I 90 anni di Fini, il collezionista d’oro: “Da Numa alla Trillini, una vita per la scherma”
Il Vulcano Fini fa 90. Il 1¡ã ottobre 1930 nasceva a Bologna il pi¨´ vincente, famoso, longevo, carismatico e vulcanico c.t. della scherma azzurra. Che oggi, a Milano, dove vive da tempo, spegner¨¤ in famiglia quella miriade di candeline – nulla se pensiamo alle medaglie internazionali che ha regalato all’Italia – attorniato dalla moglie Paola, dalle figlie Alessandra e Benedetta e dai cinque nipoti. Era il 1973 quando prese in mano le redini di tutta la Nazionale italiana per mollarle nel 1994: 22 stagioni di successi indimenticabili, di sfuriate altrettanto memorabili, di pura passione, di dedizione totale, di rivoluzione. Anticamera dei grandi trionfi azzurri dei successivi 25 anni. In forma invidiabile, lucido e pronto ad ogni risposta, da restare a bocca aperta, Don Attilio – come solevano chiamarlo, quasi a riconoscerne con quel Don la sua statura – si lascia andare con piacere al ricordo della sua vita, cos¨¬ intensa e piena di soddisfazioni, non solo a bordo pedana.
Don Attilio, ¨¨ pronto per festeggiare questo bel traguardo?
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“S¨¬. Io sono sempre pronto. Alla mia et¨¤, poi… Devo esserlo per forza”.
Novant’anni belli pieni. Origini bolognesi, giusto?
“S¨¬, vengo da Castel San Pietro. Poi ci trasferimmo a Milano. Mio padre Ugo era ingegnere. Ha progettato anche il velodromo Vigorelli”.
Come ¨¨ entrata la scherma nella sua vita?
“Pap¨¤ giocava a calcio. Nove anni nel Bologna, quattro nella Spal. Ma mamma non voleva che facessi anche io il calciatore. Temeva che prendessi troppo freddo e mi ammalassi. Cos¨¬ mi mand¨° in palestra. Avevo 10 anni, appresi la scherma. Ero bravino, cos¨¬ ho insistito. Sono entrato nella Nazionale di sciabola. Sono stato riserva ai Giochi olimpici. Poi ho fatto tre Mondiali nella gara a squadre: Buenos Aires ’62, Danzica ’63 (dove sfior¨° il podio, ndr) e Montreal ’67”.
Poi commissario tecnico.
“Studiavo ingegneria, ma non ¨¨ che fossi cos¨¬ attaccato ai libri. Un giorno il presidente della Federazione, Renzo Nostini - un grande presidente – mi chiede se me la sento di prendere in mano la sciabola azzurra. E’ il 1968, ci sono i Giochi di Citt¨¤ del Messico, dico di s¨¬ e lascio gli studi. Arriviamo secondi a squadre, dietro all’Unione Sovietica”.
Poi c.t. di tutte e tre le armi.
“Ai Giochi di Monaco arriva l’oro. Nella sciabola a squadre non vincevamo dal 1924. Nostini non ci pensa due volte: ‘Attilio, adesso devi fare il c.t. unico’. Io gli dico: ‘Ok presidente, ma bisogna cambiare tutto’. Nostini non fa una piega: ‘Hai carta bianca, fai quello che devi fare’. Dopo i Giochi di Roma la scherma italiana era stata surclassata dalle altre scuole, era quasi all’anno zero”.
Da che cosa cominci¨°?
“Puntai sui maestri. E soprattutto cominciai a girare l’Italia nelle sale d’armi e nelle palestre, a vedere di persona gli atleti, soprattutto i pi¨´ giovani. Ne ho lanciati tanti”.
Montreal ’76, Dal Zotto oro nel fioretto: a proposito di giovani...
“Fabio aveva 19 anni. Lo convocai contro il parere di buona parte del consiglio. Credevo tanto in lui. Ma poteva arrivare anche un altro oro, quello di Consolata Collino. Le rubarono la stoccata decisiva. L’arbitro argentino fece mea culpa, ma ormai era troppo tardi”.
Perch¨¦ Dal Zotto non ha sfondato?
“Fabio era un tipo un po’ particolare. Dopo Montreal si mont¨° un po’ la testa, non si allenava molto. Non aveva la stessa voglia di lavorare di altri”.
? stato il fiorettista italiano pi¨´ forte della sua epoca?
“No, il pi¨´ forte ¨¨ stato Mauro Numa. Non a caso ha vinto tutto. Anche Borella, per¨°. Certo, se Dal Zotto avesse avuto la testa di Numa…”.
E i migliori spadisti?
“Nessun dubbio: Mazzoni. E Cuomo. Ma Mazzoni era in assoluto il migliore. Ricordo che andai a vedere un’esibizione a Castelletto Ticino. Vidi ‘sto ragazzino e rimasi impressionato. Lo chiamai subito nel mio gruppo, era giovanissimo. Angelo per¨° ha vinto molto meno di quello che avrebbe potuto. No so se fosse realmente un emotivo, di sicuro dopo una sconfitta si demoralizzava troppo. A volte questo lo condizionava anche nelle gare a squadre”.
E nella sua sciabola?
“Maffei, fortissimo. E Montano, il pap¨¤ di Aldo”.
Pi¨´ forte lui o il figlio?
“Premesso che non mi ¨¨ mai piaciuto confrontare atleti di epoche cos¨¬ diverse, dico il pap¨¤. E non solo perch¨¦ aveva avversari fortissimi. Ma a ‘Mauzzino’ piaceva mangiare… Quando era a Livorno, lontano da gare e allenamenti, andava alla Baracchina, l¨¬ in riva al mare. E addio forma. Aveva un fisico a fisarmonica”.
Quale ¨¨ la medaglia che ricorda con pi¨´ piacere?
“L’oro della sciabola a Monaco ’72, proprio perch¨¦ non vincevamo da una vita ed ¨¨ stata l’inizio di tutto. E pensare che Maffei non stava nemmeno bene”.
La pi¨´ inattesa?
“L’oro della Trillini a Barcellona ’92. Aveva un ginocchio a pezzi, fu rimessa in piedi dal medico e dal massaggiatore e sal¨¬ in pedana col tutore. A ogni assalto incrociavo le dita”.
Ne abbiamo avute di donne forti…
“Eccome! Antonella Ragno, Dorina Vaccaroni, Giovanna… E poi vabb¨¦, Valentina Vezzali…”.
Fu lei a lanciarla giovanissima, giusto?
“S¨¬, appena la vidi non esitai un istante a gettarla nella mischia. Cosa aveva di speciale? Il tempo, l’anticipo. Nessuna come lei. Un po’ come Maffei. Nostini non credeva molto in Valentina, aveva le sue idee un po’ retr¨°. Io s¨¬”.
Chi l’ha fatta pi¨´ disperare? Se si poteva far disperare un generale come lei…
“Dorina, senza dubbio. Era una campionessa, ma che caratterino… Testona come poche. Ma grande lavoratrice. Anche sfortunata: poteva vincere almeno due ori olimpici, gli infortuni gliel’hanno negato”.
Un aneddoto?
“Seul ’88. Negli ultimi giorni prima della gara il maestro Di Rosa le dice di smettere di allenarsi, non serve pi¨´. Lei, di nascosto, mi costringe a montare una pedana nella mia camera d’albergo e viene l¨¬ a far lezione col maestro Di Naro”.
? vero che Fini si amava o si odiava?
“S¨¬, possiamo dire cos¨¬. Sono una persona schietta, quindi non a tutti piacevo. Comunque ho fatto dell’onest¨¤ e della disciplina il mio credo. Ne sono orgoglioso. E se oggi molti atleti quando mi rivedono me lo riconoscono, vuol dire che qualcosa di buono sono riuscito a dare. Poi certo, di errori ne ho fatti sicuramente tanti. Ma rifarei esattamente tutto quello che ho fatto. Non ho rimpianti”.
Come ¨¨ riuscito a dirigere per tanti anni un ambiente con personalit¨¤ cos¨¬ forti?
“Ero esigente, ¨¨ vero. Ero severo. Ma ho improntato la scherma come una famiglia. E alla fine si andava tutti o quasi d’accordo. Certo, poi i risultati hanno fatto da cemento”.
Urlava davvero cos¨¬ tanto a bordo pedana?
“Beh, diciamo che mi facevo sentire abbastanza…”.
Il suo carisma aveva un bel peso anche con gli arbitri. Quante stoccate ¨¨ riuscito a far girare a nostro favore?
“Qualcuna… Vabb¨¨, anche pi¨´ di qualcuna”.
Ogni tanto arrivava una squalifica, giusto?
“S¨¬, certo. Ma dopo un quarto d’ora avevo gi¨¤ chiarito e gi¨¤ s’era fatta la pace”.
Che cosa faceva per rilassarsi dalle tensioni di un’Olimpiade o di un Mondiale?
“Mi rifugiavo in campagna, nella mia residenza di Castelnuovo Scrivia, in provincia di Alessandria. O in montagna, a Courmayeur. Ci vado ancora, naturalmente. Passeggiate, vita all’aperto e tanti libri. Gialli, soprattutto”.
Scherma a parte quali sono le sue passioni sportive?
“Il calcio e il basket. Tifo Bologna e Virtus. Da sempre”.
Ha fatto il conto di quante medaglie ha vinto?
“Tra Olimpiadi, Mondiali, Europei, assoluti e giovanili, sono state pi¨´ di 450”.
Ventuno medaglie ai Giochi, di cui 9 d’oro. E allora perch¨¦ nel ’94 l’hanno giubilata?
“Nostini si dimise da presidente e io non fui confermato dal nuovo presidente Di Blasi, che scelse il polacco Zub: una mia creatura. Vinse la politica, come spesso accade. Pazienza, c’est la vie”.
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