie di cui parlavamo sono una totale finzione: il sistema della giustizia sportiva ha lacune enormi, manca di vera terziet¨¤. E questo vale sia in Italia sia in campo internazionale. I risultati sono quelli che abbiamo tutti visto nella serie Netflix sul caso.
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